Uno dei maggiori studiosi italiani dell’Inquisizione ricostruisce le secolari resistenze di una piccola isola alle imposizioni della Chiesa: a Procida i ripetuti tentativi delle autorità ecclesiastiche di introdurre le severe regole dettate dal Concilio di Trento – dalla lotta alle convivenze alla repressione delle pratiche magiche – dovettero fare i conti con una comunità ricca, vivace, aperta agli scambi e orgogliosamente attaccata ai propri modi di vita. Il quadro complessivo restò a lungo per la Chiesa di Roma fallimentare, e il libro lo documenta ampiamente. Le vicende di Procida sono l’occasione per riflettere sul complessivo esito dei tentativi di disciplinamento religioso nell’Italia moderna. Ovunque, sia in altre piccole isole, sia nelle aree rurali, sia nelle città, le reazioni furono diffuse e invitano a riflettere sulla straordinaria durata del ‘Medioevo’ religioso nel paese del papa.
L’editoria europea conosce nel corso del Settecento una fase di straordinario fermento: accanto all’estensione del mercato del libro, cresce sempre più l’affermazione della personalità creativa degli autori, e non è un caso che in quegli anni si inizi a riconoscere, almeno in Inghilterra, il diritto d’autore. L’Italia partecipa a questa vivacità intellettuale, ma accanto all’esigenza degli scrittori di affermare la propria identità, si affianca un’altra tendenza, sempre esistita, di segno contrario: la scelta di far circolare le proprie opere in forma anonima. Quali le ragioni dell’anonimato? Il silenzio d’autore è certamente legato a una logica di controllo per i generi su cui pesa il giudizio negativo della censura ecclesiastica. Ma c’è di più: scrivere libri che potevano essere considerati di basso profilo culturale, come molti romanzi o altri libri di larga circolazione, poteva nuocere al buon nome dell’autore. Meglio dunque rifugiarsi nell’anonimato. Un capitolo fondamentale e fin qui poco studiato della storia dell’editoria italiana.
Dalla fine della guerra fredda, le frizioni fra USA e Unione europea sono emerse in modo sempre più evidente e le due coste dell'Atlantico si sono progressivamente allontanate, arrivando a mettere a rischio un'alleanza che dura da settant'anni. Fino a quando a Washington e a Bruxelles si è privilegiato un approccio multilaterale, la crescente tensione è stata tenuta in qualche modo sotto controllo. Ma l'aggressivo unilateralismo di Trump sta scavando un solco incolmabile. E l'Europa si trova spinta a rafforzare i rapporti d'interesse con Mosca e Pechino. Per il Vecchio Continente questa frattura ha delle conseguenze di lunga portata e lo costringe a ridefinire la sua identità proprio quando si trova diviso da risorgenti tendenze nazionalistiche, da nuovi contrasti d'interesse e da uno scontro di sistemi di valori.
A distanza di cinquant’anni, sintetizzare con ‘generazione del ’68’ quel movimento di rivolta che ha avuto come teatro la scena del mondopuò quantomeno apparire sbrigativo, per non dire semplicistico, stereotipato. Lo scopo di questo libro è quello di mostrare che il ’68, lungi dall’essere il risultato dell’esperienza di una generazione omogenea, è in realtà frutto della convergenza di soggetti diversi per cultura politica, esperienze, istanze di rivolta e modi della partecipazione. Che il ’68 sia plurale emerge immediatamente dalla scomposizione di quella generazione, soprattutto analizzandola per età: tre, quattro anni di differenza marcano, infatti, una distanza spesso conflittuale tra due culture generazionali. Attraverso decine di storie di vita e lungo gli itinerari che dagli anni Cinquanta portarono migliaia di ragazze e ragazzi al ’68, Francesca Socrate intreccia la ricostruzione storica con l’analisi della loro memoria autobiografica e del linguaggio usato per raccontarla: si elabora così il senso che i protagonisti del movimento attribuiscono oggi a quel loro passato.
Furono oltre centomila i sudditi dell’Impero asburgico appartenenti alla minoranza italiana che durante la Grande Guerra combatterono ‘dall’altra parte’. Parlavano la lingua del nemico e per questo furono considerati inaffidabili e sospetti. Inviati soprattutto sul lontano fronte russo, in migliaia caddero prigionieri. Contesi tra Austria e Italia, da entrambi i paesi vennero visti con diffidenza e nei campi di prigionia russi subirono pressioni contrastanti e tentativi di rieducazione nazionale. Il libro ricostruisce i loro trascorsi avventurosi, vissuti in lunghi anni passati tra guerra, prigionia e complicati ritorni, e restituisce un capitolo importante della complessa questione dei nazionalismi novecenteschi.
Un libertino che ha giocato un ruolo fondamentale nell'evoluzione della cultura europea, un irriducibile ribelle per le sue idee politiche, filosofiche e religiose. Nella ricorrenza del 450° anniversario della nascita, Luca Addante ribalta le interpretazioni dominanti sul filosofo, raccontando Tommaso Campanella attraverso le sue rappresentazioni e smascherando l'incredibile stratificazione di miti e di usi politici e apologetici della sua figura, che ne hanno stravolto le originarie fattezze.
Il 30 novembre 1943, con un'ordinanza di polizia, il governo della Repubblica sociale italiana decise di arrestare e rinchiudere in campo di concentramento tutti gli ebrei che vivevano in Italia. Agenti di polizia e carabinieri, quasi fosse ordinaria amministrazione, eseguirono con prontezza gli ordini ricevuti. Nel giro di poche settimane uomini, donne e bambini furono fermati dalle autorità, privati dei loro beni, condotti prima in campi 'provinciali' e poi trasferiti in una struttura 'nazionale', a Fossoli di Carpi, vicino Modena. A cinque anni dalle leggi razziali del 1938, la persecuzione antiebraica voluta dal fascismo conobbe cosi un ulteriore 'salto di qualità': il nuovo Stato di Mussolini si pose l'obiettivo di relegare in un campo di concentramento tutta la popolazione ebraica, considerata un nemico di guerra. Ben presto questo fitto sistema di campi si trasformò in una trappola che avrebbe portato gli ebrei italiani nel cono d'ombra della Shoah.
A differenza dei tanti uomini pronti a misurarsi in quella che considerarono un'eroica ed elettrizzante avventura, le donne italiane non invocarono la guerra. Ci fu poi un gruppo di utopiste, legate a una rete internazionale di militanti, che avanzò una ferma critica al sistema di potere maschile. Per quella élite di femministe e di suffragiste erano gli uomini a capo dei governi e della diplomazia, che sceglievano di dirimere i conflitti tra le nazioni attraverso lo strumento della guerra, a provocare dolore e spargimenti di sangue. Per questo motivo, negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento e nel corso del primo conflitto mondiale, chiesero più diritti e più democrazia per le donne e sollecitarono la loro partecipazione nelle decisioni sulle vicende nazionali e internazionali.
All'inizio del 2013 si sono verificati due eventi inediti: la rielezione a capo dello Stato di Giorgio Napolitano e il successo elettorale del Movimento 5 Stelle. Questi due fatti hanno segnato una cesura che ha concluso il Novecento politico degli italiani. A partire da questa novità interpretativa, l'autore ripercorre l'intera storia repubblicana. Ricostruisce, tra l'altro, i modi con cui le famiglie politiche hanno concorso all'organizzazione del potere e alla vita collettiva, realizzando una prima socializzazione politica di massa. E come, pur essendo i soggetti fondatori della democrazia e della sua stabilità, siano pressoché scomparse.
Negli otto secoli della loro storia i Domenicani sono stati protagonisti di vicende a volte contrastanti, spesso al centro del dibattito teologico e filosofico, ma anche politico: si pensi al loro ruolo nell’Inquisizione, piuttosto che alla lotta dei missionari e degli intellettuali dell’Ordine per i diritti degli indios negli anni delle conquiste spagnole e portoghesi del Nuovo Mondo. Si può dire che l’Ordine dei Predicatori rappresenti uno dei grandi attori nello sviluppo della cultura, non solo europea, nei secoli del Medioevo e poi dell’Età Moderna. Ne sono esempio l’esperienza di predicazione di Domenico di Caleruega, e il suo confronto con l’eterodossia dei ‘catari’; l’originaria, sospetta novità della speculazione di Tommaso d’Aquino e la sua sistematizzazione nel corso dei secoli; la vicenda di Caterina da Siena, breve e travolgente, fra il ritorno della Sede Apostolica a Roma e il grande scisma d’Occidente, fino alle più recenti figure di Giuseppe Girotti, morto a Dachau, e di Pierre Claverie, vescovo ucciso in Algeria. Le vite, lo studio e i conflitti dei frati Predicatori si sono svolti nello scenario a volte tormentato delle vicende del loro Ordine, nei diversi contesti ecclesiastici e storici che ne hanno visto la missione. Si tratta di un’evoluzione che mostra molte discontinuità, ma anche linee di sviluppo ben individuabili: la predicazione, lo studio, la vita religiosa femminile.
Nel corso del XVI secolo le dottrine scaturite dalla protesta di Lutero si diffusero largamente anche in Italia, assumendo connotazioni peculiari e intrecciandosi con altri movimenti religiosi e specifiche eredità culturali. Massimo Firpo ne ricostruisce le origini e la storia mettendo in luce il ruolo decisivo esercitato dall'esule spagnolo Juan de Valdés negli anni che fecero da sfondo al concilio di Trento. Irriducibile alla Riforma protestante, il suo magistero spiritualistico seppe infatti orientare inquietudini e istanze di rinnovamento diffuse tanto a livello popolare quanto ai vertici delle gerarchie sociali, tra letterati e aristocratici, vescovi e cardinali.
Le 'stragi nere' iniziano il 12 dicembre 1969 con Piazza Fontana e terminano il 4 agosto 1974 con l'attentato al treno Italicus. Alcuni giorni dopo la bomba di Milano, il settimanale britannico "The Observer" parlerà di 'strategia della tensione', riferendosi non solo alle bombe ma al modo in cui sono stati strumentalizzati attentati e disordini sociali, chiamando in causa la stampa e i politici. La stagione dello stragismo, ignota ai Paesi dell'Europa occidentale, ha minato le istituzioni democratiche e la convivenza sociale dell'Italia, con l'aggravante che in quarantanni non sono stati condannati né i mandanti né gran parte degli esecutori. Solo in sede storica si è fatto un po' di ordine. Mirco Dondi ricostruisce gli episodi stragisti, soffermandosi in particolare sul loro impatto immediato.
La storia dell'archeologia classica in Italia ricostruita come una storia culturale. Dalla metà del Settecento fino agli anni '90 del Novecento, le ragioni storiche, politiche, ideologiche e perfino psicologiche che hanno indirizzato e influenzato le idee e le pratiche dell'archeologia, attraverso i numerosi mutamenti politici del paese.
Le vicende tra la prima e la seconda guerra mondiale, il mezzo secolo di socialismo reale vissuto all'ombra di Mosca, gli ultimi decenni che hanno portato all'ammissione nell'Unione europea: oggi l'Europa centro-orientale non è più una periferia, come a lungo è stata considerata
Nell'età dei Lumi fece la sua comparsa sulla scena europea un nuovo attore: il "philosophe", che rivendicava apertamente, tra le altre, la libertà di esprimersi a livello pubblico attraverso la parola scritta. Concentrandosi in particolare su Francia e Italia, Patrizia Delpiano esplora il processo che tra la fine del Seicento e la fine del Settecento condusse alla teorizzazione e alla messa in pratica della libertà di stampa. È una storia segnata da ostacoli istituzionali come la censura ecclesiastica e statale e da altri, non meno coercitivi, posti dalla coscienza degli autori stessi. Tra l'etica del silenzio e la libertà di scrivere si apriva infatti il vasto campo dell'autocensura: un universo del non scritto sinora largamente inesplorato, che segnò a lungo la vicenda degli intellettuali europei.
Negli anni della guerra fredda Washington mise in campo un ampio spettro di strumenti per contrastare l'espansione del blocco sovietico. La "guerra fredda economica" condotta dagli Stati Uniti, fatta di misure come sanzioni economiche e controlli sugli scambi commerciali est-ovest, nonché di aiuti ad alleati e a paesi terzi, coinvolse direttamente anche l'Italia orientandone in maniera decisiva i flussi degli scambi. Adriana Castagnoli mette in luce le complesse relazioni politiche ed economiche tra Stati Uniti e Italia che contraddistinsero la nostra collocazione nel blocco occidentale e determinarono, anche per questa via, un modello di sviluppo anomalo e segnato da una forte dipendenza dalle multinazionali americane nei settori tecnologicamente più avanzati. Un effetto a lungo termine che continua ancora oggi a manifestare le sue conseguenze.
"Un paese in bilico" racconta le vicende italiane più significative dal 1979 al 2011 e l'influenza che alcuni grandi cambiamenti avvenuti sul piano internazionale hanno avuto sul nostro paese. E nel contesto internazionale infatti che la storia italiana è inserita e solo al suo interno sono intellegibili le azioni dei suoi attori politici e sociali. Attraverso questa nuova chiave interpretativa, Alberto De Bernardi rilegge gli ultimi trent'anni della storia italiana al di fuori di stereotipi e luoghi comuni usurati, in larga parte fondati sul mito della perenne eccezionalità del nostro paese. Su uno sfondo internazionale, le trasformazioni spesso drammatiche che hanno attraversato l'Italia ci appaiono per quello che effettivamente sono state: processi concreti di adattamento critico ai mutamenti planetari, secondo dinamiche e fenomeni che sono riscontrabili in molti paesi occidentali.
Filo conduttore di questo libro è la difficile storia della politica italiana, dagli esordi dello Stato unitario fino alla crisi della repubblica dei partiti: l'originaria debolezza delle istituzioni, cui si cerca di porre rimedio con un sistema politico tutto ruotante attorno al centro; la difficile convivenza di culture e sub-culture politiche diverse, ciascuna con le sue pratiche e con i suoi miti fondanti, a volte in conflitto tra loro e con le istituzioni stesse; il ruolo dei partiti, protagonisti spesso contestati della stagione repubblicana; il rapporto sempre problematico fra Stato e società civile, fra governanti e governati.
Per tutta l'età moderna la Chiesa cattolica difese a spada tratta il diritto degli ecclesiastici responsabili di crimini comuni di essere giudicati da suoi tribunali. Fecero eccezione solo i delitti più efferati, su cui lo Stato rivendicò precise competenze, sia pur tra mille difficoltà. È un problema storico mai studiato in profondità e questo libro intende colmare la lacuna, grazie all'esame di una ricca documentazione inedita, non solo di natura giudiziaria. Teatro della ricerca è l'Italia del Cinque-Seicento, alle prese con gli eccessi di varia natura di chierici, preti e frati delinquenti e con le scelte di giudici quasi sempre conniventi e interessati soprattutto a tutelare l'onore del clero e della Chiesa tutta. Il libro, che dà ampio spazio alla vita quotidiana, apre squarci sorprendenti su dimensioni della storia religiosa e civile della penisola pressoché sconosciute. Sul sito Laterza e su quello dell'Archivio istituzionale dell'Università degli Studi Federico II un'ampia selezione dei documenti presi in esame.
Attraverso una documentazione in gran parte inedita, Monica Galfré ricostruisce il lungo percorso con il quale l'Italia si è lasciata alle spalle la terribile stagione di sangue del terrorismo, restituendo il fenomeno armato alla storia del paese, come parte integrante e non separata. Nelle parole dei protagonisti di quegli anni troveremo il racconto del pentitismo e della realtà scottante del carcere speciale, i movimenti e la legge sulla dissociazione, il potere acquisito dalla magistratura nei confronti della politica, il ruolo svolto dalla Chiesa e dal mondo cattolico nella riconciliazione, il processo di autocritica con cui gli ex terroristi hanno delegittimato l'omicidio e la violenza. Una normalizzazione complessa e tormentata, dopo eventi che hanno trasformato nel profondo le coscienze dei singoli e della società, facendo dell'Italia un caso unico in Europa.
Prima di diventare la bestia nera della civiltà moderna, la censura è stata un'istituzione di Antico Regime destinata a disciplinare l'accesso degli scrittori alla stampa. Meccanismo di regolazione della trasmissione delle idee e della cultura, la censura è stata prerogativa della sovranità e, come tale, è stata un potere conteso. Tracciarne le vicende significa dunque descrivere la storia politica d'Italia sotto il profilo del rapporto tra sovranità e uso della parola. Vittorio Frajese traccia la toria della censura del nostro Paese dall'introduzione della stampa all'età liberale (1469-1898): la costruzione dell'Indice dei libri proibiti, il passaggio dalla censura di inquisizione a quella settecentesca di civile polizia fino alla censura di polizia politica ottocentesca e ai problemi posti dalla libertà di stampa alla Chiesa e al nuovo Stato liberale.
La possibilità o impossibilità dell'esistenza di un rapporto amichevole autentico è una questione centrale nel Rinascimento: i fiorentini "erano profondamente imbevuti di concezioni classiche dell'amicizia. Rapporti di fratellanza e cameratismo univano artigiani e artisti che lavoravano insieme ad abbellire le chiese per glorificare Dio, e a progetti patriottici per adornare la città che i fiorentini consideravano il miglior posto della terra in cui vivere. In tutte queste forme di amicizia fioriva un affetto che è documentato in lettere personali, poesie, memorie, trattati e opere d'arte". Dale Kent documenta le relazioni tra fiorentini di diversa estrazione negli spazi fisici della città: le strade, le logge, i palazzi di famiglia, le chiese, i luoghi di riunione delle confraternite, le botteghe, le taverne. Ma non dimentica i tradimenti e le loro conseguenze: l'esilio di Cosimo de' Medici nel 1433 e il suo richiamo nel 1434, il tentativo degli amici più intimi dei Medici di appropriarsi della loro rete di protezione nel 1466, la congiura dei Pazzi per assassinare Lorenzo e Giuliano de' Medici nel 1478.
Nel 1914-15 la gioventù colta volle la guerra, si riversò nelle piazze d'Italia per forzare gli equilibri politico-istituzionali e trascinare il paese nel conflitto mondiale. L'immagine di una 'rivoluzione giovanile' agita in odio al materialismo borghese informò la propaganda politica ben oltre la guerra. Si trattò davvero di una rivolta? Se lo fu, si compì nel segno di una cultura nazionalista respirata sui banchi di scuola e nelle pratiche del tempo libero dei giovani borghesi negli anni precedenti. Creare un circolo studentesco e mobilitarsi in favore dei 'fratelli irredenti', provarsi in ascensioni alpine alle frontiere del Regno o vogare sul Tevere, frequentare il tiro a segno o fondare un battaglione studentesco: questi i moderni esercizi di responsabilizzazione sociale e nazionale di quella gioventù. Alla prova della guerra i giovani mostrarono di aver appreso il lessico della nazione in armi, concedendosi all'uso della violenza di piazza per affermare il proprio diritto a determinare il destino nazionale. La guerra restituì infine all'ammirazione dei più giovani una schiera di reduci-studenti ormai decisi a proseguire la lotta anche sul fronte interno.
Perché dopo secoli di demonizzazione l'attuale papa ha deciso di "cristianizzare" l'Illuminismo? Qual è il vero rapporto della Chiesa con questioni cruciali come la storia della libertà e dei diritti dell'uomo? Vincenzo Ferrone contesta l'uso e l'abuso di tesi storiografiche che teologicamente declinate rivendicano alla cultura cristiana le origini della modernità in Occidente, nonché la difesa dell'essere umano nel mondo post-moderno. "Forse bisognerà davvero attendere un nuovo papa, meno teologo, meno competente nella raffinata 'dialettica dell'Illuminismo', per sperare di veder finalmente rispettato per intero spazio valoriale dei non credenti, la loro autonomia morale, bisogno esistenziale, il significato profondamente umano e quindi sacro della verità storica, indispensabile anche, e soprattutto, per i cattolici riformatori".
Fin dalla seconda metà dell'Ottocento, nei dintorni di Palermo operava la mafia cosiddetta 'dei giardini', dedita allo sfruttamento di ricche aziende agricole e all'intermediazione commerciale dei loro prodotti. La Piana dei Colli era uno dei suoi luoghi d'elezione. Qui i gruppi mafiosi, oltre ad accedere a ingenti risorse, potevano attivare relazioni con i più diversi strati sociali, tra cui le classi dirigenti cittadine. Si trattava infatti di un ambiente composito, in cui le splendide residenze dell'aristocrazia convivevano con le case di borgata. La trasformazione da esso subita nel corso del Novecento, quando è diventato parte integrante della città, non ha intaccato il ruolo di primo piano della mafia della Piana dei Colli. Sulla base di un'esaustiva e originale lettura di diverse fonti archivistiche e giudiziarie, Vittorio Coco ricostruisce le ultracentenarie vicende di gruppi mafiosi che hanno dimostrato grandi capacità di adattamento a un così radicale mutamento del contesto.
Davide Rodogno esamina l'emergenza di una pratica d'intervento nei conflitti, chiamata intervento d'umanità o intervento umanitario a livello internazionale, dalla caduta di Napoleone sino alla prima guerra mondiale. Contrariamente al luogo comune che vuole che gli interventi umanitari siano un'invenzione recente, Rodogno dimostra che la loro storia risale ad almeno due secoli fa quando, sotto l'egida di un sistema internazionale chiamato il "Concerto europeo", le grandi potenze europee si sono arrogate il diritto morale e la legittimità politica di intervenire per salvare popolazioni straniere vittime di massacro, atrocità e sterminio. I casi di intervento riguardano specificamente popolazioni cristiane vittime di violenze commesse da regimi "barbari", come quello turco, che violavano gravemente "il diritto alla vita". Rodogno esplora la percezione politica, legale e morale che gli europei svilupparono dell'impero ottomano e le ragioni per le quali quest'impero fu escluso dalla cosiddetta "famiglia delle nazioni". Un'analisi storica inedita di questa pratica internazionale controversa e delle sue conseguenze sulle popolazioni civili.
L'attuale crisi economica pone l'esigenza, finora poco avvertita, di interrogarsi sul modo in cui eventi simili siano stati, in passato, affrontati e percepiti. Il libro analizza tre momenti salienti della storia economica dell'Italia contemporanea: la depressione di fine Ottocento, la recessione tra le due guerre mondiali e quella causata dagli shock petroliferi degli anni Settanta del secolo scorso. Tre fasi destinate a influenzare profondamente la storia sociale e politica oltre che gli assetti finanziari e produttivi dell'Italia. Paolo Frascani analizza gli esiti economico-istituzionali, senza tralasciare i mutamenti della sensibilità collettiva e del clima culturale. In tutti e tre i momenti, emerge che dalle crisi si può uscire cambiando il modo di governare l'economia: la crisi bancaria di fine Ottocento o quella degli anni Trenta del secolo scorso, sono state superate modificando il sistema delle regole che fino ad allora avevano governato l'erogazione delle risorse e i rapporti di forza tra Stato e capitalismo privato; mentre dalla crisi degli anni Settanta scaturisce una nuova percezione delle piccole realtà produttive del Paese. La ricerca di Paolo Frascani rileva gli strumenti messi in campo dalla classe politica liberale, dalla tecnocrazia fascista e dall.Italia del compromesso storico per riavviare il meccanismo dell.economia e quali effetti hanno prodotto le crisi sugli assetti sociali, le mentalità e i saperi.
Nell'Italia del Cinquecento, divisa tra lo splendore delle corti e delle arti e la tragedia delle guerre e delle pestilenze, nuove dottrine religiose diffondono gli umori inquietanti del dubbio e della ribellione, insieme con le speranze di un profondo rinnovamento. Il fervore del dissenso e della libera critica percorre strati sociali d'ogni condizione, tocca il vertice e la base ecclesiale della cattolicità, investendo tanto le dottrine teologiche quanto le pratiche religiose quotidiane.
In Italia i grandi movimenti di popolazione avvenuti all'interno dei confini rivestono un'eccezionale importanza per capire il nostro Paese: si pensi solo alla grande migrazione interna degli anni del boom economico del secondo dopoguerra. Stefano Gallo ricostruisce la storia delle migrazioni avvenute in Italia, entrando nel merito di ognuna. Il racconto prende in considerazione i mutamenti economici tra aree forti e aree deboli, così come l'analisi istituzionale dei soggetti e delle norme che hanno riguardato la mobilità. Emergono alcuni fili che si dipanano da questioni classiche della storiografia italiana, come il rapporto tra popolazione rurale e popolazione urbana, i caratteri dell'industrializzazione, la questione settentrionale o quella agraria, ecc. Ma si aprono anche settori nuovi o poco esplorati: l'intervento dei comuni nel limitare l'accesso alla residenza legale per mantenere un controllo sull'erogazione dei servizi assistenziali; i progetti statali per trasferire le famiglie rurali nelle colonie; gli interventi assistenziali diretti alla mobilità rurale stagionale, introdotti in periodo fascista e proseguiti sotto i governi democristiani. Sullo sfondo, una riflessione sui rapporti tra amministrazione, politica e mobilità territoriale, cercando di individuare nelle specificità di determinate epoche e nei meccanismi di fondo gli elementi in comune con i flussi migratori odierni.
Nel 700 d.C. l'Italia è divisa in due regni, quello longobardo e quello bizantino. Dopo decenni di lotta, nel 680, regna un accordo di pace. Tra le due aree, quella sottoposta a maggiori tensioni è quella bizantina a sud dove le élites italiche si sono più volte poste in posizione di fronda rispetto al centro imperiale. Al nord, invece, il regno longobardo è al suo apice, la società è saldamente inquadrata dalle gerarchie laiche, guidate da duchi e ufficiali pubblici, e ha le potenzialità per governare tutta la penisola. Non sarà così e la sua sconfitta cancellerà anche la sua lunga storia. Stefano Gasparri recupera la memoria dei Longobardi in Italia e presenta la loro società senza trascurare neppure i contatti e i rapporti avuti con la stessa Chiesa romana. Sarà, infatti, quest'ultima ad avere la meglio, fra Longobardi e bizantini, e sarà proprio il papato con la sua azione a impedire il passaggio dell'intera Italia nelle mani dei re "barbari". Con tre conseguenze importanti: la conquista franca dell'Italia, la creazione del primo impero medievale e l'impianto di una dominazione territoriale da parte della Chiesa di Roma. Per arrivare a questo, come indaga Gasparri, è stata fondamentale la forte operazione di propaganda intorno ai due grandi progetti, franco e papale. Il loro proselitismo ha dominato la scena dell'occidente europeo nella seconda metà dell'VIII secolo e costruito un pregiudizio negativo nei confronti dei Longobardi dal quale val la pena liberarsi.
Un mondo variegato e percorso da tante correnti di pensiero, quello dei cattolici legati ai temi della sinistra. Spiccano innanzi tutto le figure di quei credenti che in entrambe le culture ritenevano vi fosse un forte interesse per i poveri e che si potessero trovare elementi comuni tra le idee della tradizione cristiana e l'utopia marxista. Fra questi ci sono don Primo Mazzolati, David Maria Turoldo e Camillo De Piaz, Ernesto Balducci, oltre a Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira. Altri credenti maturarono la convinzione che fosse possibile dividere la sfera religiosa da quella politica e dunque essere cattolici ossequienti alle direttive dell'Istituzione romana e insieme comunisti: professare una dottrina religiosa 'tradizionale' non poteva insomma precludere l'adesione al partito dei lavoratori. Poi ci sono stati i cattolici moderati che, in condizioni particolari (ad esempio negli anni delle violenze fasciste), ipotizzarono collaborazioni politiche con la sinistra e altri ancora erano convinti invece che l'associazionismo cattolico dovesse abbandonare la sua dimensione militante e spesso politica. Di tutti i nodi e i temi che Saresella indaga, uno dei più importanti è la questione dell'unità politica dei cattolici che, auspicata per molti decenni, andò scomparendo con la fine del ruolo di coagulo dei voti moderati e anticomunisti assunto dalla Dc nella Prima Repubblica. Infine, elemento di discussione che tornò in più occasioni fu quello del confronto teorico tra marxismo e cristianesimo.
Molto più di tutti gli altri media che l'hanno preceduta nella storia (stampa, radio, cinema) la televisione suscita mitologie e denunce, entusiasmo e demonizzazione, assuefazione e ripulsa. Secondo il Censis l'Italia di oggi appare una società frammentata e confusa, priva di punti di riferimento forti e stabili, dove la televisione domina largamente i consumi culturali. Quasi il 70% dei cittadini le si affida (in particolare ai telegiornali) per formare le proprie scelte di voto. Giovanni Gozzini ripercorre le tappe principali dell'uso della tv da parte degli italiani. Dalla televisione top-down, pedagogica e autoreferenziale di Ettore Bernabei a una televisione bottom-up, bidirezionale che - lungo un percorso che va da trasmissioni come "Portobello" (1977) fino al "Grande Fratello" (2000) - mette in scena, celebra e mitizza l'italiano medio. Senza contare le reti private commerciali. La tesi di Giovanni Gozzini è che la tv più che determinare il mutamento ha rispecchiato, catalizzato e amplificato la 'rivoluzione individualista' esplosa negli anni '80 e celebrata dalla permanenza di Berlusconi sulla scena politica. Nonostante la televisione funzioni dappertutto nel mondo come in Italia, solo da noi è diventata soggetto politico. Così, frammentata e individualista, l'Italia sopravviverà anche dopo Berlusconi.
Divenuto strumento centrale, sebbene non unico, della repressione politica nell'Italia fascista, il confino di polizia, basato sulla pratica del detenere senza imputare, contribuì considerevolmente a distruggere le basi dello Stato di diritto nel nostro paese. Per la sua procedura, più veloce e agile rispetto a quella di un processo penale ordinario, questa misura fu facilmente applicabile: per essere assegnati al confino era sufficiente un mero sospetto di pericolosità. Camilla Poesio esamina, oltre agli aspetti tecnici della misura punitiva, anche il rapporto pubblico/privato individuato nello studio di documenti ufficiali e di testimonianze, diari e memorie. La vita di coloro che conobbero quest'esperienza fu infatti segnata dalle dure condizioni alimentari, abitative, sanitarie, dalle violenze fisiche e psicologiche commesse dalle guardie e dalla sostanziale indifferenza della popolazione locale. Essere diventati cittadini senza diritti, non potere disporre di alcuna garanzia, non potere rispondere e controbattere alle accuse era l'aspetto più duro da sostenere per i confinati. L'analisi dell'intreccio fra sfera individuale e contesto generale restituisce uno spaccato chiaro della repressione fascista e demolisce il persistente giudizio sul confino come uno strumento blando e con poche conseguenze sulla vita dei detenuti.
Gilda Zazzara ricostruisce il profilo di una leva di studiosi di storia che, nel secondo dopoguerra, ha introdotto in ambito universitario nuovi settori di ricerca di argomento otto-novecentesco, in particolare la storia del movimento operaio e della Resistenza. Lavorando tra università, mercato culturale e centri di ricerca 'militanti' (sostenuti da partiti e circuiti politici socialisti, comunisti e azionisti) questa generazione di storici è stata mossa da una parte dallo sforzo di legittimare la storia contemporanea come disciplina scientifica a pieno titolo e dall'altra dalla convinzione che la conoscenza del passato prossimo fosse un elemento imprescindibile della rialfabetizzazione democratica degli italiani. Il libro presenta gli storici di quella generazione - giovani intellettuali cresciuti sotto il Regime, spesso allievi prediletti dei più prestigiosi accademici degli anni Trenta per poi passare a esaminare alcuni centri di ricerca (Biblioteca Feltrinelli e Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione di Milano; Fondazione Granisci di Roma) dove era possibile avere un costante confronto con dirigenti politici e testimoni degli eventi recenti e soprattutto era possibile accedere alle prime raccolte documentarie. Dopo l'analisi di decenni importanti per la ricerca e il consolidamento istituzionale e di rinnovamento metodologico della disciplina, si arriva agli anni Settanta quando gli intellettuali italiani devono confrontarsi con la contestazione giovanile.
In politica le istituzioni assumono spesso l'impronta di chi le rappresenta. Questo è tanto più vero per la Presidenza della Repubblica così come è regolata nella Costituzione italiana. Il ruolo che i costituenti assegnarono al capo dello Stato nel nuovo sistema politico non è privo nella sua indeterminatezza di qualche ambiguità, ma proprio grazie a essa chi è stato investito dell'alta carica ha potuto esercitarla secondo la sua interpretazione della necessità degli interessi talvolta mutevoli del paese. In questo volume, un'analisi approfondita delle personalità di coloro che sono stati chiamati di volta in volta a occupare la massima carica dello Stato e della loro attività nell'arco dei rispettivi mandati, ma anche un'indagine e una riflessione sulle forze e sulle istituzioni che sono state o sono al centro delle vicende politiche del paese, giudicate dall'angolo visuale del Quirinale. Attraverso documenti d'archivio spesso inediti, memoriali e testimonianze dei protagonisti si ripercorrono tutte le tappe salienti delle varie presidenze: dalle "prediche inutili" di Einaudi agli anni di Gronchi e della crisi Tambroni; dal "mandato breve" di Segni e dai retroscena del "piano Solo" alle clamorose dimissioni di Leone; dalle esternazioni irrituali di Pertini ai misteri del settennato di Cossiga; dalle aspre polemiche degli anni di Scalfaro fino al delicato e complesso settennato di Napolitano.
L'esilio rappresentò un'esperienza comune durante il Risorgimento, e fu parte integrante nella costituzione dell'identità nazionale italiana. Maurizio Isabella esplora il contributo al patriottismo italiano di numerosi rivoluzionari italiani che dovettero abbandonare la penisola all'inizio della restaurazione, a seguito del fallimento delle cospirazioni e dei moti del 1820-21. A Londra, Parigi o a Città del Messico, esuli noti come Ugo Foscolo o Santorre di Santarosa, e altri meno conosciuti, entrarono in contatto con patrioti e intellettuali stranieri e discussero questioni politiche che influenzarono la loro cultura e il loro modo di concepire la questione italiana. Il coinvolgimento degli emigrati italiani in dibattiti con intellettuali britannici, francesi e ispano-americani dimostra quanto liberalismo e romanticismo politico fossero ideologie internazionali condivise da una comunità di patrioti che si estendeva dall'Europa alle Americhe. Il volume rappresenta il primo tentativo di inserire il patriottismo italiano in un ampio contesto internazionale. Facendo suoi gli strumenti e le metodologie della world history, e della storia intellettuale internazionale, Maurizio Isabella rivela l'importanza e l'originalità del contributo italiano a dibattiti transatlantici sul federalismo democratico. Risorgimento in esilio ha ricevuto il secondo premio per il miglior libro di storia non britannica di storico esordiente per il 2009 dalla Royal Historical Society...
Varcare i limiti dell'orizzonte nazionale e muoversi in una dimensione trans-regionale, privilegiare l'interazione attiva tra le diverse culture e liberarsi del pregiudizio eurocentrico: sono questi, in sintesi, i presupposti della sfida che la world history propone alla storiografia contemporanea.
Non più un racconto lineare del mondo, al cui centro vi è l'Occidente, ma un universo ricco di varietà culturali in cui ogni periferia è protagonista. Dallo studio delle migrazioni e delle diaspore a quello degli incontri culturali e delle reti trans-nazionali economiche e sociali, questo saggio ricostruisce la genesi e l'evoluzione di una nuova prospettiva di analisi storica.
Il colonialismo italiano in Somalia terminò nel febbraio 1941. Nove anni dopo la nuova Italia democratica ritornò nella più periferica delle ex colonie a guidare l'Amministrazione fiduciaria italiana per conto dell'Onu. Sullo sfondo della contesa tra l'Italia e l'Egitto di Nasser per l'influenza in Somalia, l'esperimento di un colonialismo democratico fu inteso dall'ex potenza coloniale come una prova di recupero per il passato. La formazione di una classe dirigente italofona, il trapianto di istituzioni moderne ritagliate sull'esempio italiano e un collegamento stretto della fragile economia somala agli aiuti finanziari e tecnici provenienti da Roma sembrarono poter garantire alla nuova Italia una posizione di rilievo nella neonata Repubblica di Somalia.
La ricerca inedita di Antonio M. Morone, che unisce letteratura e documenti d'archivio in lingua italiana, inglese e araba, dimostra invece come le aspirazioni italiane si rivelarono incapaci di elaborare soluzioni politiche e istituzionali durevoli per il futuro Stato somalo.
1° ottobre 1943, l'esercito anglo-americano entra a Napoli. Inizia una lunga convivenza con i militari stranieri che si rivela difficile e controversa. Soprattutto per le donne. Considerate, di volta in volta, traditrici o eroine, oggetti di violenze o degne di sostegno, indotte alla prostituzione o salvate da felici matrimoni. La vicinanza «con lo straniero, con il 'diverso', creò un clima particolarmente favorevole alla 'promiscuità', all'innamoramento che coinvolse le donne di tutti gli strati sociali. Mentre molti uomini erano stati catapultati dalla guerra oltre i confini delle proprie città, dei propri Paesi, sperimentando abitudini, costumi, fisionomie differenti, la diversità s'impose alle donne nelle proprie case, nei contesti di sempre, seppur profondamente stravolti dalla guerra».
Maria Porzio interpreta le relazioni tra 'occupanti' e 'occupati' e rilegge quegli anni nelle città centro-meridionali attraverso i rapporti tra donne e uomini.