«Abbiamo tutti in mente la tipica immagine di uno stato autocratico. C'è un cattivo al vertice, che controlla l'esercito e la polizia. L'esercito e la polizia minacciano il popolo con la violenza. Ci sono collaboratori malvagi, e magari qualche coraggioso dissidente.» Tuttavia, per Anne Applebaum, saggista e vincitrice del premio Pulitzer, questa convinzione diffusa altro non è che un anacronismo. Nel XXI secolo, infatti, una simile rappresentazione delle autocrazie ha scarsa attinenza con la realtà e per di più ne ignora del tutto l'evoluzione. Al giorno d'oggi, le autocrazie non sono governate da un solo «cattivo», ma da reti sempre più sofisticate, che connettono tra loro strutture finanziarie, servizi di sicurezza - militari, paramilitari e di polizia - di uno o più paesi, ed esperti di tecnologia che forniscono sorveglianza, propaganda e disinformazione. I membri di queste reti condividono risorse e obiettivi, operando come un agglomerato di aziende tenute insieme non dall'ideologia, ma da una spietata e assoluta determinazione a preservare il proprio potere e la propria personale ricchezza e da un nemico comune: il mondo democratico e i suoi valori. Diversamente dalle alleanze militari o politiche di altri tempi e altri luoghi, infatti, non ci sono «blocchi» cui aderire, né Muri di Berlino a segnare netti spartiacque geografici. È una rete che, superando le faglie ideologiche, geografiche e culturali, da Mosca a Pechino, da Teheran a Pyongyang, si sta stringendo sempre di più attorno alle democrazie moderne, disconoscendone i valori, insinuandosi nelle loro crepe e in quei paradossi irrisolti che l'Occidente, troppo convinto di essere nel giusto, non si è mai deciso ad affrontare. Ma l'autocrazia è un sistema politico, non un tratto genetico, e in quanto tale può cambiare: in questo saggio, Anne Applebaum delinea un resoconto allarmante e al contempo lancia un potente appello su come dovremmo organizzarci per salvare la democrazia.
Molte sono le figure femminili che incrociarono la vita di Costantino, l'imperatore che, grazie alla sua intelligenza, determinazione e spregiudicatezza, scalò tutti i gradini del potere e riunì nelle sue sole mani il controllo dell'Impero Romano. La madre e la matrigna, la concubina e la moglie, le sorellastre e le figlie, e perfino la suocera, ebbero un ruolo nella sua vita. Ma l'unica che contò veramente per lui fu la madre Elena: donna di modeste origini, visse una vita oscura fino al giorno in cui il figlio la chiamò a corte, colmandola di onori. Le altre furono semplici pedine di un gioco politico gestito dagli uomini e per gli uomini. Questo libro racconta le loro storie.
In tutto l'Occidente, i primi vent'anni del XXI secolo sono stati segnati da una serie di movimenti di protesta e manifestazioni di frustrazione collettiva: dal movimento no-global d'inizio anni 2000 a quello no-vax durante la pandemia di COVID-19, passando per il «Vaffanculo-Day» di Beppe Grillo, gli Indignados spagnoli, Occupy Wall Street, il voto per la Brexit, l'elezione di Donald Trump, i Gilets jaunes francesi e le proteste legate a #MeToo e #BlackLivesMatter. Ciascuno di questi eventi ha ovviamente una storia particolare, ma c'è anche un filo rosso che li unisce: la rabbia nei confronti delle istituzioni. Nonostante la frenesia attivistica, queste mobilitazioni si sono rivelate, nella maggior parte dei casi, prive di finalità concrete, mentre è stata evidente la loro dimensione spettacolare e dimostrativa, volta a esprimere una condizione di risentimento diffuso nei confronti dell'ordine costituito, secondo una logica che tende a dividere la società in «amici» e «nemici», «buoni» e «cattivi». Ma come si spiega questa animosità crescente, dati i livelli di benessere materiale e di diritti acquisiti storicamente senza precedenti? Ridurre la rabbia odierna a un'espressione di emotività irrazionale o all'ignoranza delle masse, avverte Carlo Invernizzi-Accetti, è un errore. Per uscire dal vortice in cui siamo caduti è necessario comprenderne le ragioni. Nel fornire un'interpretazione di ciò che Hegel avrebbe chiamato lo Zeitgeist , cioè lo «spirito del tempo», "Vent'anni di rabbia" propone una rilettura storico-filosofica degli ultimi due decenni che apre nuove prospettive di azione sul futuro.
La crescente diffusione di programmi come ChatGPT sta sollevando profondi interrogativi sull'impatto che l'intelligenza artificiale avrà sulle nostre vite. Come cambierà il mondo del lavoro? I sistemi generativi prenderanno il sopravvento sulla nostra creatività? Esiste il rischio che le macchine si ribellino ai loro creatori? Ci innamoreremo mai di un robot? In questo saggio, lo psicologo e scienziato cognitivo Paolo Legrenzi analizza l'intreccio tra l'intelligenza umana e i nuovi programmi che essa ha generato. Comprendere appieno l'IA richiede innanzitutto una profonda conoscenza dell'intelligenza naturale: è solo illuminando i misteri della nostra mente che possiamo apprezzare appieno l'interazione tra l'uomo e la tecnologia. Legrenzi ci guida attraverso un viaggio sorprendente, dimostrando che se i sistemi generativi, con la loro memoria sconfinata e la capacità di effettuare calcoli probabilistici, possono ormai da tempo superare le nostre capacità, emergono però limiti significativi quando si tratta di utilizzare creatività e pensiero innovativo. È vero che i computer sono sempre più in grado di simulare il linguaggio e il comportamento umani, tuttavia il loro modo di procedere è basato su statistiche e correlazioni e non è lontanamente paragonabile alla costruzione dei modelli mentali che caratterizzano il nostro ragionamento. La domanda cruciale rimane: chi trionferà alla fine, l'intelligenza artificiale o quella umana? Spetta a noi decidere, bilanciando la nostra flessibilità e capacità di apprendimento con la consapevolezza dei rischi e delle sfide che l'era dell'IA ci presenta. Fondamentale sarà imparare a interagire, al di là di paure e pregiudizi, con una tecnologia che sta già cambiando le nostre vite. Per abbracciarne le potenzialità, senza trascurare la ricchezza insita nella natura umana.
Cuore sacrale delle principali religioni monoteiste, cantata da salmisti e profeti, Gerusalemme vive da sempre una dicotomia. Sospesa fra Cielo e Terra, possiede due volti, spirituale e materiale, in perenne dialettica tra loro. Ciò, a maggior ragione, in quel Medioevo latino-germanico che fece della città il fulcro della propria concezione del mondo. L'Europa cristiana guardava alla Città Santa come alla propria meta ideale. Chierici, pellegrini, crociati, intellettuali e artisti, nobili e popolani, manifestavano il desiderio di andarci se non d'appropriarsene con la forza. Altri, invece, preferivano esaltarne il carattere spirituale. Nel tempo, tale tensione avrebbe dato adito al tentativo di traslarne in Occidente la sacralità attraverso l'erezione di santuari ad instar Sepulchri o la ricerca di reliquie eminenti. Il libro esplora la storia di Gerusalemme nei secoli medievali, con particolare riguardo alle sue molteplici dimensioni e al ruolo rivestito nei quadri culturali dell'Occidente medievale.
La democrazia è qualcosa di meno astratto e storicamente più determinato e variegato di quanto si pensi. La tesi di Martin Conway è che un ordine democratico sia nato in Europa occidentale soltanto dopo la Seconda guerra mondiale, a seguito della lezione impartita dalle crisi e dai fallimenti degli anni Trenta. Lasciandosi alle spalle i radicalismi e le violenze dei decenni precedenti, i sistemi democratici post-bellici riuscirono a garantire inaspettatamente stabilità e prosperità grazie a politiche di compromesso sociale e sviluppo economico. Classi dirigenti spesso segnate dalle eredità del passato costruirono un inedito modello di governo, che però conservava gerarchie di genere, razza e classe, limitando al tempo stesso la partecipazione politica delle masse. Soltanto con la decolonizzazione e la contestazione giovanile e con le trasformazioni culturali e i conflitti sociali che ne derivarono tra gli anni Sessanta e Settanta, la democrazia europea è entrata in una nuova fase che giunge fino a oggi.
La Roma del Seicento è stata la culla di quel grande movimento artistico e culturale che fu poi definito barocco. Un grande cantiere in cui la sperimentazione e l'innovazione andavano di pari passo con la censura e la difesa dell'esistente, dalle relazioni di potere alla definizione del dogma. Di questi fenomeni complessi e a volte persino contraddittori il volume ricostruisce un quadro il più possibile sfaccettato. Accanto all'analisi dell'arte e della cultura trovano quindi posto l'esame della politica cittadina, della sua Chiesa e della sua popolazione composita, oziosa e laboriosa, costituita da nobili e mendicanti ma anche da ceti produttivi e membri di professioni liberali che lottavano per un riconoscimento sociale. Se nel corso del secolo Roma perse progressivamente centralità rispetto ad altre capitali europee, non per questo venne meno la sua capacità di proporsi come importante centro di raccolta e smistamento di informazioni. E se la censura colpiva le più manifeste espressioni di eterodossia - non solo religiosa -, tra coloro che detenevano il potere di definire il pensiero ortodosso le posizioni erano tutt'altro che monolitiche, attraversate com'erano da gruppi in competizione tra loro.
Nel medioevo nessuno si è mai definito eretica o eretico. Eresia significa "scelta": infatti, l'eretico medievale è un disobbediente rispetto al conformismo religioso, sceglie di seguire il Vangelo e ripropone la Parola di Gesù. Il non conformismo religioso di donne e uomini è alla base di un libertario "moto di cultura", un dinamismo evangelico condannato e perseguitato. La "scelta" ereticale nel medioevo è anche una rivoluzione culturale che coinvolge chierici, donne e uomini, laiche e laici di strati sociali diversi: accanto ai più noti Bogomil, Arnaldo da Brescia, Valdo di Lione, Dolcino da Novara, John Wyclif, Jan Hus, ai valdesi, ai catari, ai templari, ai lollardi e agli hussiti, emergono numerose figure femminili, quali Guglielma, Margherita detta Porète, Margherita detta la bella, Giovanna d'Arco, oltre ad apostole e beghine. L'attenzione posta dal volume all'identità nel medioevo, ma anche al riverbero nel XX secolo di termini metacronici - eresia/eretici - dimostra come le molteplici varianti della «disobbedienza» religiosa del passato continuino ad affascinare il presente e ad essere strumentalizzate.
Nel corso degli ultimi decenni, in ambito storico e archeologico pochi temi hanno visto una crescita così impetuosa delle ricerche, un aumento così significativo dei dati disponibili e un mutamento così radicale dei paradigmi interpretativi quanto quelli relativi alla Roma medievale, in particolare riguardo al periodo più antico, fino all'anno Mille. La tradizionale visione della città altomedievale appiattita su una interpretazione esclusivamente in chiave di crisi e decadenza è stata messa in discussione dagli studi più recenti che, pur evidenziando la profondità della trasformazione e la gravità dei fenomeni di destrutturazione dell'assetto urbano, hanno messo in luce anche la continuità per tutto il periodo dell'insediamento all'interno dello spazio intramuraneo, l'importanza della città come centro di produzione e come terminale di flussi commerciali a scala mediterranea, il suo rilevante ruolo artistico e culturale. Nel volume alcuni dei più autorevoli specialisti italiani di archeologia, storia, storia dell'arte e cultura della Roma altomedievale tracciano un quadro complessivo dello stato attuale delle conoscenze sulla città dall'età tardoantica fino alle soglie dell'XI secolo.
Raffaello è uno dei più importanti artisti del Rinascimento italiano, nonché uno dei più influenti nell'intero panorama della storia dell'arte: fondatore di un procedimento creativo basato sull'imitazione "sintetica" o "critica", è stato un modello per generazioni di artisti. Il suo profondo interesse per gli aspetti filosofici ed espressivi del principio del decoro e le scelte strategiche di divisione dei compiti attuate nella sua bottega ne fanno un innovatore, capace di ridefinire il lavoro degli artisti. Robert Williams attinge ampiamente alla storia della letteratura, della filosofia, della religione e dell'economia per documentare e ripercorrere l'evoluzione stilistica di Raffaello, fornendo una base per ulteriori ipotesi su obiettivi e aspirazioni dell'arte italiana del Rinascimento e sulla natura degli studi storico-artistici.
L'opera di Hannah Arendt prende corpo tra Europa e Stati Uniti, nello sforzo costante di comprendere gli eventi storici più rivelatori delle migliori possibilità e delle peggiori miserie della condizione umana. Riflettendo sul concetto di "politico" dopo Auschwitz, Arendt ha evidenziato i limiti dei precedenti tentativi di afferrarne il significato senza considerare che non l'Uomo al singolare, ma gli esseri umani abitano la Terra. La pluralità che Arendt ha in mente è quella che riesce a trovare piena espressione, attraverso discorsi e azioni, soltanto qualora esista uno spazio pubblico-politico in cui sia possibile condividere un mondo comune, come accadde, in modi differenti e per un breve periodo, nella polis democratica dell'antica Grecia e con il "nuovo inizio" della Rivoluzione americana. Dell'opera di Arendt il libro propone una ricostruzione dettagliata, attenta a cogliere motivi e modalità del suo profondo ripensamento del nesso tra filosofia, politica e storia, compiuto quando appariva ormai inesorabilmente spezzato il "filo della tradizione" risalente alla Bibbia e a Platone e Aristotele.
Per Giuseppe Dossetti la politica è stata un impegno esigente e virtuoso, una missione al servizio dei più deboli e bisognosi secondo un’idea di democrazia sostanziale in grado di rendere testimonianza della presenza del cristiano nella storia. Con questa visione ha attraversato da protagonista le vicende del Novecento. Il volume ricostruisce attentamente il suo percorso: dall’avvento del fascismo alla Seconda guerra mondiale e alla Resistenza, durante la quale fu comandante partigiano; dalla Costituente alla militanza nella Democrazia cristiana nel periodo riformistico del centrismo, fino al Concilio ecumenico Vaticano II, dove si spese per una Chiesa impegnata in un rigoroso rinnovamento nel segno della povertà e della pace. Gli anni Novanta lo videro di nuovo attivo in difesa del testo costituzionale, insidiato, soprattutto nella prima parte, da iniziative di riforma improvvisate e pericolose per la tenuta dell’unità nazionale.
La storia sociale delle donne appartenenti alle comunità cristiane, ebraiche e islamiche del bacino euromediterraneo tra l'XI e il XVI secolo evidenzia la percezione del corpo femminile nelle tre culture e conduce al recupero della loro considerazione nelle società di appartenenza. In tutte, al netto delle differenze che pur vi furono, la sessualità e la sua gestione definirono i ruoli, l'identità e il profilo morale delle donne. E se la loro integrità costituì la condizione necessaria per il matrimonio, principale meta per ognuna, il suo speculare contrario fu il bordello. La casa familiare funzionò, tuttavia, anche come agenzia formativa: la specificità dell'acculturazione femminile consisteva infatti nella tendenza a ottenere l'istruzione necessaria attraverso percorsi privati e informali. Così incontriamo poetesse, maestre di scuola, copiste, miniatrici ed esperte di saperi curativi, ma anche donne religiose. Escluse dall’esercizio attivo della liturgia e del culto, esse trovarono comunque un loro ruolo sacrale, contrapposto a quello di streghe, fattucchiere e maghe. Tanto ricercate quanto, poi, perseguitate.
La malaria è stata probabilmente la principale causa infettiva di morte nell'evoluzione umana. In Italia è stata una presenza stabile dal II secolo a.C. e, salvo i casi importati, ha smesso di uccidere nel 1948. Il libro ricostruisce le sfide che la malattia ha rappresentato in diverse fasi storiche, ne descrive le caratteristiche ecologiche, illustra come i malariologi - in particolare italiani e tra questi Mario Coluzzi - abbiano cooperato alla spiegazione biologica e alla soluzione pratica dei problemi sanitari e chiarisce perché le misure di controllo e l'organizzazione politico-istituzionale della ricerca e delle campagne antimalariche sono state efficaci in Italia ma non in Africa subsahariana. Il volume racconta inoltre la vicenda storica della malarioterapia - cioè l'uso dei parassiti malarici per tentare di curare la neurosifilide e le sperimentazioni sulla malaria umana praticate in tale contesto -, il contributo italiano alla scoperta di come una malattia ereditaria del sangue protegga dalla malaria e alcuni discutibili progetti internazionali volti non alla cura ma all'immunizzazione della popolazione nelle aree in cui la malaria era endemica, attuati fra le due guerre mondiali.
Nella sterminata produzione di libri su Roma, sulle sue vicende, il suo paesaggio, i suoi abitanti questo volume, che accompagna il lettore lungo tremila anni di storia urbana, inserisce un'ottica finora mai tentata: quella della tridimensionalità. Attraverso una visione archeologica della stratificazione urbana e delle modalità di accrescimento del suolo, l'autore propone una risposta originale a una domanda apparentemente insensata: quante Rome si sono succedute nel corso dei secoli? In quale città viviamo oggi quando percorriamo le vie del centro storico più vasto d'Italia? Roma infatti è certamente una ma al tempo stesso è plurale per la complessità delle sue vicende istituzionali e urbanistiche, che ne hanno via via mutato la dimensione e il volto dal solco di Romolo alla metropoli odierna. La prospettiva aperta in queste pagine individua una cerniera nella sua vita millenaria, una "morte" e una "rinascita", stimolando riflessioni nuove sul tema antico del rapporto fra passato e presente nella città contemporanea.
Il volume fa luce sulle origini più profonde di una disputa iniziata molto prima del 1947, l'anno della partizione della Palestina da parte dell'ONU. Il ruolo delle religioni, lo sviluppo e la cristallizzazione delle identità, il possesso della terra, le strategie delle grandi potenze e quelle dei paesi arabi, l'antisemitismo e le discriminazioni, le prospettive dal basso degli abitanti che da oltre un secolo si contendono pochi chilometri quadrati: ognuno di questi tasselli è parte di un mosaico in cui spiccano le cicatrici della storia e vengono meno le verità assolute proprie di larga parte delle narrazioni correnti. Avere il controllo di questi luoghi millenari significa interpretarne il passato. È un aspetto che è rimasto costante nel corso dei secoli. Solo gli interpreti sono cambiati.
In questo volume Jürgen Renn propone un nuovo modo di pensare la storia della scienza e della tecnologia esaminando il ruolo della conoscenza nelle trasformazioni globali avvenute dalle origini della civiltà all'Antropocene - l'attuale era geologica caratterizzata dal forte impatto delle attività antropiche sul sistema terrestre - e indagandone l'evoluzione attraverso le scienze cognitive, la psicologia sperimentale, le scienze della terra e la biologia evolutiva. Il risultato è una inedita storia della conoscenza intesa come pratica che coinvolge dimensioni mentali, materiali e sociali.
Il libro ricostruisce i fondamenti filosofici e teologici dei cambiamenti che le prove dell'esistenza di Dio hanno subito a partire dall'argomento di Anselmo. La rivendicazione di una conoscenza chiara e distinta della natura di Dio, avanzata da Descartes, è all'origine della supremazia della prova che Kant chiamerà ontologica e che avrà una straordinaria fortuna nel pensiero moderno. Di questa fortuna si ripercorrono qui la nascita, lo splendore, le sorprendenti metamorfosi e il tramonto.
Che cosa significa essere marginali? Quali sono i meccanismi che in una società determinano inclusioni ed esclusioni? Generalmente pensiamo a fattori economici, politici, identitari, religiosi, culturali, che tuttavia nella storia hanno avuto un peso differente secondo le circostanze. Nel nostro Medioevo, il fattore discriminante è stato quello religioso: nella cultura di quel periodo, infatti, la difformità di fede difficilmente era consentita e anzi era percepita quale alterità, mentre si mostravano atteggiamenti più mediati e accomodanti, spesso persino inclusivi, nei confronti degli umili, dei malati, dei bisognosi, degli stranieri. Sia che si manifestasse come eresia sia come adozione di un altro culto, in particolare l'ebraismo e l 'Islam europei, la differenza religiosa costituiva invece sempre un discrimine profondo, frutto non di casualità, ma di politiche culturali precise. Il libro indaga, sulla lunga durata, le ragioni di questo "carattere originario" della nostra cultura, alla luce del fatto che le scelte compiute nel passato si riverberano sul nostro presente più di quanto si sia disposti ad ammettere.
Il volume racconta un lungo tratto della vita di Michelangelo, dalla fanciullezza trascorsa nella Firenze laurenziana fino al 1534, quando, ormai riconosciuto come artista di assoluto talento, sceglie di trasferirsi in modo definitivo a Roma. Sono gli anni dei suoi capolavori: la Pietà, il David, la volta della Cappella Sistina, e ancora la Sagrestia nuova e la Biblioteca Laurenziana; sono anche gli anni dei rapporti controversi con i papi Giulio II, Leone X e Clemente VII. L'affresco offerto da Hirst si basa su una vastissima documentazione archivistica, sulla rilettura e sulla discussione di lettere, contratti e testimonianze di terzi; ne risulta uno strumento utile per cogliere le relazioni di Michelangelo con il suo tempo, con committenti, amici e rivali, ma anche per leggere in filigrana la radice intima delle sue scelte, le debolezze e le passioni.