Composta nel 1899, "I tre dialoghi e il racconto dell'Anticristo" rappresenta l'opera ultima ma non conclusiva del pensiero di Vladimir Solov'ëv. Lo sterile razionalismo della filosofia europea, la desacralizzazione mascherata da "nuova" religione e la dominante etica tolstojana ispirano in Solov'év la riflessione sul problema della realtà del male e sulla falsificazione del bene. Scegliendo la forma di un dialogo polemico e ironico, Vladimir Solov'év profetizza «l'epilogo del nostro processo storico» attraverso la parabola dell'Anticristo. Chi è l'Anticristo di cui parla Solov'ëv? Uno spiritualista convinto e un sapiente illuminato, un uomo generoso e geniale. Nel deserto di valori del XX secolo e sotto la minaccia del panmongolismo, ovvero la dominazione delle potenze asiatiche (Cina e Giappone), l'Anticristo ammalia religiosi e intellettuali, cittadini e governanti d'Europa. Guidato da un solido amor proprio e con i suoi manifesti di pace universale, uguaglianza e progresso, questo «uomo del futuro» diviene imperatore del mondo. Per Solov'év il grande pacificatore svela però, con il suo progetto ecumenico tanto fiacco quanto audace, che "in sostanza" non è buono. «Questo bene contraffatto un po' di lucentezza ce l'ha, se però gliela togli, non gli rimane alcuna forza essenziale». L'Anticristo verrà infatti sconfìtto da un romano che parla nel nome della Verità.
Nell’anno in cui papa Francesco annuncia il Giubileo straordinario nel nome della misericordia, Andrea Caterini, scrittore e saggista, propone una riflessione su alcuni termini chiave della cristianità. Scandisce il suo discorso a partire da alcune parole: Pace, Sacrificio, Misericordia, Bene, Santità e Fede. Ogni parola è analizzata attraverso la lettura e l’analisi di uno o più scrittori, da Virgilio a Dostoevskij, da Anna Achmatova ad Anton Cechov.
La preghiera della letteratura non è però un libro di critica letteraria, anche se attraverso la letteratura costruisce i suoi ragionamenti filosofici, con la convinzione che essa sia ancora uno strumento privilegiato di conoscenza. In questo senso il saggio di apertura, “In principio, una preghiera”, che si interroga anche sull’antico significato del Giubileo, a partire dall’Antico Testamento, riflette su quanto la letteratura sia essa stessa una particolare forma di preghiera e di come poesia e testi sacri abbiano da sempre dialogato tra loro.
La preghiera della letteratura vuole essere quindi un libro di pensiero, in un momento storico in cui nessuno è davvero immune dalla vacuità e dalle chiacchiere. Pregare significa anche concentrare tutta la nostra attenzione sul significato delle parole che si pronunciano. E allora Caterini ragiona su queste, provando a farle diventare un’esperienza (una ragione) di vita.
Per la prima volta nella storia della Chiesa, al centro del Giubileo iniziato a dicembre 2015 e che durerà un anno, c’è la riflessione sulla misericordia.
Cos’è la misericordia? E cos’è in letteratura? Come l’hanno letta alcuni grandi scrittori cristiani e non cristiani?
C'è stato chi, nella storia del pensiero occidentale, ha sostenuto che il suicidio sia uno degli atti che in assoluto richiedono più coraggio. Secondo altri, invece, la scelta più coraggiosa che si possa fare è proprio quella di vivere, di rimanere nonostante tutto a occupare il proprio posto nel mondo, di scegliere di esistere. È a questo coraggio che dedica la sua riflessione Paul Tillich. Cosciente che si può definire il coraggio solo opponendolo alla paura, il teologo tedesco passa in rassegna la galleria di nature morte che sono le paure più profonde dell'uomo in quanto uomo. Il terrore della morte e della sofferenza, innanzitutto, la paura di essere esposti alla crudeltà del fato, ma anche l'angoscia che tutto sia senza senso e la nostra vita priva di significato e i profondi sensi di colpa per il male che noi stessi prima o poi ci troviamo a fare agli altri. Nel corso della sua storia l'uomo ha inventato dei modi per confinare queste paure ancestrali negli angoli più remoti della mente, in quell'abisso dove secondo Nietzsche non si guarda mai perché, altrimenti, "anche l'abisso vorrà guardare dentro di te". Ha inventato delle maschere che assomigliano al coraggio e spesso riescono a sostituirlo, facendoci dimenticare ciò di cui abbiamo paura, ma non lo sono davvero. E cos'è, allora, il coraggio? E da qui, dopo aver fatto cadere una a una tutte le maschere dietro le quali ci nascondiamo, che Paul Tillich muove la parte decisiva della sua indagine, quasi un giallo esistenziale.
"Da molto tempo l'arte di vivere è il tema di cui mi occupo, non perché la possieda, ma perché ne ho bisogno". Nessuno può insegnarci come vivere né come invecchiare con serenità. E questo di certo non è l'intento del libro che avete tra le mani. Piuttosto, Schmid suggerisce "dieci passi per raggiungere la serenità, che possono emergere dalle nostre osservazioni, dalle nostre esperienze e da ciò a cui siamo sopravvissuti". Se l'ars vivendi implica la consapevolezza della propria mortalità, accettarla porta ad abbracciare la vita nella pienezza delle sue stagioni. Primavera, estate, autunno, inverno. Infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia. Come un moderno Montaigne, con la leggerezza dei grandi pensatori, l'autore ragiona sul concetto principe della filosofia occidentale: la serenità. Da Epicuro in poi i filosofi si sono interrogati sul principio dell'atarassia, stella polare che orienta l'uomo nel suo cammino. Oggi questo cammino è diventato una corsa senza meta, dominata dalla brama di un successo irraggiungibile, di un futuro che non è mai presente. La vecchiaia è una minaccia, non il coronamento di un'esistenza piena. Dobbiamo riappropriarci della serenità per riconquistare la joie de vivre e, per farlo, un primo passo è pensare le diverse fasi della vita come tappe di un viaggio di cui la vecchiaia è il capitolo finale, cui affidarsi "con la maggiore tranquillità possibile". Vivere non è morire, ma affinare l'arte di saper invecchiare.
Tra le tante conseguenze della globalizzazione, una delle rivoluzioni a cui stiamo assistendo negli ultimi decenni è quella religiosa: a causa soprattutto dei flussi migratori, che ogni anno spostano intere comunità da una parte all'altra del pianeta, per la prima volta tradizioni spirituali diverse, che sono nate e hanno prosperato a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, stanno entrando in contatto. Oggi, nelle periferie delle metropoli d'Occidente, cristiani, musulmani ed ebrei, ma anche buddhisti, indù e sikh abitano fianco a fianco, fanno la spesa negli stessi negozi, vanno a lavoro percorrendo le stesse strade. Culture e sensibilità religiose che per secoli hanno saputo poco o nulla le une delle altre - o, peggio ancora, le hanno immaginate in maniera distorta, ostile - si trovano d'improvviso a dover convivere. Ma che significa "convivere"? Secondo John Hick, eminente teologo e libero pensatore, si può fare molto di più che semplicemente "tollerare il diverso". Lontano da facili panteismi new age e profetico nelle sue intuizioni, Hick è il primo a sostenere - in questo libro che attirò l'anatema del cardinale Ratzinger, allora a capo del Sant'Uffizio - che tutte le religioni potrebbero venerare la stessa divinità, che si sarebbe rivelata a ciascun ramo dell'albero umano in modo diverso, usando linguaggi diversi in base alle caratteristiche dei differenti popoli. È possibile, in altre parole, che nella storia Dio si sia presentato molte volte, con molti nomi?
La sensazione di vivere in un'epoca di decadenza e confusione, in cui l'uomo sembra aver smarrito le proprie certezze sul senso dell'esistenza e del suo ruolo nel mondo, è un malessere trasversale a ogni periodo storico, e in particolare per gli intellettuali è sempre stato motivo di profonda inquietudine. Ma quello che a proposito di questa "nausea" scrive Albert Schweitzer, premio Nobel per la Pace e filosofo di raro acume, suona per noi oggi quanto mai intimo, come qualcosa che ci riguarda da vicino. Negli ultimi secoli l'umanità ha conosciuto un progresso che non ha precedenti nella storia, ma allo stesso tempo ha smarrito il senso di cos'è la civiltà, e il "peccato originale" alla base di questo vuoto è il fallimento della filosofia, che non è stata in grado di attendere a quella che fin dagli albori del logos è stata la sua vocazione: fondare, giustificare e diffondere una visione del mondo che permettesse di avere chiaro l'orizzonte di cosa ha valore e cosa no, di cosa ha senso e cosa no. Dopo l'avvento delle scienze naturali, che sembravano in grado di descrivere il mondo meglio di quanto tutta la storia del pensiero avesse fatto fino a quel momento, la filosofia si è ridotta in uno stato di sudditanza, convincendosi che il suo ruolo fosse esaurito, e da pensiero attivo è diventata storia della filosofia, una galleria di nature morte che non affrontano più le questioni fondamentali su cui gli individui dovrebbero riflettere.
L'Islam, che conta oltre un miliardo e mezzo di fedeli nel mondo, presenta oggi molti volti. A occupare la scena nei media sono spesso i suoi aspetti più minacciosi, le sue interpretazioni che sfociano nel fanatismo e nel fondamentalismo, specie nel Medio Oriente, che attraversa una fase di transizione in seguito alla Primavera araba. Ma di certo non è questa l'unica espressione della religione islamica, che ha una grande storia cosmopolita. Dal desiderio di offrire dell'Islam un ritratto contemporaneo a tutto tondo nasce questo dialogo tra un padre, Alberto, e un figlio, Dag, agnostico, antropologo e viaggiatore il primo, religioso, esperto di testi sacri e linguista il secondo. Il figlio ha deciso di vivere con la sua famiglia nelle montagne del Marocco, il padre abita nelle campagne sabine, ma entrambi riconoscono che in un mondo globale il dialogo interreligioso è un nodo decisivo per la convivenza tra i popoli. Per questo si confrontano con affetto, seppure con grande divergenza di opinioni, toccando nel libro tutte le questioni più spinose che rendono i rapporti tra musulmani e cristiani spesso complicati, se non conflittuali: dalla concezione della donna alla poligamia, dall'ortodossia intransigente alla pretesa di detenere la verità, dalle forme di preghiera alla minaccia del terrorismo di matrice religiosa. Introduzione di Franco Cardini.
"A passeggio con John Keats" è l'opera più misteriosa di Julio Cortázar: scritto in solitudine a Buenos Aires all'inizio degli anni Cinquanta e pubblicato volutamente postumo come omaggio a un poeta che, morto giovanissimo, solo postumo ottenne la sua consacrazione, è un libro talmente ricco da sfuggire a ogni catalogazione. È sia un saggio, un acutissimo esercizio di critica letteraria - perché solo un poeta può arrivare al cuore vivo e pulsante della poesia di un altro poeta e scriverne senza ridurlo a nozionismo da accademia -, sia un romanzo, la storia di un personaggio di nome Julio Cortázar che, chiuso nella sua stanza, all'ultimo piano di un palazzo di calle Lavalle, a Buenos Aires, notte dopo notte scrive di Keats, e intanto pensa, divaga, ricorda, compilando a margine del suo libro una sorta di zibaldone. È un'opera-mondo: al centro c'è Keats, la sua vita e la sua poesia, ma ci sono anche Buenos Aires, i profumi e le luci della metropoli argentina e le vastità buie e sterminate della pampa oltre i suoi confini, e i poeti amici di Cortázar, i loro versi e le loro discussioni delle tre di notte, avvolti dal fumo delle sigarette e dall'odore del caffè. C'è l'Italia, ci sono Roma, Siena, Venezia, ma anche Genova e Napoli, perché pochi sono riusciti a catturarne l'essenza - i silenzi delle campagne, perché "tutta l'Italia è silenziosa".
"Siamo chiamati a reinventare noi stessi in quanto specie", si legge in questo saggio scritto dal brasiliano Leonardo Boff, ex francescano, riconosciuto a livello mondiale come uno dei massimi esponenti della teologia della liberazione, e dal ricercatore e educatore statunitense Mark Hathaway. Il compito non è certo facile, ma per "liberazione", suggeriscono gli autori, va inteso un cambiamento radicale della coscienza umana. A occupare la scena è la crisi odierna, una società "spiritualmente" malata, ossessionata dalla crescita e dal consumo materiale, attaccata a valori che hanno portato al progressivo saccheggio delle risorse e all'aumento delle disuguaglianze. La grande sfida del XXI secolo è allora quella di invertire rotta, operando una trasformazione che sia allo stesso tempo individuale e collettiva. Come? Gli autori tracciano un cammino di guarigione - Tao è l'antico termine cinese per "via" - cercando il punto di intersezione tra la tradizione cattolica e quella orientale. Non solo, la rinascita spirituale che invocano si nutre dell'apporto di psicologia e fisica quantistica, femminismo e cosmologia, economia ed evoluzionismo. Solo incrociando le prospettive di scienze, religioni e saggezze antiche si può produrre una rivoluzione della percezione, il preludio al cambiamento delle nostre abitudini.
La vita non è forse la cosa più naturale al mondo? Eppure, dagli albori del pensiero filosofico l'uomo s'interroga su come viverla. "Non mi ci raccapezzo", ammetteva Wittgenstein, esperienza che non ci è certo estranea. "Pure Kant si trova a disagio di fronte alla confusione che regna tra i più diversi maestri dell'arte di vivere". Sì, perché la vita può essere oggetto di una vera e propria arte. Se "l'escursione nella filosofia", come argomenta Wilhelm Schmid in questo saggio, "inizia quando l'esistenza viene messa in questione", l'antichità si è interrogata a lungo su come vivere: dalle scomode domande di Socrate all'idea del bene di Platone, dalla virtù aristotelica alle scuole epicuree, stoiche, fino ai latini Seneca, Marco Aurelio, Cicerone. E dall'epoca moderna in poi che l'arte di vivere diserta la scena, quando certezze e criteri tradizionali si dissolvono progressivamente. L'uomo moderno procede a tentoni, saggiando, rivela Montaigne, grande artefice della sua riscoperta. Essa prende allora una via sperimentale, "senza sapere davvero dove si possa essere condotti percorrendola". Oggi il filosofo tedesco Schmid, che dell'arte di vivere ha fatto il perno della sua ricerca, ci guida attraverso la sua storia e le sue poste in gioco.
Questo volume del noto teologo gesuita Roger Haight è stato dichiarato nel 2004 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede "contrario alle verità della fede divina e cattolica". All'origine della condanna inflitta a Haight, ci sono le sue affermazioni in favore di un pluralismo culturale e religioso, quando sostiene che "non si può continuare ad affermare ancora che il cristianesimo sia la religione superiore", o che "una religione possa pretendere di essere il centro al quale tutte le altre devono essere ricondotte". Ma il dialogo alla pari tra il cristianesimo e le altre religioni non è forse quello che anche papa Francesco auspica quando rigetta la nozione di "verità assoluta" e sostiene che "la verità è una relazione"? Altri punti giudicati erronei dal Vaticano riguardano la preesistenza del Verbo, la divinità di Gesù, la Trinità, il valore salvifico della morte di Gesù, l'unicità e l'universalità della mediazione salvifica di Gesù e della Chiesa, la risurrezione. Confrontandosi con questi dogmi, Haight li interpreta utilizzando le nozioni scaturite da secoli di evoluzione intellettuale con particolare attenzione al pensiero contemporaneo. Alla base di questo suo lavoro c'è la convinzione che "un cristiano non può veramente dare risposte a un non cristiano sull'essenza del cristianesimo senza avere nemmeno un'idea di chi fosse Gesù" e per questo Haight pone di nuovo la domanda "chi è Gesù?", facendolo alla luce degli strumenti intellettuali di cui oggi disponiamo.
Il libro che avete nelle mani narra le vicende della più antica istituzione del mondo occidentale dalle sue origini sino a oggi: il papato. Devoti e scellerati, miti e determinati, intellettuali e semianalfabeti, astuti come i serpenti e semplici come le colombe, immane è la diversità degli uomini che furono eletti vicari di Cristo. Ma sempre essi hanno segnato i momenti cruciali della storia. L'incalzante narrazione di John O'Malley, acclamato storico della chiesa, riporta in vita le affascinanti vicende dei successori di Pietro attraverso brevi capitoli che rivelano sempre nuovi aspetti di questa antichissima istituzione. Ripercorrere la storia dei papi è anche un modo inedito di rileggere la storia del mondo, in particolare d'Italia. I conflitti con gli imperatori, gli scismi e gli antipapi, le dispute dottrinali, le scomuniche, le deposizioni, il dramma della Riforma e della Controriforma, la lotta con l'Illuminismo e il mondo moderno: ecco il contesto in cui il papato imparò a perdurare nei secoli segnando e continuando a segnare, nel bene e nel male, la vita di tutti noi. Con una nuova prefazione dedicata a papa Francesco I.
Cosa ci rende unici come specie? Qual è la caratteristica che ci avvicina al divino? Per Matthew Fox è proprio la creatività, il potere dell'immaginazione, la nostra capacità di trasformare ed evolverci. In questo saggio profondo ma scritto in un linguaggio semplice, avvalendosi delle scoperte scientifiche così come delle sacre scritture e delle tradizioni spirituali e religiose orientali, Fox spiega che la creatività può rivolgersi al bene, assumendo un potere salvifico, come al male, sprofondando nel demoniaco, ma è il tratto vitale degli esseri umani, ciò che ci rende artefici e responsabili della nostra storia. Nel "caos" della vita contemporanea, dove in gioco c'è la sopravvivenza della specie e quella della terra nel suo complesso, servono coraggio, rischio e innovazione. Dando una sua innovativa lettura del "peccato originale", della figura del Cristo storico e di alcuni miti fondativi come quello di Prometeo, Fox stila un appello a coltivare ed esprimere la creatività, andando anche contro l'insegnamento della Chiesa ufficiale che spesso si concentra esclusivamente sull'obbedienza.
A distanza di millenni, le figure di Socrate, Buddha, Confucio e Gesù non hanno smesso di suscitare la nostra viva curiosità e ancora rivestono un enorme significato nella vita di milioni di persone. Come spiegare la loro influenza nella storia dell'uomo, apparentemente destinata a durare in eterno? Qual è il modo per comprendere la loro eredità? Karl Jaspers si confronta con queste domande in "Socrate, Buddha, Confucio", Gesù, un estratto dall'opera del 1957 "I grandi filosofi", che oggi Campo dei Fiori presenta al lettore italiano come testo autonomo. In questo scritto il filosofo e psichiatra tedesco illustra le quattro "personalità decisive" nella convinzione che conoscerle a fondo equivalga a una "chiarificazione della coscienza storica universale". Jaspers riporta le biografie, cita le fonti, ricostruisce la storia della ricezione e sviscera il significato permanente della vita e dell'opera di questi quattro uomini. Il pensiero scoperto nel dialogo da Socrate, l'abbandono del mondo di Buddha, la centralità dell'ethos di Confucio e l'amore incondizionato di Gesù sono ancora oggi cardini attorno ai quali si orienta la civiltà umana, ma che in ogni epoca, e quindi anche nella nostra, devono essere interpretati e sperimentati di nuovo. In nome di Socrate, Buddha, Confucio e Gesù sono nate chiese, scuole, movimenti e dottrine che spesso hanno tradito lo spirito delle quattro persone che ne sono all'origine. Con grande lucidità Jaspers cerca di restituircele in tutta la loro grandezza.
"In che modo dobbiamo intendere lo splendore dell'universo? Noi siamo circondati dalla bellezza. Quale ne è stata la causa?". Contemplando l'immensità del mondo naturale di cui è parte, l'uomo ha sempre provato un senso di stupore, a partire da quello che inevitabilmente ci coglie ogni volta che alziamo lo sguardo al cielo stellato. Dalla meraviglia dell'umanità davanti alle forze cosmiche sono nati culti, miti, leggende, ma anche la curiosità e il desiderio di sapere all'origine della scienza. Oggi, ci ricordano gli autori di questo saggio: "siamo la prima generazione ad aver compreso la portata scientifica globale della storia dell'universo". Una storia che si può raccontare come un viaggio: Il matematico e cosmologo Brian Swimme e la studiosa di religioni Mary Evelyn Tucker tornano indietro di oltre 13 miliardi di anni, quando avvenne il Big Bang, e passano per le tappe che hanno portato alla formazione della vita sulla nostra Terra. Forze di attrazione, particelle elementari che si legano e si scindono, miliardi di galassie che ospitano trilioni di stelle: il nostro cosmo è animato da una capacità creativa pressoché illimitata. L'immagine che ne abbiamo oggi, resa possibile dalle scoperte di uomini rivoluzionari come Keplero, Copernico, Galileo, Darwin o Einstein e dalle conquiste della tecnica, è quella di un universo in espansione, "vivente", ma non privo di mistero.
Con "Il Tao della mistica", Campo dei Fiori offre per la prima volta ai lettori italiani un testo chiave che ha fatto da ponte tra la tradizione occidentale e quella orientale. Gesuita, linguista, grande viaggiatore, missionario, Yves Raguin traccia in questo volume, nato da un corso che tenne tra il 1977 e il 1982 all'Istituto dell'Estremo Oriente di Taipei, un affresco vasto e dettagliato delle pratiche contemplative asiatiche, spaziando dal buddhismo al taoismo, dallo zen allo yoga, dal confucianesimo ad altre culture ancora. Nell'accostare, come in un grande mosaico, le varie declinazioni della via contemplativa, Raguin rintraccia il nucleo comune dell'esperienza spirituale: la tensione verso l'oltre", l'attenzione per il mistero delle cose, l'illuminazione, in un percorso lungo il quale la mistica cristiana, dall'evangelista Giovanni a Teresa d'Avila, incontra gli insegnamenti di Zhuangzi, Laozi, Buddha, Confucio e molti altri. Senza mai adottare posizioni sincretistiche, Raguin riesce a iniziarci alla spiritualità orientale mettendone in luce i punti di contatto con la tradizione cristiana e compilando così un monumento al dialogo interreligioso. In questo volume, che è a tutti gli effetti anche un viaggio tra le culture, le epoche, gli autori e le discipline, emerge in modo chiaro e netto la grande visione di Raguin, quella di una "spiritualità universale". Introduzione di Maciej Bielawski.
"Gesù è l'archetipo dello sconosciuto. Appare dal nulla, avvolto nel mistero, e subito scompare. Mentre gli altri lo vedono carico di un carisma abbagliante e spaventoso, egli fatica lungo il sentiero della vita. È l'eroe esistenziale: solitario, sradicato dalla sua famiglia e dalla sua dimora, irrequieto, sempre in marcia". Già nella prima pagina, questo ritratto sorprende il lettore che si avventura in un saggio capace di scardinare ogni immagine canonica e consolidata di Gesù e che alla sua uscita non ha mancato di suscitare polemiche in Australia, la terra d'origine del sociologo Carroll. Rileggendo il vangelo di Marco, di cui propone un'originale traduzione dal greco, l'autore torna alla prima fonte di ogni nostra conoscenza di Gesù, l'uomo che ha plasmato la civiltà occidentale, nella convinzione che "le chiese cristiane hanno collettivamente fallito il loro compito fondamentale, ovvero continuare a raccontare la loro storia fondativa in un modo che sappia parlare alla loro epoca". Il figlio di Dio riscoperto da Carroll, ben lontano da quello benevolo, mite e mansueto trasmesso nell'insegnamento religioso classico, è un feroce nemico di ogni chiesa e non è per nulla preoccupato dal peccato in senso tradizionale. Soprattutto, è un Gesù "esistenziale": spogliato di ogni attributo identitario, è il primo a porre all'umanità l'abissale domanda sul senso dell'esserci, una domanda che riecheggia con vibrante urgenza nelle pagine del libro.
Il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno muore sul rogo dell'Inquisizione, a Campo de' Fiori. All'indomani delle guerre di Religione, nel pieno della Controriforma, la Chiesa di Roma non gli perdona la sua insubordinazione. Esiliato, isolato, eterno dissidente, è rimasto imprigionato nei suoi miti troppo a lungo: Bruno ateo, Bruno spia, Bruno moderno, Bruno eretico. Attorno alla figura del Nolano è fiorita una vasta letteratura, che non di rado ha cercato di tirare Bruno da un lato o dall'altro, accentuandone alcuni tratti a discapito di altri. Levergeois abbatte in questo libro i luoghi comuni, tratteggia un Bruno "umanizzato" e lo rende contemporaneo a noi. Passo dopo passo lo seguiamo nella varie tappe della sua movimentata esistenza e del suo irriducibile pensiero. Domenicano, rompe col suo ordine e lascia l'Italia, dando inizio a un lungo peregrinare da esule. A Ginevra si oppone ai calvinisti che lo scomunicano. A Parigi seduce con l'arte della memoria Enrico III e trova protezione. In Inghilterra scandalizza dottori di Oxford e puritani. Una terza scomunica arriva dai luterani tedeschi. Bruno segna una svolta nella storia del pensiero occidentale. Si ispira a san Tommaso, a Cusano e a Ficino a un tempo. Nemico di Aristotele, stabilisce, a partire da Copernico, l'esistenza di un universo infinito, popolato da innumerevoli mondi. Dalla matematica alla magia, passando per la scoperta dell'America, mette in discussione tutto ciò che sembra già acquisito.
Immergersi nella biografia di Raimon Panikkar (1918-2010) è come aprire una finestra su quelle che saranno le vite degli uomini di domani. Nato a Barcellona da madre catalana e padre hindu, Panikkar è stato chimico, filosofo, teologo, numerario dell'Opus Dei, sacerdote cattolico, docente universitario, marito, scrittore, ma anche amico, "maestro", "profeta" e molto altro ancora. Vestito all'europea o in sandali e dhoti, a Bonn, Roma, Varanasi, Santa Barbara o Tavertet, quest'uomo ha penetrato la saggezza di culture e religioni diverse e ha saputo gettare un nuovo sguardo sulla tradizione cristiana e occidentale. La figura di Panikkar appartiene oggi alla leggenda, alimentata in parte da lui stesso, in parte "dilatata, rafforzata e diffusa da tutti quelli che l'hanno conosciuto". Bielawski la riprende con dedizione e rispetto, prova a distillare l'uomo dal "mito" raccontandone la vita e presentando il suo pensiero. In questo viaggio incontriamo teorie ardite, come la visione cosmoteandrica o advaitica, e riflessioni sulla secolarità sacra, sul buddhismo e sulla trinità radicale. Passo dopo passo, il percorso apparentemente erratico del filosofo di Tavertet rivela una profonda coerenza, poiché l'apertura universale, la fiducia cosmica, la passione per Cristo e una coraggiosa ricerca della libertà fanno da filo rosso. Bielawski individua il senso di questo cammino unico e ci guida con trasporto nel "labirinto" Panikkar.
Qual è il Dio vivente? Per Elizabeth Johnson è quello che si illumina di un nuovo significato ed è capace di accendere nuovi aneliti di fede nei diversi contesti della vita contemporanea. Ma soprattutto è un Dio degli umili, intravisto dagli oppressi nella sofferenza e nella miseria. "A partire dalla metà del xx secolo", scrive l'autrice, "si è assistito a un rigoglioso rinnovamento delle intuizioni su Dio. In tutto il mondo, gruppi diversi di cristiani, spinti da particolari congiunture storiche, hanno colto aspetti del Dio vivente da angolature nuove e inaspettate". Johnson ci accompagna così in un viaggio intenso attraverso le teologie più contestate: scopriamo che c'è una teologia dei latinos e dei neri, delle donne, di chi lotta per la liberazione, di chi dialoga con le altre religioni e con la scienza, e persino una teologia "ecologica". Questo saggio che incrocia la riflessione teologica con gli studi post-coloniali e il femminismo, la teoria sociale, la ricerca storica e la lotta per la liberazione, proponendo anche una nuova interpretazione della Trinità, ha scosso l'opinione pubblica mondiale e ha portato alla condanna di suor Elizabeth da parte dei vescovi degli USA.
Torna in libreria, dopo l'edizione Mondadori del 1979, un classico della teologia e della filosofia contemporanee. Nella nuova prefazione Hans Küng afferma che oggi "sia i rappresentanti di Dio in terra sia i loro oppositori hanno perso credibilità". La crisi della Chiesa e delle ideologie però non ha fatto cadere l'attenzione per la domanda sull'assoluto, semmai l'ha resa più intensa: Dio esiste? E se sì, chi è? Dov'è? Come lo possiamo conoscere? Küng ha la sua risposta ovviamente, ma questo saggio si sviluppa soprattutto attorno all'inquietudine, alla curiosità, al dubbio, come appare già dall'impressionante abbondanza di punti interrogativi, così insolita per un libro di teologia. In queste pagine si snoda un lungo viaggio alla ricerca del fondamento della fede. Si impara a conoscere che cosa pensavano di Dio i protagonisti del pensiero moderno, Descartes e Pascal, Spinoza e Kant, Hegel e Schopenhauer, Feuerbach e Marx, Nietzsche e Heidegger e molti altri. Il confronto si allarga agli esploratori della psiche come Freud, Jung, Adler, e a uomini di scienza come Darwin, Einstein, Heisenberg. L'obiettivo di Küng però non è riducibile a una disputa tra dotti: con stile fresco e coinvolgente, egli scandaglia nel passato per illuminare il presente e far emergere tutta l'urgenza delle eterne domande dell'uomo.
L'intensa emozione che ha attraversato l'Italia il 31 agosto 2012 alla notizia della sua morte conduce a chiedersi chi sia stato veramente Carlo Maria Martini. Fu di certo un cardinale a lungo papabile, l'arcivescovo di una delle più grandi diocesi del mondo, il presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, un biblista all'origine dell'edizione critica più accreditata del Nuovo Testamento e altre cose ancora. Ma la risposta esatta è che fu un vero uomo di Dio. Ed ecco il paradosso: proprio per questo motivo egli attrasse l'attenzione e la stima di numerosi non credenti. Questo libro riproduce il dialogo intenso e affettuoso con uno di loro, Eugenio Scalfari, tra i più lucidi e illuminati intellettuali del nostro paese. I temi toccati sono molti: la situazione morale del nostro tempo, l'unità tra cattolici e laici, l'attesa e la preparazione alla morte, l'origine dell'etica, i problemi della Chiesa, la famiglia e il divorzio, Gesù umano e Gesù divino e altro ancora. Si tratta di conversazioni che gettano le basi per una mentalità e un approccio esistenziale del tutto inediti, dove l'amore per il bene e lo sdegno contro l'ingiustizia diventano i nuovi cardini attorno a cui impostare la relazione tra credenti e non credenti. Vito Mancuso invece, dopo aver riflettuto sulla natura profonda della crisi che stiamo attraversando, in un'appassionata lettera al suo padre spirituale mette in luce come la fede non sia dottrina, ma sentimento fiducioso della vita.
L'amicizia verso se stessi è egoismo? Le etiche moderne, unicamente rivolte al rapporto con gli altri, hanno rinunciato alla considerazione del rapporto con se stessi. Eppure proprio la sfrenata diffusione dell'egoismo mostra l'urgenza di una riflessione su un corretto rapporto con sé. Conoscere se stessi non è mai stato facile: Schmid parte dall'esperienza della paura, primo stimolo alla conoscenza di sé, per poi inoltrarsi nei molti paradossi dell'individuo moderno. In una sorta di rieducazione ai sentimenti, l'autore ci mostra che qualunque azione sul corpo agisce sull'anima. Recuperando la tradizione dell'ars vivendi, questo libro suggerisce un percorso tra le abitudini, le debolezze e i sentimenti degli esseri umani per giungere a una "ricerca del senso", oggi più che mai essenziale. Avete tra le mani un manuale della vita saggia scritto con leggerezza e agilità da un moderno Montaigne, un filosofo che non ha perso il desiderio di un'arte di vivere nell'epoca della tecnica. In queste pagine la riflessione viene ancorata al quotidiano, per una filosofia come "consulenza" sui temi più urgenti e concreti: la paura, la cura dell'anima e del corpo, il rapporto con la morte, la gioia della vita e l'amicizia quale sua più alta creazione.
Mentre Hitler e i nazisti seducevano una nazione, intimidivano un continente e sterminavano gli ebrei, un piccolo numero di dissidenti lavorava per smantellare il Terzo Reich dall'interno. Uno di questi era Dietrich Bonhoeffer, uno dei teologi più importanti del Novecento. Coinvolto nel fallito attentato a Hitler, rinchiuso per 18 mesi nella prigione militare di Tegel e poi a Buchenwald, all'alba del 9 aprile 1945, a due settimane dalla liberazione, fu impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg per ordine dello stesso Hitler. Aveva 39 anni e lasciava la fidanzata con cui avrebbe voluto presto sposarsi. Questo libro è la sua biografia. Unendo i due volti della sua vita - il teologo e l'attivista - racconta una storia di incredibile coraggio morale di fronte al male assoluto. L'autore si avvale di documenti prima non disponibili, incluse lettere personali, diari e testimonianze dirette, e con essi rivela aspetti della vita di Bonhoeffer sinora sconosciuti. Non senza significative conseguenze per la comprensione della sua teologia. Diceva: "La grazia a buon mercato è il nemico mortale della nostra Chiesa. Noi oggi lottiamo per la grazia a caro prezzo". La vita di quest'uomo straordinario è una grande testimonianza di fede e di eroismo. La sua passione per la verità e il suo impegno per la giustizia sono contagiosi.
Antiche parole ebraiche sono chiamate a parlare di questioni attuali. Mentre fa emergere il nesso tra economia, etica e politica, l'autrice segue il cammino dell'ebraismo odierno che sa dar voce alla propria saggezza millenaria per accogliere le nuove sfide del tempo globale. Le questioni della cittadinanza e dell'esilio, del rifiuto dell'altro e dei diritti, si alternano ai temi di ecologia e di bioetica. Ogni aforisma, ogni paragrafo, si offre separatamente alla lettura. Sta qui il fascino di queste pagine, scandite con ritmo quasi poetico, dove la passione si accompagna al rigore. Sullo sfondo di una lontananza quasi desertica, dove tutto assume contorni più precisi, risuonano le parole dei filosofi, di Spinoza e Wittgenstein, Arendt e Benjamin, Maimonide e Lévinas, che si coniugano con quelle di rabbini, poeti e kabbalisti, in una polifonia che restituisce il grande dialogo della tradizione ebraica.
Che cosa è più importante nella vita di un essere umano, l’obbedienza o la libertà? Questo testo intenso e coraggioso affronta il “tragico paradosso” della coscienza cristiana, oggi inquieta come non mai, perché divisa tra queste due polarità apparentemente opposte.
Il nuovo libro di Vito Mancuso propone un “discorso sul metodo” in presa diretta, fondato non più sul principio di autorità, ma sul più esigente principio di autenticità. Nella luce del delicato rapporto con il potere ecclesiastico, i grandi temi della riflessione umana vengono declinati in modo inedito, coinvolgente, talora entusiasmante e sempre con la consueta chiarezza.
La verità e il potere a partire dalla teologia politica del Grande Inquisitore, la religione contaminata da politica e laicità, l’identità umana tra anima e coscienza, il destino finale o come nulla o come eternità, il dialogo tra le grandi religioni mondiali e una bellissima meditazione sul motto episcopale del cardinal Martini.
La posta in gioco è particolarmente alta: una fede all’altezza dei tempi, una concezione dinamico-evolutiva della verità. Vero e proprio manifesto della teologia di Vito Mancuso, Obbedienza e libertà lancia un messaggio forte e chiaro: da un lato la Chiesa deve liberarsi della superata visione del mondo insita nella sua dottrina, dall’altro il mondo laico deve tornare a interrogarsi sui grandi orizzonti della ricerca spirituale, perché la spiritualità, scrive Mancuso, «è una particolare gestione della libertà».
«In questo mondo che passa, e passando consuma ogni cosa; in questo mondo che ora fa gioire per il semplice fatto di esserci, ora gemere di rabbia e di dolore come schiavi alla catena; in questo mondo teatro dell’essere e del nulla, libera scelta e cieco destino, allegria della mente e disperazione dell’anima; in questo mondo di fantasmi e di poesia, io non conosco nulla di più grande del bene». Vito Mancuso
Vito Mancuso, teologo, docente ed editorialista de “la Repubblica”. Oltre ad articoli su riviste specializzate, alla partecipazione ad opere collettive (tra cui: Che cosa vuol dire morire. Sei grandi filosofi di fronte all’ultima domanda, a cura di Daniela Monti, Einaudi 2010, con R. Bodei, R. De Monticelli, G. Reale, A. Schiavone, E. Severino), tra le sue opere più recenti ricordiamo i bestseller L’anima e il suo destino, con la prefazione di Carlo Maria Martini (Raffaello Cortina, 2007), La vita autentica (Raffaello Cortina, 2009/Emons 2010, con prefazione di Lucio Dalla), Disputa su Dio e dintorni, con Corrado Augias (Mondadori, 2009) e Io e Dio. Una guida dei perplessi (Garzanti, 2011). Con Elido Fazi dirige la collana di libera ricerca spirituale “Campo dei fiori”. Presso una delle più prestigiose case editrici accademiche tedesche è stato pubblicato di recente un saggio sul suo pensiero: Corneliu C. Simut, Essentials of Catholic Radicalism. An Introduction to the Lay Theology of Vito Mancuso (Peter Lang, 2011).
La scomparsa del vecchio Dio non ha forse spianato la via a un nuovo modo di cercare, amare e pensare la divinità? La sospensione delle certezze dogmatiche non ha forse dischiuso la possibilità per un rinnovato stupore religioso? Situati sul crinale tra teismo e ateismo, abbiamo ora l'opportunità di rispondere in modo più libero alle cose che non possiamo capire. Il filosofo irlandese Richard Kearney chiama questa condizione ana-teismo, o ritorno a Dio dopo Dio - un momento di ignoranza creativa che significa una rottura con le certezze precedenti e ci invita a forgiare nuovi significati a partire dalle sapienze più antiche. La religiosità ritrovata nella sospensione degli assoluti, sia teistici sia ateistici, si caratterizza come apertura allo straniero nella scommessa tra ospitalità e ostilità verso l'altro. Ana-teismo conia un nuovo dominio concettuale per la spiritualità del terzo millennio: accettare che non possiamo mai essere sicuri circa Dio è l'unico modo per riscoprire una sacralità nascosta nella vita di ogni giorno e meravigliarsi della divinità del quotidiano. Come scrive Vattimo nella sua introduzione: "L'anateismo non è solo, in definitiva, il momento di sospensione e di vuoto destinato a trovare "di nuovo" una fede "piena", più o meno affine alle fedi tradizionali, ma un atteggiamento che deve accompagnare ogni fede ritrovata"
Studioso e medico spagnolo, testimone delle persecuzioni contro ebrei e musulmani, autore di un libro esplosivo dal titolo "Gli errori della Trinità", Michele Serveto fu a lungo costretto a vivere sotto falso nome (Michel de Villeneuve) per sfuggire all'Inquisizione cattolica. Quando però giungerà nella protestante Ginevra, verrà arrestato e bruciato in una pubblica piazza per ordine di Giovanni Calvino. Era il 27 ottobre 1553 e Serveto aveva 42 anni. Il suo caso riecheggiò in tutta Europa, segnando l'inizio dell'idea moderna di tolleranza religiosa. Commentandone la morte a distanza di pochi mesi, l'umanista francese Sebastiano Castellione scrisse le celebri parole: "Uccidere un uomo non significa difendere una dottrina, ma solo uccidere un uomo". Oggi Michele Serveto rappresenta uno dei simboli più vividi e drammatici della lotta per la libertà di pensiero, accanto a Giordano Bruno e Galileo Galilei. Le sue idee sull'uomo nato libero e innocente, sul mistero della divinità che è rigorosamente unitario, sono sopravvissute alla distruzione del suo corpo e dei suoi libri. Questa biografia tradotta per la prima volta in Italia, farà sperimentare al lettore l'emozione dell'incontro con la vita e la morte di Michele Serveto, e sarà come un monito a essere sempre in prima linea nella difesa della libertà di coscienza. Introduzione di Adriano Prosperi.
Visionario e carismatico, "innamorato della religione", Huston Smith ci conduce all'incontro con le grandi religioni dell'uomo con l'impatto emotivo di chi sa abbracciarle tutte. Figlio di missionari in Cina e grande viaggiatore, ha intuito prima di chiunque altro il nostro essere "cittadini del mondo" e dunque l'urgenza di conquistare un angolo di visuale più ampio grazie all'ascolto delle religioni altrui. La lettura di questo libro rappresenta un viaggio nel tempo e nello spazio, accompagnati da proverbi cinesi, racconti indiani, aforismi giapponesi, versetti biblici, citazioni shakespeariane e potenti immagini metaforiche. Un vero e proprio pellegrinaggio dell'anima da cui scaturisce una visione globale della vita. Nato come serie televisiva americana, "Le religioni del mondo" è un libro che spiega perché le grandi religioni del mondo sono nate e perché, soprattutto, continuano a esistere.
È una delle rare figure che hanno saputo cambiare il mondo con la sola forza dello spirito. Ma com'è riuscito, quest'uomo fragile e dalla voce esitante, questo giovane avvocato fallito, a riunire milioni di uomini? Com'è avvenuto che le sue mille sconfitte si siano mutate in trionfo? La vita di questo "santo laico" mostra che per non essere più umiliati bisogna prima smettere di umiliare, cambiare il proprio rapporto con l'altro. E Gandhi lo fece, dando l'esempio piuttosto che lezioni, insegnando il coraggio di cambiare se stessi prima di pretendere di trasformare l'altro. Oggi è quanto mai attuale, perché mai come ora la violenza nel mondo è tanto minacciosa e multiforme. La sua prodigiosa contemporaneità emerge da molti fattori, tra cui l'idea di economia etica, la condanna della violenza, l'appello all'opinione pubblica, il ripudio della nozione di "potere". Furono i voti di sincerità, castità, nonviolenza e povertà a far si che la sua lotta non deragliasse mai? Gandhi scrisse che in lui la fede "divenne una forza vivente". Tutti conoscono la sua storia, ma lui rimane comunque un enigma.