Una radicale messa in questione del sistema economico mondiale
Il capitalismo era così inevitabile come spesso si afferma e si suppone? Il modo di produzione capitalistico e la sua struttura sociale furono migliori o peggiori rispetto ad altri modi sperimentati dalle società umane? Jaffe cerca la risposta sul piano storico e su quello politico. Ripercorre a grandi tappe la storia delle maggiori aree del mondo e ne mostra le variate linee di sviluppo, interrotte tutte dall’impatto violento con il mondo dei soldati, degli amministratori, degli imprenditori, che dall’Europa e poi anche dagli Stati Uniti d’America si impadronirono dei loro commerci e della loro economia, determinandone le trasformazioni politiche e sociali. Questo dominio produsse innumerevoli vittime, distrusse città e opere d’arte, destrutturò economie e reti di commercio, con un bilancio che resta fortemente negativo per la maggior parte del mondo, che lo subì. Dall’inizio e fino ad oggi, prima il colonialismo, poi l’imperialismo alimentano in modo decisivo il capitalismo occidentale. Questo processo disegna la grande divisione tra i paesi che producono il plusvalore del mondo e i paesi che lo incassano. Marx capì l’importanza essenziale del colonialismo per la nascita del capitalismo, ma, contrariamente a Lenin, gli sfuggì il ruolo determinante che esso continuava ad avere, nella forma dell’imperialismo. Malgrado le aspettative del marxismo eurocentrico, nei paesi che vivono del plusvalore internazionale e lo redistribuiscono al loro interno non si è mai formata una classe in grado di realizzare una rivoluzione socialista, tanto meno di guidarne la diffusione mondiale. Le uniche rivoluzioni socialiste cui abbiamo assistito nel secolo scorso sono avvenute in alcuni dei paesi produttori di plusvalore, i cui contadini e operai lottarono per liberarsi dalla dipendenza dal capitalismo. Se il parametro di giudizio è l’umanità che compie il suo destino di libertà e uguaglianza, possiamo ancora dire che il capitalismo fu necessario?
Una approfondita critica al sistema capitalista internazionale
Per comprendere il capitalismo, o meglio i capitalismi nelle varie forme assunte nell'attuale fase di mondializzazione, dobbiamo rispondere ad alcune domande fondamentali: come si organizza il lavoro? Come funzionano i mercati? Chi determina l'ammontare dei profitti e l'ammontare dei salari? Chi determina le tecnologie? Perché alcuni lavoratori guadagnano più di altri? Che cosa è una crisi e quando assume un carattere strutturale invece che congiunturale? Le risposte che si possono dare a questi interrogativi dipendono in larga misura dalla prospettiva con cui guardiamo la realtà economica, cioè dal tipo di teoria che si decide di adottare per interpretarla. Questo lavoro ha un oggetto delimitato nel tempo e nello spazio. Non è un'esposizione della cosiddetta "economia pura", ma si offre come guida alla comprensione della fase attuale di mondializzazione della produzione e riproduzione sociale in forma capitalistica e della sua crisi strutturale e sistemica, con riferimenti alla teoria del modo capilatistico di produzione come processo complessivo. In questo senso si tratta di economia applicata e non della dizione accademica che individua le varie economie applicate: all'ambiente, all'ingegneria, alla sociologia, ecc. Per giungere a tale risultato, ci vuole quella "cassetta degli attrezzi" che ha permesso a Marx di appropriarsi degli strumenti dell'economia politica per poi sottoporli a critica serrata, realizzando quindi, sempre in chiave scientifica, una teoria complessa per il loro superamento e, con esso, per il superamento del modo di produzione capitalistico.
La nascita e la successiva perversione del capitalismo moderno in Italia, attraverso le biografie dei capitani d'industria e le cronache dell'affermazione e declino delle loro imprese, ripercorrendo le tappe della nascita e della liquidazione del capitalismo di stato, sostituito dall'allegra gestione delle privatizzazioni dell'ultimo decennio: di questa storia parla il libro. Mentre in altri paesi il capitale ha continuato a effettuare investimenti produttivi capaci di creare buona occupazione, le grandi fortune industriali del Belpaese si sono presto convertite in investimenti finanziari, manovre bancarie e di Borsa, acquisti e fallimenti ad arte che non generano ricchezza sociale, erodendo progressivamente i livelli occupazionali dell'industria, dell'amministrazione pubblica e dei servizi. La finanziarizzazione, il ricorso continuo alla sovvenzione (non al sostegno) statale e l'illegalità che pervade la pratica economico-politica in Italia, ancora in attesa dagli anni di Tangentopoli di una ponderata riflessione storica e politico-economica, sono le risposte asfittiche di un gruppo imprenditoriale oggi più che mai incapace di confrontarsi con i mercati esteri, con la sfida delle esportazioni, con i competitori internazionali. Tutto lascia pensare che l'attuale fase di crisi del sistema industriale e, più in generale, del sistema economico italiano oltrepassi il livello delle contingenze e abbia radici più profonde.
"Che cosa ci permette di dire che con questo volume su "Che" Guevara economista non si sta facendo né un'opera di amarcord, né una filologica memoria di un dibattito da veteromarxismo tra Guevara e il manuale di economia sovietico dell'epoca? Due sono le risposte che rendono questo libro uno strumento di conoscenza e di lavoro attuale. La prima, estrinseca, la constatazione che molti sono i Paesi che si trovano oggi in situazioni similari a quella di Cuba alla fine degli anni '50, ognuno con le sue peculiarità, ma tutti gravati da una mancanza di sovranità alimentare e dalle regole del giogo economico internazionale. La seconda, intrinseca: per rendere un Paese indipendente sul piano economico, transitandolo fuori dall'economia coloniale capitalistica in una società socialista, occorrono scelte economiche sia di largo orizzonte che peculiari alla situazione. Pianificazione, sistema statale con distribuzione di budget alle imprese, compresenza della legge del valore e del mercato nella transizione: questi sono gli strumenti economici che, non disgiunti dal grande tema della responsabilità umana in un processo di cambiamento, qualsiasi società che volesse uscire dalla morsa di ciò che chiamiamo globalizzazione liberista dovrebbe, accanto ad altri, affrontare."
Il volume ripercorre la rotta che dal colonialismo ha portato all'imperialismo, di stampo principalmente europeo e da questo alla necessaria nascita, nello scenario della competizione globale e dello scontro tra potenze, degli imperialismi. Il testo è corredato da una appendice sulle caratteristiche dei mercati monetari e del loro ruolo nella lotta tra gli imperi. Una cronologia delle guerre coloniali e numerose schede sui paesi interessati dai conflitti chiudono il libro.
Alla domanda "che cos'è il capitalismo?" le risposte si differenziano a seconda che si consideri l'evento del capitalismo un fenomeno pertinente alla macroeconomia piuttosto che alla sociologia politica, alla storia o ad altra disciplina. Si dirà che la differenza fondamentale sta nella separazione tra difensori e oppositori del capitalismo. Ma questa seconda differenza, o se vogliamo primaria dialettica, oggi si sta sempre più sfumando nei Paesi che si autodefiniscono sviluppati.
L'era della "competizione globale" non è solo l'aumento del divario tra ricchezza e povertà, tra paesi e nei paesi, ma è questo sistema di guerre continue e di condizione militare a cui si vuole sottomettere il pianeta. Di qui l'importanza e la novità del movimento della pace che soffia a livello globale. Tale movimento è chiamato a riconoscersi nei movimenti antimperialisti, cioè nelle realtà in atto che contestano il sistema di competizione globale. La forza del movimento antimperialista si trova tra i lavoratori delocalizzati, le popolazioni organizzate, sfruttate e impoverite dai regimi clientelari dell'interesse imperiale.
L'Europa costruita sulla base di parole chiave quali "sviluppo", "sicurezza", "competizione" e "euro", non implica l'apertura e l'accoglienza dei cittadini e degli stranieri. Non si tratta di un'Europa dell'interesse pubblico e dei lavoratori, ma una costruzione che tende a realizzare, attraverso il controllo degli abitanti e delle risorse, le migliori condizioni per la competizione economica neoliberista. L'allargamento rischia di tramutarsi in un mezzo per ottenere manodopera a prezzi sempre più bassi e per ridurre le protezioni sociali. Non è, insomma, un'Europa delle persone e dell'incontro delle culture, ma Europa dei capitali. Il volume indaga queste questioni in vista di un modello diverso, di un'Europa dei popoli costruita dal basso.
Gli stati nazionali non sono un organismo superato dalla globalizzazione, anzi sono uno strumento di quanto essa vuole mascherare, ovvero la mondializzazione del capitalismo e la competizione globale. I conflitti che si sono succeduti non hanno nulla della pax imperiale di una globalizzazione pacifica e positiva, delle pari opportunità, di un progresso e di un benessere per tutti. Il libro sostiene che la competizione economica tra potenze nazionali e soprannazionali si è quanto mai accresciuta nella situazione di crisi strutturale in cui versa il capitalismo da qualche decennio. In tale contesto gli stati nazione hanno espanso la propria attività che varia secondo il suo carattere imperiale e neocoloniale e in funzione delle strategie egemoniche.
Il volume raccoglie alcuni tra i massimi critici dell'economia politica (veri macroeconomisti) a livello internazionale. Si propongono gli strumenti macroeconomici e finanziari per comprendere l'attuale fase dell'economia capitalistica e la sua portata, secondo i quali globalizzazione, crisi finanziarie e guerre, sono la risposta a una crisi di sistema, come si è manifestata a partire dagli anni Settanta. Sono inoltre affrontate le ricadute di tale crisi sulle forme di produzione e sul rapporto capitale-lavoro. II curatore è docente alla Sapienza di Roma, dirige il Centro Studi CESTES e la rivista "Proteo".
Chi e dove è il colono di oggi nel mondo? Queste brevi e dense pagine concernono l'attuale condizione del mondo e del Pianeta e perciò anche l'attuale condizione degli italiani e di Milano dove viene pubblicato il libro. Perché il mondo non diventi Fort Apache.