Furono gli illuministi per primi a ridefinire un'etica dei diritti cosmopolita, razionale, mite, umanitaria, fatta dall'uomo per l'uomo, capace di dar vita a un potente linguaggio politico dei moderni contro il secolare Antico regime dei privilegi, delle gerarchie, della disuguaglianza e dei diritti del sangue. Furono gli illuministi a far conoscere al mondo intero che i diritti dell'uomo per definirsi tali devono essere eguali per tutti, senza alcun tipo di distinzione di nascita, ceto, nazionalità, religione, genere, colore della pelle; universali, cioè validi ovunque; inalienabili e imprescrittibili di fronte a ogni forma di istituzione politica o religiosa. Ed è proprio ponendo l'accento sul principio di inalienabilità che la cultura illuministica - vero laboratorio della modernità - trasformò radicalmente gli sparsi e di fatto inoffensivi riferimenti ai diritti soggettivi nello stato di natura in un linguaggio politico capace di avviare l'emancipazione dell'uomo. Spaziando dall'Italia di Filangieri e Beccaria alla Francia di Voltaire, Rousseau e Diderot, dalla Scozia di Hume, Ferguson e Smith alla Germania di Lessing, Goethe e Schiller, sino alle colonie americane di Franklin e Jefferson, Vincenzo Ferrone affronta un tema di storiografia civile che si inserisce nel grande dibattito odierno sul nesso problematico tra diritti umani e autonomia dei mercati, tra politica e giustizia, diritti dell'individuo e diritti delle comunità.
"L'invenzione dei soldi" ci racconta in maniera approfondita e divertente, con tanti aneddoti e curiosità, la storia di un'Italia all'avanguardia nel momento in cui per la prima volta la moneta si trasforma in merce e il mercante può così diventare banchiere. È infatti proprio tra Genova, la Toscana (Lucca, Siena, Firenze) e Venezia dopo il Mille che nascono le prime società multinazionali ed è da qui che i mercanti partono per costruire colonie commerciali in tutto il Mediterraneo. È in Italia che nascono le banche e le società di assicurazione, che vengono inventati gli assegni e le prime obbligazioni e qui, di conseguenza, avvengono anche i primi reati finanziari, dai rocamboleschi furti con scasso ai danni dei forzieri di prestigiose banche fino alla creazione di vere e proprie zecche clandestine per falsificare monete. È la moneta italiana, con il genovino, il fiorino e il ducato, a dominare per secoli i commerci di tutto il mondo grazie alla fiducia che riscuote e al suo pregio artistico. "L'invenzione dei soldi" è inoltre un viaggio ricco di personaggi geniali e intraprendenti, capaci di incidere profondamente nella storia moderna, da Fibonacci, che per primo introduce in Occidente lo zero, a Luca Pacioli, che diffonde gli strumenti della contabilità utilizzati ancora ai nostri giorni, fino a John Law, lo scozzese che dà vita alla prima bolla finanziaria della storia, quella della Compagnia del Mississippi, e che finisce la sua vita a Venezia.
L'Europa ha una vergogna segreta, che nessuno aveva avuto il coraggio di studiare e raccontare. Durante la Seconda guerra mondiale, agli ordini di Hitler, nella Wehrmacht e nelle SS non combatterono soltanto cittadini tedeschi, ma anche francesi, inglesi, belgi, danesi, russi, polacchi, lituani, finlandesi, norvegesi, rumeni... E diversi arabi, al seguito del gran muftì di Gerusalemme, amico personale del Führer. Per l'edizione italiana del suo saggio, Christopher Hale ha arricchito il suo studio con un capitolo dedicato agli italiani che tra il 1943 e il 1945 vennero inquadrati nell'esercito tedesco, volonterosi carnefici che contribuirono a insanguinare il nostro paese. Nel formidabile esercito nazista combatterono tedeschi accecati dal nazionalismo di Hitler (che peraltro non era tedesco, bensì austriaco, ma al suo interno furono accolti anche i più feroci antisemiti di tutto il continente, sotto le insegne di un'ideologia razzista che sognava l'instaurazione di un Reich millenario. Furono in molti infatti ad arruolarsi ed ebbero un ruolo chiave nel genocidio degli ebrei e nella lotta contro i partigiani, grazie alla loro conoscenza dei territori occupati. E la loro rete di complicità, prima come massacratori e poi come fuggiaschi, getta la sua ombra fino ai nostri giorni, nell'"internazionale nera" attiva dalla fine della guerra a oggi.
Oggi questa intuizione può essere corroborata da nuove acquisizioni della storia e dell'archeologia, che ci permettono di capire meglio che cosa davvero significhi l'eccezionalità della Grecia nella storia delle civiltà.
Perché su questo non c'è dubbio: i greci, popolo singolare ed esotico, riuscirono a dar vita a una cultura diversa da tutte le altre, pur straordinarie e grandi, fiorite nel corso della storia. Altrove, l'organizzazione e la mentalità politica, le idee, i miti, i modi di pensare, le risorse tecnologiche, la religione, la poesia, l'arte, la scienza si erano concretizzate grazie a un potere autoritario, una monarchia.
In Grecia, invece, fu una vasta cerchia di uomini liberi che, attraverso un complesso percorso storico, inaugurò libere forme di vita. Cultura, libertà e democrazia segue questo affascinante percorso, nelle sue varie fasi e nei suoi risvolti: gli aspetti politici e militari innanzitutto, a partire dal confronto con la Persia e con Roma; e poi la frammentazione e la molteplicità delle città greche, da Atene a Sparta; l'alternarsi di democrazia e aristocrazia, di rivolte e tiranni.
A questo percorso è strettamente intrecciato l'aspetto economico, con la spinta dei commerci e la colonizzazione del Mediterraneo. E va tenuto conto dell'intelaiatura specificamente culturale che ispirò questa evoluzione e al tempo stesso le diede una forma e una consapevolezza: l'epica di Omero ed Esiodo, il rapporto con le divinità, l'importanza dei simposi e la nascita della filosofia…
In una fase di rivoluzione globale, ci suggerisce il libro di Christian Meier, comprendere le nostre radici profonde, i valori che hanno ispirato il percorso della civiltà prima greca e poi europea, è fondamentale: non solo per capire il nostro passato, ma per guardare al futuro.
Un italiano su mille: era più o meno questa la proporzione di ebrei nella popolazione del nostro paese quanto nel 1938 entrarono in vigore le leggi razziali, con le quali lo stato fascista si dichiarava ufficialmente antisemita e dava inizio alla vergognosa persecuzione razzista. Fino a quel momento, tuttavia, ebrei e fascisti avevano convissuto, in un singolare miscuglio di benevolenza e tradimento, persecuzione e aiuto.
Per raccontare l'esperienza degli ebrei nel momento più tragico della nostra storia, Alexander Stille ha seguito il destino di cinque famiglie, diverse per origine e ceto, ma anche nel loro atteggiamento verso il regime.
Gli Ovazza di Torino avevano prosperato sotto Mussolini, tanto che il patriarca della famiglia aveva guadagnato un ruolo di spicco nel partito. I Foa, anche loro torinesi, avevano un figlio fervente antifascista e l'altro iscritto al fascio. I Di Veroli di Roma hanno lottato disperatamente per sopravvivere nel ghetto. A Genova i Teglio, in particolare Massimo, e i Pacifici hanno collaborato con la chiesa cattolica per salvare centinaia di ebrei. Gli Schönheit di Ferrara vennero spediti a Buchenwald e Ravensbrück dai fascisti italiani e dai nazisti tedeschi.
Uno su mille , pubblicato per la prima volta nel 1991, è il frutto di una paziente ricostruzione storica, ma anche di una serie di conversazioni con diversi protagonisti e testimoni di quegli eventi terribili. Documentato meticolosamente ma appassionante come un romanzo, Uno su mille è diventato un classico, un libro importante. Ancora più prezioso oggi, quando i dibattiti sul fascismo si sono fatti molto semplicistici e caricaturali.
Come scrive Alexander Stille, «fa paura pensare al giorno in cui non ci saranno testimoni diretti di quel periodo tragico… Non so immaginare il giorno in cui non ci sarà più nessuno in grado di dire: «mi dispiace, non è stato così, io c'ero».
Al tempo della nascita di Cristo, l'Europa era contrassegnata da uno straordinario contrasto. Da poco unificato sotto la dominazione imperiale di Roma, il Mediterraneo era sede di una civiltà politicamente evoluta, economicamente avanzata e culturalmente raffinata.
Il resto dell'Europa era popolato da agricoltori con un'economia a livello di sussistenza, organizzati in entità politiche di piccole dimensioni. Gran parte di essa era dominata da genti di lingua germanica scarsamente alfabetizzate, che pur disponendo di alcuni utensili e armi di ferro utilizzavano perlopiù attrezzi di legno e non usavano mai la pietra come materiale da costruzione. Più si procedeva verso est, più rarefatto si faceva il paesaggio: meno utensili di ferro, meno produttività nell'agricoltura e minore densità della popolazione.
Mille anni più tardi troviamo un mondo completamente cambiato. Non solo i gruppi di lingua slava si sono sostituiti a quelli di lingua germanica, ma, cosa ancora più importante, il Mediterraneo ha perduto la sua centralità.
A livello politico la causa va ricercata nel progressivo affermarsi nel Nord di entità statuali più grandi e solide. Tuttavia verso il Mille erano anche molti tratti culturali caratteristici del Mediterraneo – non ultimi il cristianesimo, l'alfabetizzazione e le costruzioni in pietra – a diffondersi al Nord e all'Est.
In sostanza le diverse forme di organizzazione umana si sviluppavano verso un maggiore grado di omogeneità lungo una direttrice che interessava l'intera fascia continentale dell'Europa. Furono queste nuove strutture, politiche e culturali, a rompere definitivamente l'antico ordine mondiale fondato sul dominio del Mediterraneo. L'Europa barbarica non era più barbara.
Dopo il grande successo di La caduta dell'impero romano, Peter Heather torna a raccontare la storia del rapporto tra barbari e romani e la nascita dell'Europa. Le migrazioni, alla base della nascita del continente europeo, il loro impatto sul mondo antico, il loro significato, come avvenivano, come erano organizzati i nuovi insediamenti, come si rapportavano al potere romano: ogni aspetto della storia viene presentato e spiegato nel modo più semplice e avvincente. L'impero e i barbari diventa un viaggio nel passato che offre spunti e parallelismi sorprendenti con il presente.
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Il 27 novembre 1095 a Clermont, in Alvernia, papa Urbano II lanciò un vibrante appello alla cristianità: bisognava liberare Gerusalemme e i luoghi santi dalla tutela dei musulmani. Quel giorno fatidico iniziò la storia delle crociate, destinata a durare fino alla metà del XIII secolo.
Anche se in realtà, come spesso accade, le cose furono un po' più complicate. Perché Urbano II non pronunciò la parola «crociata», un termine che all'epoca non esisteva ancora. Inoltre l'intero medioevo è attraversato da movimenti collettivi, da pellegrinaggi di esaltati, da guerre sante: diventa dunque difficile definire e circoscrivere l'ambito delle crociate, e infatti il dibattito tra gli storici sulla loro vera natura e sulle loro caratteristiche è ancora oggi assai vivace.
Alain Demurger illumina, con la sua inarrivabile competenza, il rapporto tra le crociate e le «guerre sante», che hanno insanguinato e insanguinano la storia. Da un lato le spedizioni delle armate cristiane verso la Palestina somigliano per molti aspetti a esperienze storiche antecedenti, come la grande offensiva dell'imperatore bizantino Eraclio contro i persiani nel VII secolo o le prime fasi della lenta riconquista della penisola iberica. Tuttavia le crociate rappresentarono indubbiamente un fenomeno inedito: non fu solo un'idea nuova, fu anche una pratica destinata a creare rapidamente le proprie istituzioni.
Crociate e crociati nel medioevo ricostruisce una vicenda storica memorabile e controversa: risale alla nascita di questo sogno collettivo e ne segue l'evoluzione. Approfondisce i risvolti religiosi e militari. Individua le fonti di finanziamento per imprese costosissime e ne studia le ricadute economiche. Racconta le spedizioni, le battaglie e le stragi. Nel quadro inserisce episodi e personaggi memorabili, raccontati con vivacità. È un affresco completo e affascinante che abbraccia diversi secoli e che dal lontano passato riverba ancora sull'attualità.
In breve
Benedetto Croce e Giovanni Laterza costituiscono un binomio esemplare nella storia della cultura italiana, punto di riferimento per chiunque voglia approfondire la comprensione dell’epoca in cui vissero. Questo carteggio, il quarto della serie, conclude l’edizione integrale del corpus della corrispondenza tra loro intercorsa e offre sulla vicenda una prospettiva privilegiata e di inestimabile valore documentario. Il periodo interessato – dal 1931 all’agosto del 1943, data di morte dell’editore – riveste straordinaria importanza e densità per i drammatici avvenimenti che segnano l’evoluzione politica e culturale della nazione, l’eco dei quali affiora in modo esplicito nelle lettere dei due protagonisti. In un’Italia che vede il regime fascista al culmine della propria parabola, il carteggio testimonia le misure restrittive e i condizionamenti imposti all’attività intellettuale, alla sua produzione e diffusione attraverso l’editoria e la stampa. Un minaccioso susseguirsi di episodi lascia intendere come e quanto la casa editrice sia ormai, principalmente a causa del legame con l’‘oppositore’ Croce, nel mirino delle autorità. Eppure il rapporto di reciproca fedeltà e amicizia, ormai quarantennale, tra il filosofo e il suo editore non ne risulta minimamente offuscato, anzi il legame che li unisce si manifesta semmai in modo più intenso lungo le aspre vicissitudini degli anni della guerra.
Indice
Avvertenza - CARTEGGIO - TOMO I: 1931 - 1932 - 1933 - 1934 - 1935 - 1936 - 1937 - TOMO II: 1938 - 1939 - 1940 - 1941 - 1942 - 1943 - Proemio alla «Critica» nel suo XLII anno e commemorazione di Giovanni Laterza - Scritti di Benedetto Croce citati nel volume - Indice dei nomi
In breve
Inaugurata nel 1517 dalle 95 tesi di Lutero, la Riforma protestante segna la crisi più grave mai fronteggiata dalla Chiesa. L’atroce sacco di Roma del 1527 è un evento epocale denso di suggestioni profetiche ed escatologiche, che costringe la sede apostolica a imboccare strade nuove sia per arginare le dilaganti eresie sia per avviare una politica di riforme che contrasti il profondo discredito in cui l’istituzione ecclesiastica è precipitata. È allora che si apre la lunga e tormentata stagione del Tridentino che nell’arco di quarant’anni, e non senza aspri conflitti interni, approderà infine agli esiti controriformisti e al trionfo dell’Inquisizione. Metafora della Chiesa, della sua missione salvifica ma anche della bufera di quegli anni è la Navicula Petri, la barca di Pietro che Cristo aveva salvato dalla tempesta. Specchio di questa complessa parabola storica, le opere d’arte commissionate dai pontefici di quei decenni – dipinti, sculture, medaglie ma anche strumenti liturgici e monumenti funebri – offrono un’affascinante testimonianza visiva del modo in cui cambia la percezione che la Chiesa ha di se stessa. Via via adattate al variare delle circostanze, dei modelli culturali e dei rapporti di forza, le rappresentazioni del potere non sono soltanto immobili icone destinate a celebrare i fasti della memoria, ma anche strumenti del suo esercizio, veicoli di messaggi ideologici di grande impatto. Dalla sala di Costantino al Giudizio sistino, agli affreschi di Michelangelo nella cappella Paolina, dalla decorazione di Castel Sant’Angelo a quelle di palazzo Farnese e della Cancelleria, da villa Giulia al casino di Pio IV, il volume indaga l’identità storica e religiosa del papato romano in un’età di trasformazioni profonde, fino al pontificato di Pio V.
Indice
Premessa - Sigle e abbreviazioni - I. Clemente VII e il sacco di Roma - II. Il papato farnesiano - III. Verso una nuova identità della Chiesa: da Giulio III a Paolo IV - IV. Gli anni della svolta tra concilio e Inquisizione - Indice dei nomi
Gli anni dello sterminio porta a compimento uno dei maggiori sforzi compiuti da uno storico contemporaneo per ricostruire e comprendere l’evento chiave del Novecento: la persecuzione e lo sterminio di milioni di ebrei nell’Europa occupata dai nazisti.
Per portare a termine il loro piano, i tedeschi avevano bisogno della collaborazione delle autorità locali e dei vari corpi di polizia e della passività delle popolazioni, a cominciare dalle élite politiche e spirituali. Ma era necessaria anche la disponibilità a obbedire agli ordini da parte delle vittime, che così speravano spesso di veder alleviate le loro sofferenze o di sopravvivere abbastanza a lungo da ottenere un visto per sfuggire agli aguzzini.
Saul Friedländer studia la macchina nazista ai suoi diversi livelli e nei diversi paesi: ci permette finalmente di capire la scala, la complessità e l’interdipendenza dei vari fattori che resero possibile lo sterminio. Il materiale esaminato è enorme: non solo documenti ufficiali, ma anche diari, lettere e memorialistica. Questa poderosa sintesi non addomestica la memoria dell’orrore, ma ci restituisce una terribile pagina di storia in tutte le sue sfaccettature, erigendo un autentico monumento alle sue vittime. L’opera di Friedländer – lo sforzo dell’intera vita di un grande studioso – rappresenta una svolta nella storiografia del Novecento: grazie a lui disponiamo finalmente della ricostruzione definitiva dell’Olocausto.
Durante la sua detenzione nel carcere di Spandau, Albert Speer, l'architetto del Terzo Reich, stretto confidente di Hitler e dal 1942 ministro degli Armamenti del regime nazista, fu assistito da Joachim Fest nella redazione delle sue "Memorie" e dei "Diari di Spandau". Fra il 1966 e il 1981 i due conversarono a lungo e in numerose occasioni. Dopo ogni incontro Joachim Fest annotava, in parte testualmente, ciò che si erano detti. Questi appunti - dai quali emerge il profilo di una personalità complessa ed enigmatica, oltre alla costante diffidenza da parte Fest -, vengono ora pubblicati per la prima volta e forniscono uno straordinario primo piano di Albert Speer. Costituiscono un contributo importante per comprendere la psicologia della dirigenza nazista e sono nello stesso tempo un documento fondamentale sulla storia di quel periodo.
«Ho scritto questo libro contro me stesso. Sono totalmente miscredente e fra tutte le religioni quella che sopporto meno è proprio il cristianesimo. Ma da storico ho dovuto sforzarmi di non prendere partito né pro né contro. La cosa più difficile è stato capire cosa si ha nel cuore e nell’animo quando si è cristiani.»
Paul Veyne
La conversione di Costantino al cristianesimo è uno degli avvenimenti decisivi della storia mondiale. Poco prima, nel 309 e nel 311, due feroci persecuzioni avevano provocato migliaia di vittime tra i seguaci del nuovo culto. All’epoca solo una piccola percentuale degli abitanti dell’immenso impero era di religione cristiana. Ottant’anni dopo il paganesimo sarebbe stato vietato, scomparendo per sempre dalla storia.
Paul Veyne, uno dei massimi studiosi dell’antichità, individua le ragioni di quella svolta epocale: le cause storiche, che affondano le radici nella situazione politica dell’impero romano; ma anche le motivazioni personali, radicate nella psicologia di un sovrano che si riteneva il salvatore dell’umanità e che fu dunque in grado di compiere un gesto di straordinaria audacia.
Quando l’Europa è diventata cristiana ricostruisce la cornice di quella rivoluzione politica, culturale e religiosa, e ne analizza le conseguenze. La cristianizzazione dell’impero seguì un cammino tortuoso, che portò finalmente alla sintesi tra due sistemi di valori, cambiando profondamente sia la romanità sia la Chiesa, che convertì milioni di persone senza fare martiri. Ma quel processo lasciò anche cicatrici profonde: l’antisemitismo cristiano iniziò proprio allora a sedimentare i suoi veleni. Senza dimenticare che quegli eventi così lontani nel tempo riverberano ancora nel dibattito politico, come conferma la discussione conclusiva sulle radici cristiane dell’Europa. Veyne ci offre così una riflessione documentata e a tratti provocatoria sul rapporto tra ideologia e religione, tra monoteismo e psicologia, tra storia e politica.
Tra il 1938 e il 1945 l'Europa ha conosciuto una devastazione senza precedenti. Per la seconda volta nell'arco di una sola generazione la Germania attuava una campagna di conquista che già nel 1941 la vedeva ormai in guerra contro l'impero britannico, l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti. E tre anni e mezzo dopo l'Europa e la parte occidentale dell'Unione Sovietica erano ridotte a un cumulo fumante di macerie. Ma come è potuto accadere? Come è stato possibile il ripetersi di una tragedia simile a distanza di pochi anni da quella precedente? A differenza di quanto ci è sempre stato insegnato, Adam Tooze cerca di dare una risposta cambiando la prospettiva: se la tragedia vissuta dall'Europa nel XX secolo avesse avuto le sue radici nella debolezza della Germania, anziché nella sua forza? L'attenzione si sposta dunque sull'economia tedesca, oltre che sulla questione razziale e sulla politica. Con un imponente lavoro di ricerca e una documentazione minuziosa, "Il prezzo dello sterminio" cambia radicalmente la visione della Germania nazista e in buona parte anche la storia della seconda guerra mondiale, e forse dell'intero XX secolo.
II Rinascimento è l'età d'oro dei ritratti: non più soltanto i potenti, ma anche personaggi dei ceti medio-alti come mercanti, banchieri e letterati chiedono ai pittori di rappresentare loro stessi, la donna amata o un amico. La popolarità dei ritrattisti è tale che, nella Venezia del Cinquecento, un intellettuale potente e alla moda come l'Aretino si lamenta della concorrenza sleale dei pittori e li accusa di oscurare la fama e il prestigio degli scrittori. Le sue lagnanze hanno il pregio di evocare una storia lunga, fatta di collaborazione e di conflitto, in cui poesia e pittura si confrontano ad armi pari sul terreno comune del ritratto. A cominciare da Petrarca, che dedicò due famosi sonetti al dipinto di Laura firmato dall'amico Simone Martini, per arrivare a Lorenzo de' Medici, Bembo, Della Casa, Castiglione, Tasso, Marino e moltissimi altri, l'epoca rinascimentale offre un illustre parterre di testimonianze dell'attenzione tutta speciale riservata dai poeti all'arte del ritratto, forma pittorica divina perché capace di dar vita all'immagine, di addolcire il dolore dell'assenza, di consolare i bisogni del desiderio. Questo libro offre una significativa scelta di testi poetici dedicati al ritratto, affiancati alle immagini a cui sono legati, fino ai ritratti che compaiono nei frontespizi dei libri. Testi e dipinti vengono inquadrati criticamente nella tradizione poetica e nella stagione pittorica di riferimento e i legami tra loro sono analizzati nella loro complessità.
L'incontro tra Ulisse e Nausicaa, quello tra Leopold Bloom e Gerty MacDowell, l'incontro di Lucia con l'Innominato e quello tra Emilio e Angiolina, in Svevo: nelle narrazioni di ogni genere e tempo l'incontro non è solo tema molto vitale dell'intreccio ma anche artificio della trama, contenuto e forma. Se i personaggi di Balzac e Manzoni vivono gli incontri come momenti decisivi dell'esistenza, desiderati, programmati o indotti, nel modernismo europeo e in buona parte della successiva letteratura del Novecento, con il prevalere di un senso di caos e incontrollabile casualità, la fecondità narrativa dell'incontro si 'svuota'. Non più effetto di azioni consapevoli, si stempera nella gamma intangibile degli incontri mancati, sostituiti o impossibili, faccia a faccia perturbante con una imprendibile alterità, o prodotto di inconfessabili pulsioni. Dietro l'incontro interpersonale si percepisce, in filigrana, la condizione dello scrittore e il suo rapporto incerto e problematico con la realtà. Da Manzoni a Joyce, da Flaubert a Proust, da Maupassant a Svevo, Pirandello e Kafka, Romano Luperini guida il lettore in una suggestiva e densa indagine alle radici della rappresentazione letteraria del motore capriccioso che governa l'esistenza.
Questo libro ricostruisce la biografia di Vittore Soranzo, vescovo ed eretico, secondo un classico modello narrativo, di cui la ricerca storica ha riscoperto il valore quale strumento fondamentale per superare la rigidità delle categorie periodizzanti, dei quadri politici e sociali, delle strutture istituzionali, e cogliere la creatività degli individui nell'affrontare le sfide del loro tempo, nel decidere e nell'agire per sé e per gli altri, nel muoversi sui crinali fra coerenza e compromesso, tra convinzione e responsabilità. In questa prospettiva si è cercato di disegnare il percorso tutt'altro che scontato di quel patrizio veneziano, forse di non eccezionale statura intellettuale ma certo dotato di non comune coraggio e fermezza, attraverso la cultura, i conflitti e le grandi scelte che la sua generazione fu chiamata a vivere sullo sfondo delle guerre d'Italia, del fulgido autunno rinascimentale, delle grandi fratture religiose che precedettero e accompagnarono il Tridentino, della crisi profonda che investì allora la Chiesa di Roma con la protesta di Lutero e il dilagare della Riforma in tutta Europa.
Questo volume, il terzo dei quattro dedicati alla corrispondenza tra Benedetto Croce e Giovanni Laterza, copre il decennio 1921-1930, durante il quale la volontà di adempiere e una 'missione civile', che costituisce il tacito presupposto della loro intesa, trovò ostacoli sempre più marcati. L'affermazione del regime fascista, impedendo la libera espressione del pensiero, ha inevitabili conseguenze sulla produzione editoriale. Nonostante la depressione che colpisce il mercato librario, Croce e Larerza operano in smergia per mantenere saldo il legame con le forze intellettuali vive e operanti in Europa e nel mondo. La loro lotta contro l'imbarbarimento culturale suscita polemiche e reazioni da parte delle autorità e degli intellettuali fascisti; nel 1928 la Storia d'Italia di Croce, non ufficialmente censurata, diventa oggetto di una sistematica campagna denigratoria attraverso i giornali. Larerza è a sua volta bersaglio di una pesante offensiva di carattere finanziario. Sono anche gli anni in cui l'opposizione di Croce al fascismo si fa sempre più esplicita e matura la crisi del suo rapporto con Gentile. Quando giungerà la rottura definitiva, Laterza non esiterà a schierarsi dalla parte dell'amico e consigliere.
Nell'Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, ex Sant'Uffizio, si trovano alcuni fascicoli che riguardano il processo, naturalmente in absentia, cui furono sottoposti, a partire dal marzo 1932, innanzitutto la Storia d'Europa nel secolo decimonono di Benedetto Croce, condannata e messa all'Indice dei libri proibiti il 13 luglio 1932, e poi l'intera opera dello stesso Croce e quella di Giovanni Gentile, condannate e messe all'Indice il 20 giugno 1934. Ma si trovano anche altri fascicoli che riguardano i controlli, le censure e le condanne di cui furono costantemente oggetto libri e soprattutto manuali scolastici delle scuole superiori, specie per gli insegnamenti di storia, di filosofia e pedagogia. Questi fascicoli, i primi e i secondi, sono stati la guida per ricostruire una delle vicende più interessanti e probabilmente più importanti che hanno caratterizzato gli anni del fascismo: lo scontro fra la neoscolastica da una parte, l'idealismo e l'attualismo gentiliano dall'altra.
L'esperienza giuridica medievale si pone come un pianeta separato e distinto da quello moderno: un insieme di valori fortemente incisivi e largamente diffusi creano una particolare mentalità giuridica e impongono precise scelte e soluzioni per i grandi problemi della vita associata. Su questa base Paolo Grossi ricostruisce magistralmente tale mentalità, assumendo a sue fedeli cifre espressive in primo luogo i vari istituti che organizzano la vita d'ogni giorno, ciò che oggi noi chiameremmo 'diritto privato'. Ne emerge una civiltà intimamente giuridica, perché fondata su un ordine che è offerto dal diritto e che sul diritto si incardina.
Non si può capire lo sviluppo economico dell'Italia post-unitaria guardando solo all'Italia stessa. L'Italia è già allora parte di un mondo più vasto, all'interno del quale circolano, oltre ai beni, gli uomini, le idee, il denaro. Dal 1861 al 1913 l'Italia si dota di infrastrutture moderne, sviluppa l'industria, il tenore di vita si innalza. La produzione complessiva cresce senza particolari discontinuità, ma con ampi movimenti ciclici le cui alterne fasi dipendono dai mercati finanziari internazionali. L'economia italiana prospera quando i capitali del centro nordeuropeo si riversano nei paesi periferici, ristagna o retrocede quando questi se ne ritirano; la stessa ascesa giolittiana è parte di una ripresa mondiale.
Né ateo né pagano, come lo ha interpretato tanta parte degli studi, il Machiavelli di Viroli trova il suo Dio nel cristianesimo repubblicano che viveva a Firenze. Una tradizione fondata sul principio per cui il vero cristiano è il buon cittadino che serve il bene comune e la libertà. Dio partecipa alla vicenda umana, sostiene e premia chi governa con giustizia, vuole che gli uomini operino per rendere la città terrena simile alla città divina. Machiavelli delinea una religione della virtù senza la quale le libere repubbliche non potrebbero nascere, né esistere, né difendersi dalla corruzione.
Gli americani sono europei che hanno lasciato il proprio paese natale per sfuggire a persecuzioni religiose o politiche, alla povertà, alle barriere dei rapporti di classe o alla mancanza di opportunità di miglioramento economico o sociale. Non stupisce quindi che l'Europa si sia configurata nella coscienza degli americani come una madre-matrigna, sede di intolleranza religiosa o politica, di falsi splendori per pochi e di terribili miserie per molti. Storico delle dottrine politiche, Massimo Salvadori analizza l'idea di Europa nella rappresentazione del pensiero politico americano, dalla fine del Settecento alla metà del ventesimo secolo, evidenziando come un certo antieuropeismo americano abbia origini antiche.
Il punto di partenza della riflessione dello storico e politologo statunitense è una mappa storica della saga della grande ricchezza, dal Settecento sino a oggi, nella più grande potenza economica e politica: come sono state accumulate le grandi fortune, quali sono state le loro origini e quali le loro fluttuazioni tra periodi di euforia e momenti di crisi. Ad arricchire l'analisi è lo studio dell'intreccio tra ricchezza e politica, anche nei suoi lati oscuri, perché, come dice Michele Salvati nella sua Presentazione, "molto spesso i ricchi e i politici hanno lavorato in tandem per creare e perpetuare situazioni di privilegio, talora a scapito dell'interesse nazionale, quasi sempre a scapito dei ceti meno prosperi".
Per quarant'anni, dal 1901 al 1943, Benedetto Croce e Giovanni Laterza hanno intrattenuto una corrispondenza che attesta la complessità di un rapporto divenuto una profonda intesa intellettuale e un'autentica amicizia. Questo volume copre il periodo che va dal primo incontro, avvenuto a Napoli nel dicembre 1901, al 1910. Attraverso il dialogo tra il filosofo e l'editore, emergono le problematiche inerenti la genesi e l'evoluzione di alcune tra le più importanti collane della casa editrice: si riconfigura la "Biblioteca di Cultura Moderna", nascono i "Classici della filosofia moderna", gli "Scrittori d'Italia" e Croce stesso dà inizio alla pubblicazione delle proprie opere con Laterza. Un volume curato dall'Istituto Italiano per gli studi storici.
Economista, statista, governatore della Banca d'Italia, Luigi Einaudi fu tra i massimi teorici di un liberismo moderno, convinto oppositore di una gestione realista della "res publica", lungimirante sostenitore dell'unità europea. Questo volume raccoglie un centinaio dei suoi scritti selezionati tra una vasta produzione letteraria. Gli argomenti spaziano dalla cultura generale a temi scientifici, economici, storici, ma soprattutto politici: le tasse, la burocrazia, il sistema proporzionale, gli scioperi, la scuola, l'inflazione, la disoccupazione, la libertà di stampa. Emergono i complessi problemi della vita pubblica nazionale. Problemi ancora oggi al centro della polemica politica sulle regole di un buongoverno democratico.
Quale rilevanza ha il tempo, e la memoria, nella costruzione di una ragione giuridica? Su questa domanda si articola la prima parte del volume. Essa non considera solo il pensiero antico in alcuni momenti decisivi: il platonismo, per esempio, e la riflessione aristotelica, o la giurisprudenza romana; ma approfondisce il dialogo, ora solidale ora polemico, che la modernità intrattiene con la cultura classica: dalla critica umanistica della Compilazione giustinianea, e da Bacone, Hobbes e Leibniz, a Bentham e a Savigny, sino a Schmitt e a Kelsen. Nella seconda parte il libro compie anche un esame di coscienza e si interroga, ancora una volta, sugli intenti e i modi di una storiografia giuridica nella società contemporanea.
Abate cistercense e riformatore monastico, Gioacchino da Fiore è l'apocalittico che più ha influito su tendenze e movimenti profetici e millenaristici dell'Occidente medievale e moderno. In questa biografia, le posizioni teologico-politiche di Gioacchino sono decifrate sullo sfondo del prolungato conflitto che oppose il Papato all'Impero al tempo di Federico Barbarossa e di Enrico VI, di Costanza d'Altavilla e di Innocenzo III. Un periodo drammatico per la Chiesa romana che, nella fase convulsa della caduta di Gerusalemme (1187) e del tramonto del Regno normanno di Sicilia, appare incerta e divisa sulla linea da tenere nei confronti dell'Islam, dell'Impero e degli eretici catari e valdesi.
Attualmente docente di Storia alla Princeton University, Peter Brown affronta nei tre saggi qui raccolti l'emergere nella tarda società romana dei poveri come classe sociale distinta, nei confronti della quale la Chiesa cristiana dichiara di sentirsi particolarmente responsabile. Attingendo a fonti greche, latine, giudaiche, l'autore descrive la condizione dei poveri in epoca precristiana e la natura delle loro relazioni con la Chiesa.
Giuseppe Galasso esamina in queste pagine la storia italiana ed europea del Novecento, con tutta la vivacità del vissuto di uno dei grandi spiriti che quella storia ha contribuito a costruire. Un protagonista che ha interpretato e promosso lo spirito e l'identità di una cultura, di un mondo civile e sociale, di una tradizione e di uno spazio etico-politico. Un Croce al di là delle polemiche che ne hanno alterato o falsato la figura e il ruolo. Non il dittatore di mezzo secolo di cultura italiana, ma una grande voce dell'Europa in Italia e dell'Italia in Europa. Non il celebratore di una marcia trionfale dello Spirito o del bene e del meglio nella storia, ma un testimone del suo tempo e della perenne dialettica propria dello spirito e della storia.
Attraverso un'ampia documentazione storica, "La ricchezza e la povertà delle nazioni" affronta il problema più grave e urgente del pianeta: il divario crescente tra i ricchi e i poveri. Nel corso degli ultimi 600 anni, i paesi più ricchi del pianeta sono stati quasi tutti europei. Alla fine del XX secolo la bilancia ha iniziato a inclinarsi verso l'Asia, dove paesi come il Giappone si sono sviluppati con inedita rapidità. Ma perché alcune nazioni sono state privilegiate mentre altre sembrano destinate a restare per sempre nella miseria? Riprendendo la riflessione di Adam Smith, David S. Landes ricostruisce la lunga storia della ricchezza e della potenza nel mondo.
La poesia ellenistica, distendendosi lungo l'arco cronologico che va dalla decandenza della polis all'avvento dell'impero romano, è il grande anello di congiunzione tra le più potenti espressioni della letteratura greca - l'epica, la lirica, la commedia, la tragedia - la cultura latina e, grazie a questa, la tradizione europea. La sfida di adeguare una produzione letteraria matura a un mutato contesto culturale e intellettuale fu affrontata da autori come Menandro, Callimaco, Apollonio Rodio, Teocrito, proponendo un complesso intreccio di contaminazioni, sperimentazioni, innovazioni. Fu una risposta di fronte alla riscoperta dell'individualità e dei sentimenti, alla "privatizzazione" del ruolo dell'artista e del letterato.
Il libro ricostruisce il ruolo fondante che l'esperienza politica e istituzionale di città come Atene e Sparta ha svolto nel pensiero e nelle vicende politiche della nostra storia, in particolare nel periodo che va dal '400 al '700. Concetti-chiave quali l'uguaglianza, la democrazia, la libertà, la partecipazione politica affondano infatti le loro radici nella nozione stessa di polis e hanno avuto origine nell'esperienza politica e istituzionale di una civiltà solo apparentemente lontana.
Pietro Costa in questo secondo volume dedicato alla cittadinanza in Europa, prende in considerazione il periodo che va dal Settecento alla metà dell'Ottocento. Fra gli argomenti trattati: la cittadinanza nella rivoluzione, fra l'età Napoleonica e i moti del '48, l'invenzione della società, la cittadinanza in Italia e in Germania, i dilemmi della cittadinanza.
"Stupor mundi" fu detto dai contemporanei Federico II di Svevia, l'unico degli imperatori germanici del medioevo, insieme al Barbarossa, che occupi un posto riconosciuto nella nostra storia e subito ci rimandi a immagini evidentissime: la disfatta inflittagli nel 1248 dai popolani di Parma, la città di quel Salimbene che lo paragonava a un drago funesto; gli splendori della corte di Sicilia, consacrati dalla lirica della "prima scuola", di cui il sovrano medesimo era mecenate; i castelli di Puglia, gli arcieri musulmani, le donne dell'harem, le cacce col falcone illustrate nel suo trattato, il più ricco che ci resti in materia. Immagini romantiche, però. E confluenti verso un'interpretazione convenzionale, che confina Federico in una luce araldica di crepuscolo: per chiudere con la sua figura un conflitto secolare tra impero e chiesa, e inaugurare invece il decollo della civiltà borghese mercantile culminante nel rinascimento. Qui l'imperatore non è segnacolo di una fase storica schematizzata, ma si muove all'interno di un complicato gioco d'azioni e di reazioni. Di lui viene rivelata, duplice e sconcertante, l'anima insieme feudale e "illuminata": il senso feroce del potere, e lo scetticismo che a esso poneva di continuo un limite invalicabile.