Siamo in un tempo di grande apertura culturale, ma anche di grande smarrimento morale,intellettuale, religioso e spirituale. L'autore propone una ricerca a tutto campo, spaziando nei domini di quelle che un tempo si distinguevano come scienze della natura e scienze dello spirito, ma che, oggi, giustamente appaiono profondamente interconnesse, tanto da non essere spesso neppure più distinguibili distinguibili. L'autore ci aiuta ad attualizzare un dibattito che non ha mai abbandonato l'umanità in cerca di risposte ai grandi interrogativi della vita.
Giovanni Vannucci (Pistoia, 1913-Firenze 1984) dell’Ordine dei Servi di Maria, ha vissuto come protagonista silenzioso la storia del cattolicesimo italiano della seconda metà del ventesimo secolo, attraversandone con faticosa, dolorosa lealtà le contraddizioni e la crisi.
La sua grandezza è apparsa in tutto il suo rilievo solo dopo la morte, attraverso la pubblicazione postuma di una quantità di opere, di cui questa che presentiamo è certamente una delle più importanti. Sono qui raccolte le Lezioni sull’Alchimia e quelle sull’Anno liturgico che Vannucci tenne all’Eremo di San Pietro alle Stinche
nell’inverno 1980-1981: si tratta dunque di una delle ultime opere del religioso servita, frutto più maturo della sua lunga, appassionata ricerca a tutto campo nel regno dello spirito. Troviamo qui illustrata una tesi per molti versi paradossale e sconvolgente: la liturgia cristiana deriva dall’ermetismo antico, attraverso la mediazione dell’alchimia, verso la quale si ha perciò il grosso debito di aver mantenuto vivo, nascostamente, l’insegnamento della tradizione ermetica, da quando, con la chiusura della Scuola di Atene, la filosofia classica fu messa al bando dall’Impero romano diventato cristiano e braccio armato della Chiesa ormai vincitrice sul paganesimo. Seguendo questo filo conduttore, appaiono in una luce completamente nuova molte delle pratiche di quella liturgia cristiana cui l’uomo contemporaneo non partecipa più, anche perché non comprende nel suo vero, profondo significato.
Medico e filosofo tedesco, di famiglia protestante ma passato al cattolicesimo e diventato prete, Johannes Scheffler (1624-1677), che assunse lo pseudonimo di Angelus Silesius (angelo della Slesia), è stato giustamente definito "versificatore di Eckhart", ma il suo "Pellegrino cherubico" è in realtà una sintesi completa della tradizione mistica occidentale. Esso fonde mirabilmente la riflessione di origine classica, soprattutto neoplatonica, filtrata attraverso i mistici medievali tedeschi, con i motivi più profondi della pietà cristiana. Il versante speculativo del libro è stato altamente stimato da pensatori quali Hegel e Schopenhauer, e la sua profondità psicologica ha causato l'ammirazione di psicoanalisti come Lacan. Il "Pellegrino cherubico" non è però un'opera facile: i suoi distici racchiudono spesso, nel breve spazio di due versi, concetti tra i più elevati del misticismo. La versione qui presentata, con l'accuratezza della traduzione e la ricchezza della introduzione e delle note, permette al lettore la comprensione e il godimento di questo capolavoro della poesia tedesca e di quella spirituale di tutti i tempi.
Il capolavoro di Czepko, i "Sexcenta monodisticha sapientum", è la raccolta poetica che ha ispirato all'amico Angelus Silesius il "Pellegrino cherubico" e, al pari di questo, si può considerare una vera e propria summa della tradizione spirituale classica e cristiana. I distici di Czepko trattano, con concettosa brevità, il tema cruciale del destino dell'uomo e dell'unione dell'anima con Dio. Il materiale speculativo dei versi è fornito all'autore dalla filosofia greca, dal mondo cristiano antico, ma soprattutto dalla mistica tedesca, medievale (Eckhart, Taulero, la Theologia deutsch) e rinascimentale (Franck, Weigel, Böhme). Con sublime arditezza il poeta ci parla così di distacco da se stessi, di "morte dell'anima", di ritorno all'origine e ricongiungimento a quell'Uno da cui, in realtà, non siamo mai usciti.
L'evangelo è l' annuncio della realtà dello spirito, luce divina presente nell'uomo completamente distaccato dalla propria egoità psichica. Espresso pienamente dalla filosofia classica, l'evangelo è stato ripreso nella mistica cristiana, ed è lì che Lutero l'ha incontrato, ribaltandone però completamente il senso. Partendo proprio dalla mistica medievale germanica, questo libro mostra il rovesciamento dell'evangelo operato dal Riformatore. Col suo odio per la filosofia, esaltando il sentimento particolare e negando la ragione universale, la teologia luterana gonfia ipertroficamente l'ego ed eleva al massimo grado quella menzogna che di ogni teologia è costitutiva essenziale. Oggi, a cinquecento anni della Riforma protestante, mentre il mondo laico saluta in Lutero il fondatore di quell'individualismo in cui vive, le Chiese celebrano in lui un cristianesimo del mero sentire, senza spirito e senza verità: "non credenti" e "credenti" finalmente uniti nella negazione dell'evangelo.
Nella quiete estiva di un giardino, nel paesaggio incantato della Versilia, due amici dialogano sulla religione nel nostro tempo e sull'essenza dell'esperienza religiosa, quasi a esaltare il contrasto tra l'armoniosa bellezza della natura - ma anche l'?indifferente suo corso - e le sgomentanti lacerazioni che segnano la ventura umana. Nello spazio di un interrogare inquieto quanto aperto alle ragioni dell'altro si dipana uno scambio di pensiero che va dalla riflessione sul presente ai vasti orizzonti di tematiche teologiche e filosofiche, fino al problema, cruciale oggi come pochi altri, del dialogo tra le fedi. Un itinerario che inanella in un nodo indissolubile autobiografia e storiografia filosofica, etica ed ermeneutica, memoria del tempo ed eternità presente nell'attimo che dilegua.
Proprio del bellissimo saggio della Weil sull'Ilia-de si presenta qui una nuova versione commentata, oltre allo scritto su Israele e i gentili, al capitolo "Israele" de La pesanteur et la grâce e a tre importanti lettere, inedite in italiano, sulla questione ebraica.
Considerato unanimemente figura normativa di vita spirituale, quello che i contemporanei chiamarono "Meister", ovvero maestro, per eccellenza, il domenicano tedesco Eckhart (1260-1327 ca.) porta a compimento la grande lezione dei filosofi pagani, "che conobbero la verità prima del cristianesimo". La grande lezione è la via del distacco, ovvero dell'abbandono di tutto ciò che è inessenziale, per trovare il nostro vero essere, il "fondo dell'anima", che non è l'ego psicologico particolare, ma l'universale spirito, Dio stesso. Per il cristiano Eckhart, la via del distacco della filosofia antica è quella stessa insegnata dal Cristo: "Chi vuole essere mio discepolo, rinunci a se stesso", e conduce a condividere l'essenza del figlio di Dio, del logos, che nasce nell'anima nostra e la porta a beatitudine infinita. Un insegnamento tanto sconvolgente quanto inconsueto, che non a caso fruttò al Meister l'accusa di eresia e la rimozione, per secoli, dal patrimonio comune del mondo cristiano. Questa antologia, curata da Marco Vannini, traduttore italiano dell'intera opera di Eckhart, offre al lettore un quadro sufficientemente ampio della dottrina del maestro domenicano.
Il distacco, via regia per la realizzazione della Realtà autentica sia negli insegnamenti evangelici che nel Buddhadharma, è praticato attraverso una costante presenza mentale e un ricordo continuo della fondamentale istruzione: recidi l'amore verso te stesso." Due insegnamenti spirituali in apparenza lontani si incontrano e dialogano nell'esperienza personale dell'autrice che intuisce l'armonia di fondo che collega le parole di Saggezza e di Amore del Buddha e di Gesù, svelando che il distacco dall'ego è il fondamento comune ad entrambe le Vie. Buddhadharma e Vangeli sono presentati al lettore attraverso una visione che coglie l'unità dell'autentica esperienza spirituale, esperienza universale che precede etichette e nomi che differenziano e separano ciò che all'origine è uno: l'antica sempre nuova esperienza dell'Essere che si presenta in modi diversi secondo tempi, luoghi e culture ma è fondamentalmente la stessa sotto ogni cielo, così come le coordinate dell'interiorità umana sono le stesse pur nella molteplicità di espressione.