Gli ultimi decenni hanno visto sorgere un tema completamente nuovo: le società europee già ampiamente secolarizzate si sono trovate di fronte alla rinnovata vitalità di movimenti e fondamentalismi di natura religiosa. Per la filosofia ciò comporta una sfida doppia. Come teoria politica normativa, la filosofia deve rivedere quell'idea di stato secolarizzato che voleva espellere dalla sfera pubblica politica le comunità religiose, confinandole nel privato. Come "custode della razionalità", non può non chiedersi cosa significhi il fatto che nel cuore delle società moderne rifioriscano - quali produttive figure dello spirito - confessioni e dottrine religiose già radicate in arcaiche pratiche di culto. La sorprendente contemporaneità della religione sfida la cultura laica: fin dall'illuminismo la filosofia si era schierata dalla parte delle scienze, e aveva finito o per trattare la religione come un oggetto oscuro e bisognoso di spiegazione o per "razionalizzarla". Dobbiamo allora chiederci: come deve comportarsi una filosofia che si vede venire incontro la religione non più come una figura del passato, ma come una - sempre opaca, ma per il momento di nuovo attuale - figura del presente?
L'Unione economica e monetaria è stata disegnata secondo le concezioni ordoliberali del patto di stabilità e progresso. È stata pensata come l'elemento portante di una costituzione economica che avrebbe dovuto stimolare, oltrepassando le frontiere nazionali, la libera concorrenza degli attori del mercato e organizzare regole vincolanti per tutti gli Stati membri, neutralizzando le differenze di competitività esistenti nelle varie economie. Sennonché l'ipotesi che bastasse una libera e regolata concorrenza per raggiungere un benessere egualmente distribuito si è rivelata presto sbagliata. Disattese le condizioni ottimali per una moneta unica, le diseguaglianze strutturali delle varie economie nazionali hanno finito per aggravarsi; e continueranno ancora ad aggravarsi, finché la politica europea non la farà finita con il principio per cui ogni Stato nazionale deve decidere sovranamente da solo, senza guardare agli altri Stati associati.
Questo libro raccoglie due conversazioni di Enrico Filippini con Jürgen Habermas pubblicate rispettivamente sull'«Espresso» nel 1979 e su «Repubblica» nel 1986. Non semplici interviste, ma un lungo dialogo interrotto e poi ripreso, narrato con sensibilità letteraria e tessuto di silenzi, provocazioni, immagini. Al centro della discussione ci sono la crisi della Modernità e la dissoluzione della cultura di sinistra, i temi habermasiani della colonizzazione del «mondo della vita» operata dagli apparati di controllo sociale e della necessità di un nuovo «agire comunicativo» che ne ristabilisca lo spazio e la possibilità. Un dialogo, in costante tensione tra la proposta del filosofo tedesco e i dubbi incalzanti di Filippini, che si situa in un passaggio cruciale della recente storia culturale europea e che conserva intatta la sua carica epistemologica di riflessione sul presente.
Descrizione dell'opera
I conflitti globali presentati dai mezzi di informazione come scontri religiosi, il peso crescente delle posizioni confessionali nella formazione delle opinioni politiche, l'irruzione di nuovi culti legati ai processi migratori.
Le società occidentali moderne devono fare i conti con la persistente vitalità delle religioni, per quanto secolarizzate, ma anche con la progressiva disintegrazione della pietà popolare tradizionale, che da un lato produce istanze fondamentaliste e dall'altro espressioni di fede ancorate ai principi del dialogo e dell'accettazione dei diritti umani.
In questo contesto, Habermas crea le premesse per una filosofia capace di «tradurre» il contenuto delle espressioni religiose in un linguaggio accessibile e in grado di influire in modo concreto nei processi decisionali delle società contemporanee in termini inclusivi e solidali.
Sommario
Le religioni e la politica. Note.
Note sugli autori
JÜRGEN HABERMAS (Gummersbach,1929), filosofo e sociologo tedesco, è tra i principali continuatori della Scuola di Francoforte. Assistente di Theodor W. Adorno, ha insegnato a Heidelberg e a Francoforte e ha diretto l'istituto Max Planck di Starnberg, che promuove la ricerca sulle condizioni di vita nelle società scientifico-industriali.
EDUARDO MENDIETA è professore di Filosofia alla State University di New York, Stony Brook.
"Vorrei richiamare l'attenzione su alcuni aspetti di quella sostanza normativa della democrazia che dobbiamo oggi difendere dalle tendenze che vorrebbero trasformarla in una semplice maschera costituzionale dei meccanismi di mercato. Si tratta infatti di capire che cosa noi vogliamo salvare e recuperare nella costellazione posnazionale di una società mondiale in via di formazione." (dalla prefazione di Jurgen Habermas). Una delle opere principali del grande filosofo tedesco, una grande sintesi sul rapporto tra etica, morale e diritto.
I timori prodotti dalla situazione economica rendono i problemi dell'Europa più fortemente presenti nella coscienza delle popolazioni e conferiscono loro una importanza esistenziale più grande che mai. Ma i politici sono diventati da tempo una élite di funzionari: non sono preparati a una situazione senza paletti di confine, che richiede una diversa modalità di fare politica, una modalità capace di modellare le mentalità.
Muchas de las opiniones comunes sobre la religión y la vida pública son mitos que tienen poco que ver con la realidad política y social o con la experiencia cotidiana. Por ejemplo, la religión no es ni meramente privada ni puramente irracional. Y la esfera pública tampoco es un ámbito de franca deliberación racional ni un espacio pacífico de acuerdo libre de coacción.
En los últimos años, en medio de una extendida recuperación del interés por la relevancia pública de la religión, son las categorías mismas de lo religioso y lo secular las que se reexaminan, reelaboran y replantean. Es lo que hacen, en este libro, cuatro destacados pensadores y representantes de la filosofía política y social contemporánea: Jürgen Habermas, Charles Taylor, Judith Butler y Cornel West.
Se recogen aquí sus intervenciones en un coloquio sobre «el poder de la religión en la esfera pública», tanto sus propias exposiciones como su posterior diálogo mutuo. Cada uno de ellos en su peculiar estilo intelectual y, traspasando los confines de las disciplinas académicas, desde un fuerte compromiso público. Juntos representan algunas de las voces filosóficas más originales e influyentes de hoy, y abarcan el espectro de la teoría crítica más reciente, del pragmatismo y el posestructuralismo a la teoría feminista y la teoría crítica de la raza, la hermenéutica o la filosofía del lenguaje.
La presente edición española se completa con una conversación entre Jürgen Habermas y Eduardo Mendieta sobre la relevancia filosófica de la conciencia postsecular y la sociedad mundial multicultural.
«L'unica capacità che ancor oggi dovrebbe contraddistinguere l'intellettuale è il fiuto avanguardistico per ciò che conta. Ciò richiede virtù tutt'altro che eroiche: il senso per quel che non va e che 'potrebbe andare diversamente'; un pizzico di fantasia per progettare alternative; un poco di coraggio per l'asserzione provocatoria, per il pamphlet. Tutto ciò è più facile dirlo che farlo, e lo è sempre stato»:
Jürgen Habermas riflette criticamente sulla funzione dell'intellettuale nella sfera pubblica e sul futuro delle democrazie europee.
Nella modernità la teoria morale si astiene dal proporre modelli vincolanti di vita buona. Sennonché l'impossibilità di comporre la disputa sullo statuto morale e giuridico della vita umana prepersonale induce oggi Habermas a riproporre la problematica etica classica sul piano dell'universalità antropologica.
L'autore teme una genetica liberale che si affidi alle opzioni interessate dei genitori e ai meccanismi del mercato. Fuoriuscendo dal rapporto clinico e dialogico col paziente, ossia dai limiti strettamente terapeutici e negativi che presuppongono il consenso dell'interessato, il liberalismo genetico rischia di alterare quell'eguaglianza casuale della natalità cui tutti i cittadini devono il cominciamento di un esclusivo destino di socializzazione. Solo se manteniamo come giuridicamente indisponibile la casualità della nascita, i cittadini possono garantirsi l'eguaglianza di accesso all'ideale comunità dei soggetti morali e alla reale comunità dei cittadini politici.
In breve
I contatti con il mondo avvengono attraverso stimoli sensoriali che, rielaborati, diventano simboli carichi di significato: è questo quanto rende uomo l’uomo. In otto tra i suoi saggi più recenti, Jürgen Habermas si confronta con alcuni tra i maggiori pensatori del Novecento e riunifica i «frammenti di una storiografia filosofica contemporanea».
Alla questione di fondo, se gli appartenenti a culture diverse possano in generale incontrarsi su un terreno comune di intesa e in che cosa questa universale comunione che tutti unisce eventualmente consista, vengono spesso date risposte contrarie e semplificate. L’universalismo consapevole di sé della tradizione occidentale muove dall’unità di una ragione innata in tutti gli uomini. Gli si contrappone un autocontraddittorio relativismo, il quale parte dal fatto che in tutte le tradizioni forti albergano criteri del vero e del falso loro propri e per l’appunto incommensurabili. Mentre l’universalismo astratto getta al vento le idee delle scienze storiche dello spirito, il relativismo se ne fa sopraffare. In questo volume Habermas, confrontandosi con grandi filosofi e intellettuali contemporanei consapevoli dell’importanza dei miti, dei simboli, dell’apporto delle culture religiose, ma coerentemente fedeli al metodo critico-analitico e a un approccio discorsivo, approfondisce e difende le ragioni di un razionalismo consapevole e aperto al dialogo tra le culture.
Indice
Premessa – 1. L’energia liberatrice della figurazione simbolica. L’eredità umanistica di Ernst Cassirer e la Biblioteca Warburg – 2. La lotta delle potenze della fede. Karl Jaspers e il conflitto delle culture – 3. Fra le tradizioni. Una «laudatio» a Georg Henrik von Wright – 4. Ricercare, nella storia, l’Altro della storia. Sul «Sabbatai Zwi» di Scholem – 5. Un architetto con fiuto ermeneutico. La via del filosofo Karl-Otto Apel – 6. Israele o Atene: a chi appartiene la ragione anamnestica? Johann Baptist Metz per l’unità nel pluralismo multiculturale – 7. Libertà comunicativa e teologia negativa. Domande a Michael Theunissen – 8. Un’utile talpa che distrugge il bel prato. Il Premio Lessing conferito ad Alexander Kluge - Note - Fonti dei saggi