Quando nel 1947, dopo due secoli di dominio britannico, l'India divenne indipendente, adottò subito un regime di democrazia parlamentare, che garantiva il pluralismo politico, la libertà di parola e di stampa, e la tutela dei diritti di ogni cittadino. Scomparse le terribili carestie dell'era coloniale, alla stagnazione economica subentrò un'impetuosa fase di crescita, accelerata negli ultimi decenni a ritmi tali da fare dell'India una delle prime potenze commerciali del mondo. Eppure, questi successi non hanno determinato una reale inclusione sociale delle fasce più svantaggiate della popolazione e non hanno migliorato le condizioni della stragrande maggioranza delle persone. Jean Drèze e Amartya Sen individuano la causa dei principali problemi dell'India nella mancanza di attenzione ai bisogni essenziali della gente, specialmente dei poveri e delle donne. Per affrontare queste enormi questioni, dicono i due autori, non serve che l'India abbandoni il suo impegno democratico, ma è necessario riconoscere l'importanza della relazione a doppio senso che esiste tra crescita e promozione delle potenzialità umane, tra sviluppo e progresso sociale, e sconfiggere l'illusione che il paese possa diventare una superpotenza economica con la scandalosa percentuale di bambini malnutriti che ancora la abitano e senza la piena assunzione di responsabilità del settore pubblico nel suo insieme.
Un mistero - o un paradosso - avvolge l'India contemporanea: il paese vanta un indiscusso primato per l'eccellente preparazione dei suoi tecnici e professionisti, i suoi «primi della classe» altamente competitivi sul mercato del lavoro occidentale, eppure il suo sistema scolastico esclude o trascura la gran parte di coloro che dovrebbe educare e che, non a caso, appartengono alle categorie sociali più svantaggiate, i poveri e le donne. Perché l'iniquità e la disuguaglianza non riguardano solo la scuola, ma tanti, troppi ambiti della vita sociale indiana, dall'assistenza sanitaria alla previdenza sociale, fino alle svariate e clamorose forme di discriminazione castale, tuttora ampiamente vigenti. Nei brevi saggi raccolti in queste pagine, Amartya Sen fissa alcune priorità nella serie di problemi che ostacolano il pieno sviluppo economico e democratico del suo paese e delinea condizioni e modi per farvi fronte: le questioni della giustizia sociale, della povertà, delle disuguaglianze, della parità tra i sessi, dell'istruzione, dei diritti d'espressione e del ruolo dei media sono, fra le tante, al centro della sua riflessione appassionata e partecipe, illuminata da una vasta competenza e sempre ispirata a principi di equilibrio e di apertura antidogmatica alla molteplicità delle prospettive. Ma non è solo all'India - ai preziosi contributi che la sua civiltà millenaria ha dato all'umanità nel passato e al suo presente difficile ma anche ricco di iniziative e di grandi potenzialità - che Sen dedica le sue attenzioni, poiché anche il mondo globale contemporaneo è afflitto, e su scala molto più larga, dalle medesime piaghe: ingiustizia, fame, dispotismo, guerra, esclusione, sfruttamento. Nell'invocare la piena realizzazione dei diritti di tutti nella prima e più grande democrazia dell'Asia, Sen ci mostra che «ciò che dovrebbe toglierci il sonno» non riguarda solo l'India, ma anche tutte le altre zone del pianeta, dove applicare un'idea concreta di giustizia, ovvero centrata sulla realizzazione più che sui princìpi o sulle istituzioni ideali, equivarrà sempre a promuovere la vita umana e a migliorare il mondo in cui viviamo. Una lezione che ci viene da uno dei maestri del pensiero contemporaneo e che è doveroso ascoltare.
Quando nel 1947, dopo due secoli di dominio britannico, l'India divenne indipendente, adottò subito un regime di democrazia parlamentare, che garantiva il pluralismo politico, la libertà di parola e di stampa, e la tutela dei diritti di ogni cittadino. Scomparse le terribili carestie dell'era coloniale, alla stagnazione economica subentrò un'impetuosa fase di crescita, accelerata negli ultimi decenni a ritmi tali da fare dell'India una delle prime potenze commerciali del mondo. Eppure, questi successi non hanno determinato una reale inclusione sociale delle fasce più svantaggiate della popolazione e non hanno migliorato le condizioni della stragrande maggioranza delle persone. Jean Drèze e Amartya Sen individuano la causa dei principali problemi dell'India nella mancanza di attenzione ai bisogni essenziali della gente, specialmente dei poveri e delle donne. Per affrontare queste enormi questioni, dicono i due autori, non serve che l'India abbandoni il suo impegno democratico, ma è necessario riconoscere l'importanza della relazione a doppio senso che esiste tra crescita e promozione delle potenzialità umane, tra sviluppo e progresso sociale, e sconfiggere l'illusione che il paese possa diventare una superpotenza economica con la scandalosa percentuale di bambini malnutriti che ancora la abitano e senza la piena assunzione di responsabilità del settore pubblico nel suo insieme.
Il Prodotto Interno Lordo è ancora un indicatore affidabile del progresso economico e sociale? No, non lo è. Ad affermarlo sono i premi Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz e Amartya Sen e l'economista francese Jean-Paul Fitoussi, che nel 2008 sono stati invitati da Nicolas Sarkozy - autore della prefazione - a istituire una commissione di esperti per rispondere alla domanda e stendere un programma per sviluppare metodi di misurazione migliori. "La misura sbagliata delle nostre vite" è il risultato di questo sforzo, fondamentale per il futuro della nostra economia e della nostra società. Dopo aver preso in considerazione i grossi limiti del PIL come sistema di valutazione del benessere delle società, gli autori introducono nuovi concetti e strumenti utili allo scopo, dagli indicatori della sostenibilità dello sviluppo economico alla misura del risparmio e della ricchezza, fino a un PIL "verde", in grado di tener conto delle conseguenze ambientali della crescita. Una guida essenziale per misurare le cose che contano e affrontare il futuro.
La lunga storia delle riflessioni sulla giustizia, che ha accompagnato come un'ombra lo sviluppo delle società umane, può essere riassunta, in ultima analisi, in questo dilemma: la giustizia va concepita come un ideale formalmente ineccepibile ma destinato a rimanere fuori della nostra portata, o piuttosto come una sorta di criterio pratico, imperfetto e sempre rivedibile, che dobbiamo comunque assumere come valido per orientare le nostre decisioni concrete e migliorare la qualità della vita individuale e collettiva?
Nella sua ampia e acuta ricognizione dei vari approcci all'idea di giustizia, Amartya Sen, premio Nobel per l'economia nel 1998, muove una critica puntuale al filone del pensiero illuminista che pone al centro della riflessione politica ed etica un «contratto sociale» (Hobbes, Locke, Rousseau, Kant e, in epoca contemporanea, John Rawls, punto di riferimento costante per l'autore) e la cui massima ambizione è definire il modo e i contenuti di accordi perfettamente giusti, anziché chiarire come le diverse pratiche di giustizia debbano essere confrontate e valutate.
A questa «prospettiva trascendentale», Sen contrappone la propria idea di giustizia, che prende le mosse dall'altro filone della tradizione illuminista (rappresentato, sia pur con diversi accenti, da Adam Smith, Condorcet, Bentham, Mill e Marx), centrato sull'analisi delle strutture sociali esistenti e sulla discussione pubblica condotta all'insegna della razionalità come strumento privilegiato per la riduzione delle più palesi ingiustizie.
Si tratta, infatti, non di definire una volta per tutte, anche solo in astratto, che cosa debba essere considerato «giusto», ma semmai di scegliere per via comparativa tra valutazioni alternative e argomentazioni concorrenti, cioè di vagliare sotto la lente dello «spettatore imparziale » i molti punti di vista, indipendentemente dalla loro provenienza. Solo aprendoci a tale pluralità di voci, infatti, potremo guardare su scala globale alle ingiustizie che possono venire eliminate o ridotte, senza ricadere in gretti localismi o in sterili chiusure mentali. Mai come in questo libro emergono con forza l'ampiezza di orizzonti, la lucida intelligenza e la grande umanità che hanno fatto di Amartya Sen uno dei maggiori e più ascoltati intellettuali del nostro tempo.
"Chiunque sia interessato ai temi della libertà, dell'eguaglianza e della giustizia dovrebbe leggere attentamente questo libro" (American Political Science Review)
Che cos'è l'eguaglianza? Per caratteristiche personali (età, sesso, capacità) e circostanze esterne (proprietà di beni, provenienza sociale, condizioni ambientali), gli esseri umani sono irriducibilmente differenti e l'idea di eguaglianza deve essere valutata in relazione a una molteplicità di variabili. Per Sen la domanda da porsi è allora: "eguaglianza di che cosa?". Nel fornire una risposta a questo interrogativo egli si concentra sulla capacità degli individui di svolgere efficacemente le loro funzioni e sulla libertà che essi hanno di perseguire i propri piani di vita. Basato sulla nozione di libertà, l'approccio proposto si inserisce in modo originale e incisivo nel dibattito su una questione cruciale per gli equilibri delle società contemporanee.
Amartya K. Sen, premio Nobel per l'Economia 1998, insegna Economia e Filosofia ad Harvard. Il Mulino ha pubblicato: "La ricchezza della ragione" (2000), "Razionalità e libertà" (2005), "Scelta, benessere, equità" (nuova ed. 2005).
Nel 1944 a Dhaka, nel Bengala che ancora faceva parte dell'India, un bambino di 11 anni vide arrivare nel giardino di casa un uomo gravemente ferito che implorava un sorso d'acqua. Colpevole solo d'essere musulmano, era stato linciato per strada da alcuni indù. Amartya Sen, il bambino della mia storia, non ha mai dimenticato quell'episodio. Da allora il futuro premio Nobel per l'economia ha imparato a diffidare di quelle categorie collettive - religione, razza, nazione, lingua - che hanno la pretesa di definire in maniera irrevocabile che cosa sia un individuo e di vedere in questa "minimizzazione dell'essere umano" - come lui la chiama - un seme di brutalità e di violenza. "E l'uomo dov'era?" dice un verso del Canto Generale di Neruda. È la domanda che sembra porsi Amartya Sen in ciascuna delle pagine di questo libro. (Mario Vargas Llosa)
Una adeguata concezione della libertà dovrebbe essere sia positiva che negativa: 'libertà di' ma anche 'libertà da'. La piena libertà dell'individuo non può che raggiungersi attraverso un impegno collettivo, sociale. In uno stile limpido e cristallino, il prezioso volume di uno studioso la cui autorità intellettuale e morale difficilmente può essere messa in dubbio. Amartya Sen, Premio Nobel 1998 per l'Economia, è un maestro del pensiero contemporaneo. Rettore del Trinity College di Cambridge, è Lamont University Professor di Economia e Filosofia morale ad Harvard.
A Sen si deve la rielaborazione in ambito economico di concetti chiave, come quelli di scelta, preferenza, razionalità, benessere, libertà, giustizia, che egli rivisita alla luce di una critica dell'utilitarismo. La prospettiva che ne consegue apre nuovi orizzonti al discorso economico e pone le premesse per un proficuo incontro tra economia, filosofia, morale, sociologia e scienza politica. Questo volume presenta una scelta di scritti di Sen, diventati ormai classici: in essi si snoda il suo ricco percorso intellettuale e si delineano temi che saranno al centro di successive opere fondamentali.
Tra razionalità e libertà, afferma Sen, esiste una relazione reciproca: si potrebbe dire che ciascuno dei due concetti ci viene in aiuto per capire l'altro più a fondo. In un ragionamento che si dipana tra i vari saggi risulta chiaro come non si possa riconoscere la libertà indipendentemente dalle preferenze e dalle valutazioni ragionate di un individuo, proprio come è evidente che la razionalità richiede libertà di pensiero. Questo ampio approccio interpretativo viene utilizzato da Sen per analizzare sia le domande di razionalità nella scelta individuale (incluse le decisioni in condizione d'incertezza) sia le scelte sociali (inclusi l'analisi costi-benefici e la valutazione ambientale).