La storia dell'editoria è la storia dell'emancipazione di un mestiere da un altro. O meglio da altri due: quello del tipografo e quello del libraio. L'editore non è chi stampa un libro né chi lo vende, scriveva Niccolò Tommaseo, ma chi lo fa stampare per farne commercio. Ne discende che l'editoria non ha una data di nascita. È un'attività che si struttura in modo graduale, definendosi in corso d'opera. La sua affermazione si configura allora come un lento processo che, almeno nel caso italiano, inizia nella prima metà dell'Ottocento, si compie sul finire di quel secolo e perdura nella forma di un'interdipendenza fra i tre mestieri per tutto il Novecento. Questo volume delinea tale parabola, ponendo in rilievo la relazione che intercorre fra libri e società, industria editoriale e storia nazionale. Ripercorrendo le vicende di alcune case editrici - fra cui Zanichelli, Treves, Bemporad, Hoepli, Laterza, Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, Adelphi, Sellerio - e concentrando l'attenzione su alcune questioni trasversali alla loro attività, traccia un quadro non solo dell'editoria italiana, ma anche dell'Italia dei libri dall'età liberale a quella repubblicana.
Obbligato per decenni ai margini del dibattito politico per il suo apparente anacronismo, il neofascismo, nelle sue diverse declinazioni storiche, ha invece riassunto oggi le vesti di uno scomodo convitato. Non è il ritorno a vecchie organizzazioni che si erano incaricate di raccogliere, in età repubblicana, il lascito mussoliniano. Men che meno degli spettri, mai del tutto dissoltisi, di quest'ultimo. Semmai assistiamo a una riformulazione culturale e antropologica della sua attualità in quanto sistema di rapporti e relazioni politiche per i tempi a venire. L'asticella non è rivolta al passato bensì al futuro. Se le società europee si trasformano dinanzi all'incalzare della globalizzazione, così come nella secca riconfigurazione della stratificazione sociale, il neofascismo del presente è in grigio: si propone come il soggetto che intende difendere la «differenza»: nazionale, etnica, in prospettiva razziale. Tanto più in età pandemica, nella crisi delle democrazie sociali.
Perché investire denaro ed energie nella ristrutturazione di una vecchia e scomoda baita nel cuore delle Alpi Cozie? Questo è il racconto di una migrazione verticale, con i suoi successi e i suoi ostacoli, per fuggire il riscaldamento globale che rende sempre più roventi le estati nelle città. Le montagne, con la loro frescura, sono a due passi e offrono nuove possibilità di essere riabitate; e ciò attraverso il recupero di borgate abbandonate con tecniche di bioedilizia rispettose del paesaggio ma all'altezza delle necessità di agio e di connettività per poterci vivere e lavorare. Per salvarci dall'emergenza climatica e ridare spazio alla contemplazione di ciò che resta della natura. Mercalli affronta, con questo libro molto personale, il tema del riscaldamento climatico attraverso una narrazione in prima persona che racconta la propria esperienza del «salire in montagna»: il tentativo di persuadere della necessità di un cambiamento della nostra esistenza, attraverso una vicenda esemplare.
L'Italia è sempre stata meta prediletta del turismo internazionale. Poi è arrivata Airbnb. E ha cambiato tutto. La nazione dove 8 cittadini su 10 vivono in una casa di proprietà e dove 4 giovani su 10 non hanno lavoro, ha fiutato l'affare. Così chi ha ereditato l'appartamento ma non il posto fisso ha cominciato a ricavare dalle quattro mura il proprio sostentamento. Oppure ha trovato spazio nel vasto indotto dell'ospitalità. Quest'attivismo si scontra con una militanza di segno opposto. I comitati anti-movida, gli urbanisti preoccupati dallo snaturamento delle città d'arte e la disneyficazione dei nostri borghi. A cui si aggiungono le accuse di elusione fiscale e di concorrenza sleale agli albergatori; e la guerra è servita. Entrambe le fazioni hanno le loro ragioni. L'unica maniera sensata di uscire dal conflitto è governare il fenomeno. Come hanno fatto in varie città europee. E non solo.
Beppe Sala presenta qui un testo terso di cultura e proposta politica. Interpretando i temi che caratterizzano un'autentica visione globale, propone la struttura di una nuova forma per il socialismo del XXI secolo e affronta i nodi storici che determinano la vicenda internazionale e italiana. Bisogna ragionare su una diversa idea della politica, del governo, del mondo, degli affetti e delle azioni necessarie per pensare a una società più equa. Sala, da sindaco di una città nevralgica come Milano e da politico che crede nella missione civile e politica della sinistra, insiste sulla necessità di una connessione tra le grandi città mondiali, nella prospettiva di una utopia concreta: una comune società per azioni, basata sulle risorse infinite delle persone che vi partecipano. Non la Città-Stato, ma la Città-Mondo è il perno di un mutamento di prospettiva. Essa rappresenta in sé il mondo: chiunque vi è incluso, chiunque ha diritto di cittadinanza, purché intenda e dunque abbia la possibilità di inserirsi nella logica attiva del benessere comune.
Il consolidamento del potere del mercato specie nella finanza e nell'industria tecnologica ha portato a un'esplosione della disuguaglianza. La situazione è drammatica: poche corporations dominano interi settori dell'economia, facendo impennare la disuguaglianza e rallentando la crescita. La finanza ha scritto da sola le proprie regole; le compagnie high-tech hanno accumulato dati personali senza controllo e il governo americano ha negoziato accordi commerciali che non rappresentano gli interessi dei lavoratori. Troppe persone si sono arricchite sfruttando gli altri invece che creando ricchezza. Le vere fonti della ricchezza e della crescita, per Stiglitz, sono gli standard di vita, basati su apprendimento, progresso della scienza e tecnologia e le regole del diritto. Gli attacchi al sistema giudiziario, universitario e delle comunicazioni danneggiano le medesime istituzioni che da sempre fondano il potere economico e la democrazia. Tuttavia, per quanto ci si possa sentire indifesi oggi, non siamo, tutti noi, senza potere. In effetti, le soluzioni economiche sono spesso chiare. Dobbiamo sfruttare i benefici del mercato ma nello stesso tempo domare i suoi eccessi, assicurandoci che lavorino per noi cittadini - e non contro di noi. Se un numero sufficiente di persone sosterrà l'agenda per il cambiamento delineata in questo libro, può non essere troppo tardi per creare un capitalismo progressista che realizzi una prosperità condivisa.
La storia è, in questo libro, la chiave per proporre una nuova, inaspettata, idea d'eguaglianza, capace di dare un senso al nostro tempo. Un viaggio attraverso i secoli - dalla Grecia classica alla Roma imperiale, alla prima modernità dell'Occidente, alla grande stagione del capitale e del lavoro, sino ai problemi del presente - alla ricerca di una strada alternativa, abbozzata, dimenticata e mai davvero percorsa, per pensare l'eguaglianza. La fine della grande industria e del lavoro operaio nella parte economicamente più avanzata del mondo ha distrutto le basi culturali, sociali ed economiche dei paradigmi moderni di eguaglianza, e ha lasciato un vuoto che disorienta e mette a rischio. Come venirne fuori? Serve un cambiamento radicale nel modo di concepire noi stessi e il nostro posto nel mondo, lontano dai miti del «sociale» e del «collettivo», ma che offra una forma alla rivoluzione che stiamo vivendo.
«La dottrina liberale ha rappresentato dalle sue origini la forma più avanzata della cultura democratica e ciò che più ci ha consentito di difenderci dall'inestinguibile "richiamo della tribù". Questo libro cerca di contribuire con un granello di sabbia a questo indispensabile compito». Così scrive Mario Vargas Llosa spiegando il titolo di questo libro. Ad essere protagoniste qui sono le letture che hanno forgiato il suo modo di pensare e vedere il mondo negli ultimi cinquant'anni. È una cartografia dei pensatori liberali che lo hanno aiutato a sviluppare un nuovo corpus di idee dopo il grande trauma ideologico determinato dal disincanto verso la Rivoluzione cubana e dall'allontanamento dalle idee di Sartre. Adam Smith, José Ortega y Gasset, Friedrich von Hayek, Karl Popper, Raymond Aron, Isaiah Berlin e Jean-François Revel furono di enorme aiuto a Vargas Llosa durante gli anni del suo disagio intellettuale, mostrandogli altre tradizioni di pensiero che privilegiavano l'individuo di fronte alla tribù, alla nazione, alla classe o al partito, e che difendevano la libertà di espressione come valore fondamentale per l'esercizio della democrazia.
Nel 1817, durante un soggiorno a Roma, Stendhal annotò: «Mai uno sforzo, mai un po' d'energia: niente che vada di fretta». Due secoli dopo è la volta di Andy Warhol: «Roma è un esempio di quello che succede quando i monumenti di una città durano troppo a lungo». Ma cosa potremo dirne nel prossimo futuro? Grazie a una ricerca condotta con il metodo Delphi da Domenico De Masi, disponiamo ora di uno scenario della Roma 2030 e delle sue tre anime: quella di metropoli, quella di capitale della Repubblica e quella di città-mondo. Allo studio hanno contribuito dodici grandi conoscitori del sistema urbano, esperti di altrettante discipline. Il destino di Roma, intrecciato con quello dell'Italia e del mondo, dipende dalla soluzione dei problemi amministrativi e, prima ancora, da una visione alta, coerente con ilgenius loci di questa città unica. Il premio Nobel Theodor Mommsen amava dire: «A Roma non si sta senza avere propositi cosmopoliti». E cosmopoliti vuol dire molto piú che globali.
Raja Shehadeh da giovane avvocato si era dato da fare per impedire il sequestro delle terre palestinesi e favorire la pace e la giustizia nella regione. È in quel periodo che stringe una forte amicizia con Henry, un ricercatore ebreo canadese. Ma quando la vita giorno dopo giorno diventa sempre più insopportabile nei Territori, è impossibile sfuggire alla politica e al passato. E anche la più forte delle amicizie, sul filo del confine israelo-palestinese, viene messa a dura prova. Shehadeh in questo libro, attraversando lo spazio (da Tel Aviv a Jaffa) e il tempo (dal 1959 al 2013), ci racconta l'evolversi della situazione dei palestinesi nei Territori occupati. Shehadeh esplora gli effetti devastanti dell'occupazione anche negli aspetti più intimi della vita quotidiana. E si domanda se, coloro che oggi si considerano a vicenda i peggiori dei nemici, potranno mai riuscire a costruire un futuro comune insieme.
Siamo un pezzo di natura, lo dice la scienza ecologica, e se la natura si degrada anche noi facciamo la stessa fine. Partiamo da dove posiamo i nostri piedi. Ogni secondo in Italia spariscono sotto cemento e asfalto 2 metri quadrati di suolo. Eppure il suolo è la nostra assicurazione sul futuro, per produrre cibo, per filtrare l'acqua, proteggerci dalle alluvioni, immagazzinare CO2. La sua perdita irreversibile è un grave danno per noi e per figli e nipoti. Tanto piú in epoca di riscaldamento globale che, inducendo fenomeni meteorologici estremi - alluvioni, siccità, ritiro dei ghiacciai e aumento dei livelli marini - minaccia il benessere dei nostri figli e nipoti. Eppure ci sono molti modi per risparmiare energia evitando di aggravare l'inquinamento atmosferico o per non sprecare inutilmente le risorse naturali che scarseggiano mettendo a rischio il futuro. Mercalli lo dice e lo scrive da oltre vent'anni, e propone qui un compendio di riflessioni, prendendo lezioni di metodo e di vita da Primo Levi.
L'atto di mangiare implica la responsabilità di tutti e di ciascuno, attraverso una grande catena che va dalla Terra al piatto. Noi non siamo al centro del mondo. Le altre specie viventi - animali e vegetali - meritano lo stesso rispetto che riserviamo a noi stessi. Continuare a distruggerle, come stiamo facendo, significa condannarci a una morte certa, ben più di quanto non si creda. In questo libro, dove ha scelto di raccontare alcuni episodi della sua vita, Alain Ducasse ci propone alcune soluzioni concrete per riapprendere a mangiare. Nel corso di queste pagine incontrerete un curioso gesuita delle Filippine, un cuoco che serve delle carote al vapore a tutta New York, un orticoltore della banlieu, una coppia di piccoli produttori che, in Normandia, hanno creato un ecosistema unico nel suo genere. Il loro impegno, l'impegno di Ducasse, è anche il vostro. Perché mangiare è un atto civico.
Combinando una prosa accessibile con un'analisi economica raffinata, Stiglitz e Greenwald spiegano perché è importante eliminare il divario di conoscenza, se si vuole ridurre il divario nello sviluppo. Da tempo si è riconosciuto che un miglioramento degli standard di vita deriva dai progressi nella tecnologia e non dall'accumulazione di capitale. Ciò che separa veramente i Paesi sviluppati dagli altri non è solo un divario nelle risorse o nella produzione ma un divario nella conoscenza. La velocità in base a cui i Paesi in via di sviluppo crescono è funzione della velocità con cui riescono a colmare tale divario. Gli autori illuminano il significato di questa intuizione per la teoria economica e le politiche di intervento necessarie. Ci spiegano perché la produzione di conoscenza differisce da quella degli altri beni e perché le economie di mercato generalmente non producono e trasmettono conoscenze in modo efficiente. Ridurre il divario delle conoscenze e aiutare tutti i Paesi ad allungare il passo sono elementi centrali per la crescita e lo sviluppo.
Il cinguettio dei buchi neri, l'acuto di una supernova, il boato del Big Bang. È questa la colonna sonora dell'universo che le onde gravitazionali da poco scoperte ci permettono di ascoltare, affiancandosi alle immagini dei telescopi per fornirci una nuova e piú completa visione della realtà che ci circonda. Nato a Genova nel 1940, appassionato di musica e di cristalli, Adalberto Giazotto è stato un pioniere di questa recente conquista, il primo a sfidare le enormi difficoltà richieste per ascoltare in particolar modo i bassi della sinfonia cosmica che ci circonda, quando ancora gli altri strumenti erano tarati solo sugli acuti. Le sue intuizioni e la sua tenacia sono state determinanti per le scoperte che hanno portato anche al Nobel per la fisica e che stanno rivoluzionando le nostre conoscenze. In questo libro, ultimato poco prima della sua morte, Giazotto racconta la storia affascinante della sua vita e della sua ricerca, che in molti all'inizio consideravano una vera follia, un'impresa impossibile.
Una società prigioniera del presente non progetta futuro e non ha memoria del passato. Cova rancori e paure, riuscendo solo ad adattarsi: al desiderio sostituisce la voglia, al progetto l'annuncio, alle passioni le emozioni. Diventa una società rattrappita. La schiavitù del presente è una forma di asservimento contagioso, una patologia che ha portato perfino a un mutamento antropologico: nella vita privata, nella sfera dei sentimenti, delle relazioni, dei rapporti umani, e nella dimensione pubblica, dalla politica all'economia, dalle istituzioni alle imprese. Il presentismo condensa l'aria del tempo. Ratifica il primato della tecnologia senza umanesimo e della finanza senza redistribuzione della ricchezza. Assembla il virtuale in un'eterna connessione, e rende opaco il reale, fino a farlo sfumare. Ma da questa schiavitù, si può uscire, se partiamo dalla consapevolezza di quanto siamo ormai scollegati dal passato e dal futuro. E come diceva Camus "il senso della vita è resistere all'aria del tempo".
Richard Thaler, vincitore del premio Nobel per l'economia 2017, ha dedicato l'intera carriera a studiare l'idea radicale per cui gli agenti economici sono individui prevedibili e inclini a commettere errori. Misbehaving è il resoconto affascinante e divertente della sua lotta per riportare una disciplina accademica con i piedi per terra e per cambiare il modo in cui pensiamo l'economia, noi stessi e il mondo. La teoria economica tradizionale assume che gli individui siano razionali. Fin dall'inizio della sua ricerca, Thaler ha compreso che questi automi non somigliavano affatto alle persone vere. Quando acquistiamo una radiosveglia o chiediamo un mutuo, siamo tutti vittime di distorsioni cognitive che ci allontanano dai criteri di razionalità postulati dagli economisti. In altre parole ci comportiamo in modo anomalo e, ciò che più conta, con serie conseguenze. Inizialmente sottovalutato dagli economisti come un campo divertente ma irrilevante, lo studio degli errori degli esseri umani e dei loro effetti sul mercato ora guida gli sforzi per migliorare le decisioni nelle nostre vite, nelle imprese e nelle politiche pubbliche.
Chi sono i mafiosi e come funzionano le loro organizzazioni? Federico Varese ha scritto un saggio-reportage che ci fa entrare davvero nel profondo di Cosa Nostra, della mafia italo-americana, della mafia russa, della yakuza giapponese e delle triadi di Hong Kong. Per inseguire le storie che racconta è stato in Russia, in Cina, in Grecia, a Dubai e si è avventurato nel nord della Birmania. Con la passione del giornalista investigativo e lo scrupolo dell'accademico, Varese scopre alleanze segrete tra 'ndrangheta e gruppi georgiani, mappa le nuove rotte della droga e racconta la presenza della mafia russa in Grecia. Esplora come le mafie, in Asia e America latina, sono diventate uno Stato. Varese scopre ciò che rende queste organizzazioni temibili e durature: tutte hanno un rito di iniziazione di ispirazione religiosa, regole di comportamento codificate, una struttura gerarchica ma flessibile, rapporti con la politica, e mostrano una diffidenza profonda verso l'amore tra uomo e donna. Varese racconta cosa vedono i mafiosi quando si guardano allo specchio.
Raccontando la storia e le storie del Premio Nobel, le singolari vicende, controversie e i conflitti legati al più prestigioso premio scientifico del mondo, i loro riflessi e intrecci con la società, la politica e la cultura, Massimiano Bucchi riflette sull'immagine pubblica della scienza e sui suoi cambiamenti dal primo Novecento a oggi. Un percorso originale e avvincente per comprendere il ruolo sociale della scienza, attraverso le storie e i personaggi che hanno segnato il suo premio più famoso. Dall'appassionante e tormentata vicenda del Nobel a Einstein, ai «fantasmi» dei Nobel clamorosamente mancati; dalle assegnazioni più discusse alle scoperte premiate in seguito rivelatesi errate; dai premi Nobel che sono divenuti celebrità a quelli quasi completamente dimenticati. Il volume si basa su una ricca documentazione, frutto di oltre dieci anni di ricerche presso la Fondazione Nobel e l'Accademia Reale delle Scienze di Svezia, dove è custodito l'Archivio storico delle proposte e decisioni sui premi Nobel.
La democrazia non si trova in natura: è un prodotto artificiale, frutto della ragione e del desiderio di libertà. Se non è curata, alimentata e potenziata, appare inevitabile la sua crisi di fronte all'apparente maggiore efficacia del dispotismo: oggi solo il 40 per cento della popolazione mondiale, una minoranza, vive in democrazia. Inoltre, stiamo vivendo un cambiamento d'epoca, segnato dalla crescita della globalizzazione e dalla digitalizzazione: le politiche pubbliche dei diversi Stati sono interdipendenti; l'infosfera ha compresso il tempo e lo spazio; le grandi migrazioni hanno messo in crisi il senso di identità di milioni di persone; la quarta rivoluzione industriale cambierà i processi produttivi e le relazioni sindacali; crescono le diseguaglianze; la sfiducia nelle élites esperte anima populismi e nazionalismi etnici. È dunque necessaria una nuova cultura politica per sostenere la democrazia.
Di che cosa abbiamo paura, quando parliamo di catastrofi? Quali sono le nostre paure ataviche rispetto alla Terra? E perché abbiamo paura quando non dovremmo e non ne abbiamo quando dovremmo? Questo libro va al fondo delle nostre paure collettive, dalle alluvioni agli asteroidi, dalle eruzioni vulcaniche alle epidemie, con speciale attenzione ai terremoti, drammaticamente attuali. Il problema è che le catastrofi naturali non esistono, esistono gli eventi naturali che trasformiamo in tragedia, spesso grazie al linguaggio iperbolico dei media. Inoltre siamo spesso ignoranti in campo scientifico e la scienza diffonde dubbi e non certezze: ricadiamo cosi nel fatalismo magico-religioso. Per salvarci dalle paure immotivate dobbiamo informarci meglio, prestando attenzione ai veri problemi di oggi: cambiamento climatico, fine delle risorse, consumo del suolo e cosi via. Scopriremo che le catastrofi non ci fanno solo paura, ma ci attraggono, perché l'umanità nasce dalle catastrofi e la sua storia ne è indelebilmente segnata.
Nel 2010 la crisi finanziaria globale del 2008 si è trasformata in una «eurocrisi» che pare lontana dal placarsi, soprattutto per i paesi che condividono la moneta comune euro - l'eurozona. Qui il premio Nobel Joseph E. Stiglitz demolisce il consenso prevalente sulle ragioni che hanno messo all'angolo l'Europa, criticando i campioni dell'austerità e proponendo soluzioni concrete ai problemi legati all'euro. La crisi ne ha infatti messo in luce i limiti. La stagnazione nell'eurozona e le sue fosche prospettive di ripresa sono un diretto risultato della sua sfida fondamentale: la pretesa di far condividere a un gruppo di paesi molto diversi un'unica valuta comune. L'euro è nato imperfetto, con un'integrazione economica che andava piú veloce di quella politica. L'attuale assetto monetario promuove la divergenza piuttosto che la convergenza. L'euro può essere salvato? Dopo aver messo a nudo il mal concepito mandato della Banca centrale europea volto al controllo dell'inflazione, spiegando come le politiche dell'eurozona, specie nei confronti dei paesi in crisi, abbiano ulteriormente esacerbato i difetti della sua progettazione, Stiglitz delinea queste tre possibili vie di uscita: riforme fondamentali della struttura dell'eurozona e politiche economiche da imporre ai paesi membri; un abbandono controllato dell'esperimento dell'euro come unica valuta; oppure un coraggioso nuovo sistema che ha chiamato «l'euro flessibile».
Alvin E. Roth ha condiviso nel 2012 il premio Nobel per l'Economia per le sue pionieristiche ricerche sul market design: i principi che governano quei mercati in cui il denaro non è l'unico fattore a determinare che cosa spetta a ciascuno. Per mostrarci quanto questi mercati siano diffusi, Roth ci conduce, per esempio, presso una tribù aborigena che combina i matrimoni per nipotini non ancora nati oppure ci fa conoscere il meccanismo su cui si basano nuove imprese come Airbnb e Uber, il cui successo è in gran parte determinato da un brillante market design. "Matchmaking" esplora con brio e acume mercati che spesso si rivelano i più importanti per noi: se vi è capitato di cercare un lavoro o di assumere qualcuno, di iscrivervi a un'università o scegliere l'asilo giusto per vostro figlio, di dare un appuntamento sentimentale a qualcuno, allora avete avuto a che fare con il matchmaking. Roth individua cosi i fattori che fanno funzionare bene o male i mercati e insegna a prendere le decisioni più sicure ed efficaci per dare «a ciascuno il suo».
Piergiorgio Baita è stato a lungo protagonista di un settore strategico quale la costruzione delle grandi opere. Nel libro ricostruisce come in questo settore si sono codificate, strutturate, e da qui diffuse a tutti i comparti dell'economia, le regole dell'illecito. Come cattivo mercato e cattiva politica si sono contaminati e reciprocamente legittimati. Come si è saldato il sodalizio criminale tra imprenditoria incapace e pubblica amministrazione incompetente. La sua è la riflessione di chi la corruzione l'ha vissuta in prima persona e per questo ha conosciuto, da Tangentopoli allo scandalo Mose, l'azione giudiziaria, il carcere, i processi. Alla luce di ciò ha maturato il convincimento che "la corruzione è certo un reato ma è anche un modello mentale, una stortura culturale". E se il contrasto e la punizione del reato sono compito della magistratura, il sovvertimento del sistema compete all'intera società. Per necessità etica, senza dubbio, ma soprattutto, afferma Baita, per convenienza economica.
Joris Luyendijk, giornalista d'inchiesta, s'intendeva di finanza quanto un comune cittadino: poco e niente. Per lui i banchieri erano squali spietati, competitivi, ossessionati dai bonus. Poi ha iniziato a indagare sul loro mondo. Si immerge nella City di Londra, il centro della finanza mondiale, intervistando moltissime persone che gli raccontano la loro quotidianità, l'opinione che hanno di sé, le loro motivazioni. Rompendo il rigido codice del silenzio della finanza, parlano dei titoli tossici e della cultura dei licenziamenti, si confessano impotenti di fronte alla complessità tecnologica e matematica degli strumenti finanziari. E confermano che dalla grande crisi a oggi non è cambiato davvero nulla nelle modalità operative della finanza. Luyendijk ha un'intuizione spaventosa: e se i banchieri non fossero il vero nemico? E se la verità a proposito della finanza globale fosse ancora più sinistra di quanto si è sempre pensato?
Si approfondirà ancora il baratro fra i principî della Carta fondamentale e le pratiche di governo? Nella Costituzione troviamo scritti la sovranità popolare, il diritto al lavoro, alla salute, alla cultura, il precetto di orientare l'economia e la proprietà secondo il principio supremo dell'utilità sociale (cioè del bene comune). Troviamo un orizzonte dei diritti dei cittadini, non ancora pienamente attuato, per cui possiamo dire con Calamandrei che «lo Stato siamo noi». Lo Stato, non i governi. Perché i governi hanno fatto il contrario: hanno smontato lo Stato, ridotto lo spazio dei diritti, svenduto le proprietà pubbliche, anteposto il profitto delle imprese al pubblico interesse. Dobbiamo essere con lo Stato in nome della Costituzione, anche contro i governi che non la rispettino e vogliano, anzi, distorcerla con improprie manovre. Dobbiamo misurare i drammi dell'economia sul metro della Costituzione, cercarvi soluzioni rivolte al bene comune, principio supremo che informa ogni sua parola.
Siamo diventati ultimi. Ad assegnarci questo posto nel girone dei Paesi avanzati del mondo globale, e innanzitutto in Europa, non è il nostro autolesionismo o la solita polemica tra opposte tifoserie politiche. No, questa volta a parlare, con una pioggia di sentenze senza appello, sono le classifiche internazionali. Quelle che misurano i progressi, o i regressi, di un Paese. Quelle che indicano chi fa piú strada, chi è fermo e chi va indietro. Quelle che riscrivono le gerarchie nel mondo sviluppato. E l'Italia in questi ultimi anni non ha fatto altro che retrocedere, passo dopo passo, statistica dopo statistica. Fino a piazzarci in quel gradino, l'ultimo di ciascuna classifica. Scuola, università, lavoro, competitività, giustizia, digitale: ovunque siamo in fondo, mentre primeggiamo in corruzione e pressione fiscale. Ma spogliarsi della maglietta di ultima della classe non è impossibile e "Ultimi" ci racconta anche da dove l'Italia deve ripartire per risalire la classifica.
Questo libro è un appello ad affrontare la disuguaglianza economica come una questione politica e morale, con l'obiettivo di giungere a una società piú prospera e giusta. Raccogliendo i suoi scritti per giornali non accademici, tra cui il "New York Times" e "Vanity Fair", il Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz descrive la disuguaglianza americana: le sue dimensioni, le sue cause, e le conseguenze per gli Stati Uniti e per il mondo. Stiglitz si concentra sulle politiche irresponsabili - deregulation, taglio delle tasse per l'uno per cento - che hanno lasciato indietro un grande numero di cittadini trasformando il sogno americano in un mito sempre piú inarrivabile. Il libro suggerisce soluzioni concrete: aumentare le tasse per le corporations e per i piú ricchi; offrire maggior sostegno ai bambini piú disagiati; investire in istruzione, tecnologia e infrastrutture; aiutare i proprietari di case invece che le banche. E, soprattutto riportare l'economia alla piena occupazione. La nostra scelta non deve essere tra crescita e giustizia: con politiche pubbliche adeguate, possiamo scegliere entrambe.
Questo è il racconto autobiografico di una protagonista del Novecento italiano. Giulia Maria Crespi appartiene a un'importante famiglia lombarda, di cui ha proseguito la tradizione filantropica e di impegno civile. Racconta qui le molte avventurose storie della sua vita. Centrali nel libro sono le vicende del "Corriere della Sera", di grande importanza per la storia del nostro Paese. Giulia Maria Crespi, che in modo crescente partecipa alla gestione del giornale, si adopera in una battaglia per l'ammodernamento del "Corriere", in consonanza con la parte più progressista dell'opinione pubblica. Una svolta coraggiosa ma irta di difficoltà, che nel 1974 la costringeranno a lasciare la gestione del giornale. Si occupa sempre più della Fondazione Crespi Morbio per Famiglie Numerose e di Italia Nostra. Nel 1975 assieme a Renato Bazzoni fonda il FAI (Fondo Ambiente Italiano) per la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e ambientale. Da 40 anni lotta strenuamente per difendere l'agricoltura in Italia, in particolare quella organica.
"Quel che vorrei provare a raccontarvi è per certi versi la storia di una sconfitta politica, sociale, morale. Abbiamo visto scomparire due idee e relative pratiche che giudicavamo fondamentali: l'idea di uguaglianza, e quella di pensiero critico". Causa fondamentale della sconfitta dell'uguaglianza è stata, per Gallino, dagli anni Ottanta in poi, la doppia crisi, del capitalismo e del sistema ecologico, strettamente collegate tra loro. La stessa crisi del capitalismo ha molte facce: l'incapacità di vendere tutto quello che produce; la riduzione drastica dei produttori di beni e servizi; il parallelo sviluppo del sistema finanziario al di là di ogni limite. A questa crisi il capitalismo ha reagito accrescendo lo sfruttamento irresponsabile dei sistemi che sostengono la vita - il "sistema ecologico"-. Il tutto con il ferreo sostegno di un'ideologia, il neoliberalesimo, che riducendo tutti a mere macchine contabili dà corpo a una povertà dell'azione politica quale non si era forse mai vista nella storia.
"Conosciamo la fame, siamo abituati alla fame: abbiamo fame due, tre volte al giorno. Nelle nostre vite non esiste niente che sia più frequente, più costante, più presente della fame - e, al tempo stesso, per la maggior parte di noi, niente che sia più lontano dalla fame vera". Per comprenderla, per raccontarla, Martin Caparrós ha viaggiato attraverso l'India, il Bangladesh, il Niger, il Kenya, il Sudan, il Madagascar, l'Argentina, gli Stati Uniti, la Spagna. Li ha incontrato persone che, per diverse ragioni - siccità, povertà estrema, guerre, emarginazione - soffrono la fame. La fame è fatto delle loro storie, e delle storie di coloro che lavorano in condizioni molto precarie per mitigarla e di coloro che vi speculano sopra, affamando tanta gente. La fame intende, soprattutto, svelare i meccanismi che fanno si che quasi un miliardo di persone non mangino quanto è necessario. Un prodotto ineludibile dell'ordine mondiale? Il frutto della pigrizia e dell'arretratezza? Un affare di pochi? Un problema in via di soluzione? Il fallimento di una civiltà? Un libro scomodo e appassionato, una cronaca che riflette e un saggio che racconta, un pamphlet che denuncia una vergogna intollerabile e cerca vie di uscita per eliminarla con urgenza.
Un capitano della polizia svizzera che, nel 1938, si rifiuta di applicare una legge che impedisce l'ingresso nel suo paese ai profughi ebrei in fuga dai nazisti. Un soldato serbo che, nel 1991, inganna i suoi superiori riuscendo a salvare la vita di molti croati. Un militare dei corpi speciali israeliani che, al culmine della seconda intifada, informa i suoi superiori che non intende operare nei territori occupati. Una dirigente disposta a perdere il lavoro pur di non vendere ai clienti della sua finanziaria titoli "tossici". Che cosa spinge la gente comune a sfidare l'autorità e le convenzioni? Attraverso quattro episodi realmente accaduti, storie drammatiche di ribelli improbabili, Press dimostra come i più coraggiosi atti di dissenso non dipendano necessariamente dal comportamento di una manciata di radicali intenzionati a rovesciare il sistema. Eyal Press esamina le scelte e i dilemmi che tutti ci troviamo ad affrontare quando i nostri principi entrano in conflitto con i doveri che ci si aspetta che onoriamo. Alcuni di noi allora puri idealisti che restano ancorati con inusuale determinazione alle proprie convinzioni - diventano "Beautiful Souls, anime belle", a dispetto di tutto.
Sprecare significa gettare il cibo nella spazzatura ma anche mangiare cibo spazzatura: il primo nuoce alla salute dell'uomo, il secondo danneggia la salute della natura. Entrambe sono legate fra loro, come al rapporto ambiente-uomo, risorse-consumi, ecologia-economia. Relazioni viziate, da cambiare. Non solo con la filosofia del cibo lento, della filiera corta, del chilometro zero. Onde corte, che increspano il mare in superficie. Senza però modificare le grandi correnti. Per nutrire il pianeta, l'unica strada è ridare valore al cibo. Ma quale cibo? Quello medio, né troppo basso né troppo alto. Un percorso che diventa un viaggio nei luoghi dove passa il cibo medio: dallo studio agricolo al mercato ortofrutticolo, dall'industria alimentare al supermercato, dal parco tematico all'esposizione universale. Per arrivare alla scuola: un (p)assaggio fondamentale. L'educazione alimentare serve a comprendere il valore del cibo, imparando a fruire invece che consumare, a evitare gli sprechi e i falsi miti degli spadellatori televisivi.
La tecnologia del terzo millennio non aiuta gli uomini a migliorare la loro esistenza né a ridurre gli impatti sul pianeta. Non è semplice, né utile e nemmeno educativa. Essa, totalmente slegata dalla radice scientifica, è, invece, fine a se stessa, "barocca", dannosa e insostenibile da un punto di vista ambientale. Viene spesso usata per rimediare ai danni perpetrati da una tecnologia precedente, incrementa i profitti basati sui bisogni indotti, accelera l'obsolescenza di oggetti e macchine, è costosa, fa perdere tempo. Attraverso molti esempi Mario Tozzi dimostra l'inutilità di bizzarri marchingegni che riteniamo indispensabili e di cui potremmo fare a meno. D'altro canto, egli sottolinea l'utilità di quella tecnologia semplice che ha rappresentato un vero miglioramento nelle condizioni della vita degli uomini senza compromettere l'ecosistema Terra.
Marzia Sabella studiava per diventare notaio, senza però "immaginare che avrebbero sventrato autostrade e quartieri, senza prevedere - racconta - che il suo treno sarebbe stato colpito dallo stesso esplosivo per deragliare su un altro binario". Non era un tempo qualunque. Era il 1993, quando, dopo le stragi, lo Stato reagiva alla mafia. Ed era impossibile sottrarsi alla chiamata: magistrato, dunque. Alla procura di Palermo. Cosi, i primi processi: gli 'scecchi morti', le indagini di routine, quindi la pedofilia. Poi Cosa nostra: dall'arresto di Bernardo Provenzano alle indagini per la ricerca di Matteo Messina Denaro, l'ultimo capo latitante. E, nel frattempo, il cambiamento del sentire comune verso la magistratura e la trasformazione del suo stesso ufficio, fino a non riconoscerlo più come il proprio posto. Con una narrazione vibrante, ma priva di enfasi e che sa cedere all'ironia, "Nostro Onore" ci conduce nella realtà della mafia siciliana e, al contempo, nel quotidiano di chi lotta contro di essa dal "palazzaccio" di piazza Vittorio Emanuele Orlando. Ma, soprattutto, ci restituisce un ritratto antieroico dei magistrati, anche quando vivono eventi straordinari e imparano a ripararsi dalla seduzione degli "abbagli da telecamera sempre accesa". Perché, l'onore, quello vero, è dato dalla "sacralità del Codice e di chi, di quel Codice, difende le ragioni".
Un'impresa capace di creare profitto non solo per gratificare gli azionisti, ma anche per produrre benessere, sicurezza e bellezza, per chi vi lavora come per la comunità che la ospita: Olivetti è stato un imprenditore e un uomo di cultura in straordinario anticipo sui propri tempi. A più di cinquant'anni dalla sua morte, le idee di Olivetti - sul ruolo dell'industria, sulle funzioni dello stato sociale, sul rapporto tra impresa e territorio -, continuano a sembrare in aperto contrasto con quanto si pratica e si scrive. Per cercare di comprendere (e di colmare) questa discrepanza, Luciano Gallino, che a Ivrea ha lavorato diversi anni come ricercatore, torna a riflettere su quell'idea di "impresa responsabile" che Olivetti cercava, giorno per giorno, di mettere in pratica nei suoi stabilimenti e uffici. Gallino è stato assunto da Olivetti nel 1955 e ha potuto cosí conoscere da vicino, a Ivrea, come questi pensava e operava nel quotidiano impegno di capo d'industria, e al tempo stesso, di pensatore politico, editore, promotore di piani territoriali. Questa intervista, pubblicata da Edizioni Comunità nel 2001, viene presentata qui riveduta, e con l'aggiunta di una nuova Prefazione. Gallino, sollecitato da Paolo Ceri, ricostruisce, senza alcun intento agiografico, la storia di un percorso umano, filosofico ed economico che continua a sfidare, per modernità e lungimiranza, il nostro presente.
Alcuni pensano che il nostro cervello sia fermo all'età della pietra, come se la selezione naturale ci avesse plasmato nel Pleistocene e poi abbandonato al nostro destino. Sui mass media spopolano i riferimenti all'evoluzione biologica dei comportamenti umani, soprattutto politici e sessuali. Dire che l'evoluzione ci ha programmati fin dal Paleolitico per avere un determinato impulso innato è una tentazione irresistibile, che ci fa raccontare un sacco di storie fantasiose e zeppe di stereotipi. Ma è corretto richiamarsi a Darwin per difendere queste tesi? Ci voleva un evoluzionista e darwiniano al di sopra di ogni sospetto come Telmo Pievani, però, per cimentarsi in una critica ironica di questa bizzarra ma persuasiva "psicologia evoluzionistica pop". Con uno stile narrativo e avvalendosi di gustosi esempi tratti dalla letteratura scientifica e parascientifica, "Evoluti e abbandonati" getta le basi per un approccio che non consideri la mente umana come una "macchina di istinti" ossessionata soltanto da sesso, geni e competizione, ma come un "bricoleur" che, da sempre, si adatta all'imperfezione e all'imprevedibilità della nostra storia naturale e culturale. L'evoluzione continua, con i buoni vecchi mezzi di una volta, e con qualcuno nuovo.
Una vita "non serena, ma fortunata e felice". Così Eugenio Scalfari riassume il bilancio della propria esistenza, in un racconto che l'abbraccia per intero. Dalla casa dell'infanzia a Civitavecchia, con il balcone che guardava il mare, alle aule del liceo Cassini di Sanremo, dove, complice il compagno di banco Italo Calvino, "il viaggio ebbe il suo consapevole inizio". E poi gli anni dell'università e il primo lavoro di giornalista per "Roma Fascista", svolto con un piglio critico che gli valse l'espulsione dal GUF. C'è l'incontro con Pannunzio e Benedetti, l'attività politica, la lunga avventura de "la Repubblica", i viaggi "fuori e dentro di sé". Ci sono gli affetti, gli amori. Spesso, nei suoi libri, Scalfari ha incluso frammenti della sua biografia, usandoli come spunto su cui innestare le sue lucide meditazioni. Ma in questo scritto il ricordo assume per la prima volta un valore autonomo: lo scopo non è più riflettere, ma raccontare. Anche la storia del Paese resta sullo sfondo. "Racconto autobiografico" è semplicemente quello che dice: il ritratto in movimento di un uomo, la cronaca della sua esistenza eccezionale.
Il 17 settembre del 1998, nella basilica di Santa Giustina a Padova, un piccolo gruppo di studiosi assiste all'apertura di una cassa di piombo, sigillata da oltre 500 anni. Dentro ci sono i resti di uno scheletro senza testa, di un uomo vissuto nel I secolo. La sua identità, attribuita dalla tradizione va verificata dalla scienza: sono davvero i resti di san Luca evangelista? O la reliquia autentica è custodita altrove? La risoluzione dell'enigma è affidata dal vescovo a storici, filologi, archeologi, e infine fra pochi scienziati in un mare di umanisti, a Barbujani, chiamato ad analizzare il DNA dello scheletro e sancirne la compatibilità con le tramandate origini del santo. Una straordinaria e divertente avventura, non solo intellettuale: un lungo viaggio che lo porterà fino in Siroa, ad Aleppo, città millenaria, tra colonnelli corrotti, campioni di sangue clandestini e inconvenienti climatici. Ma anche nei recessi, a volte prosaici, a volte entusiasmanti, del lavoro dello scienziato, tra viaggi, congressi e sorprendenti incontri con grandi ricercatori. Una vicenda sul confine tra Oriente e Occidente, ma anche su quello tra cultura umanistica e scientifica, ove la penna del Barbujani scienziato si confonde con quella, estremamente abile, del narratore.
Nei tre decenni trascorsi dall'Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984 e dall'intesa coi valdesi firmata tre giorni dopo, è stata disattesa la promessa di novità contenuta in quei patti. Invece di accompagnare il cambiamento sociale e religioso, governi e parlamenti si sono aggrappati al passato, con la complicità di una gerarchia cattolica impaurita. I rapporti tra Stato, Chiese, islam e nuove religioni si sono impantanati nella retorica della "tradizione cristiana" e negli equivoci sulla laicità. Con sguardo acutissimo e una rara chiarezza espositiva, Ventura ripercorre le tappe che hanno portato al declino della Chiesa e del paese, entrambi ostaggio dei "creduli", i dogmatici e i manipolatori, i cinici e i faccendieri. Le dimissioni di Benedetto XVI e l'elezione di un papa Francesco in lotta contro le "bolle di sapone" pongono tutti davanti a un bivio. Se i credenti prevarranno sui creduli, se chi prende sul serio la propria fede politica o religiosa caccerà i mercanti dal tempio, è ancora possibile una primavera per l'Italia e per la Chiesa.
La crisi che stiamo vivendo è stata sovente rappresentata come un fenomeno naturale imprevedibile: un terremoto, uno tsunami. Oppure come un incidente capitato a un sistema, quello finanziario, che di per sé funzionava perfettamente. In realtà è stata il risultato di una risposta sbagliata, di ordine finanziario, che la politica ha dato al rallentamento dell'economia reale in corso da lungo tempo. E non, come afferma Bruxelles, il prodotto del debito eccessivo che gli Stati avrebbero contratto a causa della crescente spesa sociale. Al contrario è stato favorito lo sviluppo senza limite delle attività speculative dei grandi gruppi finanziari. Avere lasciato il potere di creare denaro per nove decimi alle banche private è un difetto che sta minando alla base l'economia. E questo con la complicità dell'intero sistema politico e finanziario (la Bce, la Fed, la Banca d'Inghilterra, i fondi speculativi e quelli sovrani, i governi e la Commissione europea). Poche decine di migliaia di individui, i responsabili, contro decine di milioni di vittime. Senza contare che per rimediare ai guasti del sistema finanziario le politiche di austerità stanno generando pesanti recessioni: nell'intento di proseguire con ogni mezzo la redistribuzione della ricchezza dal basso verso l'alto in atto da oltre trent'anni.