
L'imperativo marx-engelsiano, "Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!", sembra essere stato stravolto nel suo opposto: le vicende che qui richiamiamo, quelle dei "soliti ignoti" cioè delle multinazionali, dimostrano che nell'età postmoderna tutti i "lavoratori" (e i semioccupati, e i disoccupati, e i diseredati) si sono frammentati e dispersi, mentre a unirsi, salvo che ciò preluda a nuovi conflitti, per il momento sono stati invece i padroni. Non possiamo opporci a questa dinamica, sappiamo di essere impotenti dinanzi ad essa, non c'illudiamo sul valore del nostro contributo. Che tuttavia tende, con molta modestia, a tradurre in termini politici il vecchio imperativo esorcistico, Quomodo te vocaris? Ecco: questo è un contributo al disincanto weberiano. Cominciamo a conoscerli e a chiamarli per nome, questi padroni. Cominciamo a riconoscerli, a costringerli a salire al proscenio, a farsi vedere. Cominciamo a contarli e a parlare di loro. Ce la siamo troppo a lungo presa con i politici mediocri e corrotti che essi mandavano avanti a spianare la loro strada: e, come lo stupido cane bastonato, abbiamo azzannato il bastone anziché la mano che lo guidava, e meglio ancora la gola di chi ci stava bastonando.
Le economie a gestione centralizzata (dal nazifascismo al comunismo) sono state un grande fallimento non solo economico ma antropologico, umiliando la dignità e la libertà umana. Il mercato è l’unico strumento per l’allocazione delle risorse economiche conciliabile con la libertà e l’iniziativa della persona. Ma il mercato copre solo una parte delle relazioni sociali e deve essere governato da forti istituzioni. Su queste convinzioni, in Germania, negli anni appena precedenti il crollo del nazionalsocialismo si va affermando un nuovo pensiero, che è all’origine del solido sviluppo dell’economia tedesca, attuale motore economico del Vecchio Continente. Questo modello chiamato: Economia Sociale di Mercato o Ordoliberalismo, è sviluppato da un gruppo di pensatori raggruppati intorno all’Università di Friburgo, per cui si parla anche di Scuola di Friburgo. Ma è un filone di pensiero che si incrocia con altre importanti tradizioni intellettuali che esprimono vertici come Röpke e, da noi, Luigi Einaudi e Luigi Sturzo, tedeschi ed italiani che si riconobbero, negli anni, influenza reciproca e grande stima.
L’Economia Sociale di Mercato vede nella libera formazione dei prezzi sul mercato un cardine irrinunciabile di una economia sana, perché garantisce la più vantaggiosa allocazione delle risorse; e vede lo Stato limitato a fare da arbitro del processo economico, mai agendo da attore, se non in casi rari e circoscritti, sempre bilanciati da opportuni “contrappesi”. È un pensiero che si incrocia, in più punti, con il pensiero della Dottrina Sociale della Chiesa, oggi oggetto di rinnovata attenzione, come analizza Marco Vitale nella postfazione. Due tradizioni che mettono al centro l’uomo, i suoi valori, la sua dignità, con le sue più profonde esigenze morali e spirituali ma senza sacrificare l’esigenza a una economia sana e rigorosa. Due tradizioni di grande equilibrio che trovano entrambe una rinnovata attenzione proprio nei nostri anni in cui il fondamentalismo di mercato e la finanziarizzazione forsennata dell’economia ci hanno portato a questa crisi gravissima, apparentemente senza via d’uscita. Ma questo pensiero ci indica anche la via d’uscita.
Il libro ripercorre questo pensiero tipicamente europeo nato nel cuore economico e sociale più sano d’Europa, e che rappresenta anche la speranza di una nuova economia più civile e umana e quindi più efficiente.
Prefazione di Dario Velo
Postfazione di Marco Vitale
Luisa Bonini - Terminati gli studi secondari presso il Liceo Scientifico di Mortara, si è iscritta alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Pavia conseguendo, nell’ottobre 2011, la laurea specialistica in Economia e Gestione delle Imprese, avendo come relatore il professor Dario Velo. Dall’incontro con il prof. Velo è scaturita la sua proposta di preparare una tesi imperniata sui temi dell’economia sociale di mercato. È nata così una ricerca appassionata durante la quale è diventata sempre più evidente l’attualità del tema trattato. Il successivo incontro con il professor Marco Vitale ha dato l’avvio perché questo lavoro di ricerca fosse raccolto in questo volume.
Posto alla guida dell'Agip all'indomani della Liberazione, Mattei si diede la missione di dotare l'Italia di una ricchezza fondamentale per il suo sviluppo e la sua indipendenza, e nel giro di quindici anni mise in piedi l'Ini e la Snam; conquistò così non solo l'approvvigionamento diretto alle fonti di energia ma fece del nostro paese uno dei maggiori fornitori mondiali di manufatti e know-how per l'industria petrolifera. La sua grande spregiudicatezza nei confronti sia dei concorrenti esteri sia della politica italiana forse gli fu fatale: il 27 ottobre 1962 l'aereo che lo portava da Catania a Milano esplose in volo. Una morte che rimarrà uno dei misteri della storia repubblicana.
Il volume offre un'introduzione e una guida completa alle ricerche di marketing (qualitative e quantitative) con la peculiarità di un approccio per problema decisionale: come è meglio procedere per indagare temi quali l'evoluzione del mercato, la segmentazione della domanda, il posizionamento competitivo, il lancio di un nuovo prodotto, la definizione del prezzo ottimale e delle promozioni più efficaci, le scelte distributive e quelle di comunicazione al target? L'analisi degli strumenti si spinge fino alle nuove frontiere delle ricerche di marketing, che prevedono l'integrazione con i dati interni e i modelli di data mining. Questa scelta di fondo fa dell'opera uno strumento indirizzato a tutti coloro che nella pratica realizzano e utilizzano le ricerche di marketing, in ogni settore: dai marketing manager agli istituti di ricerca. La prima parte del libro è dedicata all'impostazione di un progetto di ricerca di marketing e alla spiegazione delle metodologie e delle tecniche; la seconda alla loro applicazione per le decisioni di marketing strategico, mentre alle applicazioni di marketing operativo sono dedicati i capitoli della terza parte, accessibili online così come gli ampi casi che per ogni capitolo completano la trattazione.
"Che cos'è l'economia?" è una "lezione" che si sviluppa in tre parti. Nella prima si contempla il modo in cui l'uomo usa le risorse del suo ambiente: il rapporto tra economia, tecnologia, ecologia. Nella seconda si analizza il modo in cui si svolgono gli scambi all'interno dell'economia, in particolare il mercato e il ruolo della moneta. Nella terza si indagano i rapporti tra la potenza del capitalismo e il potere della democrazia. Dice Giorgio Ruffolo: "L'economia politica deve poter spiegare qual è il modo in cui le cose possono maggiormente servire per aumentare il benessere, certamente la ricchezza, ma anche la felicità, la felicità che è inscritta non nei libri di economia, ma addirittura in una delle più grandi costituzioni politiche della storia, la costituzione americana: "happiness", la felicità del popolo. Gli economisti dovrebbero essere coscienti che la ricchezza serve alla felicità, che l'economia serve all'uomo e non è l'uomo a servire l'economia".
L'ultima spaventosa crisi economica - quella che stiamo subendo in questi anni - ci obbliga a riflessioni radicali sul mondo intorno a noi, sugli altri e su noi stessi. In particolare, ci costringe a ripensare il nostro rapporto con il denaro, in una società dominata dal principio dell'avidità e dell'arricchimento a qualunque costo, dove la speculazione finanziaria produce incontrollabili effetti perversi. Lo squilibrio tra ricchezza e povertà è un tema su cui gli esseri umani riflettono da quando è nata la civiltà. Tomás Sedlácek ha avuto un'intuizione semplice e geniale: rileggere in questa prospettiva i testi che hanno ispirato l'umanità, sia opere di carattere religioso - dal Vecchio Testamento al Talmud al Corano - sia opere filosofiche, ma spaziando anche in altri ambiti quali il mito, la psicologia, la letteratura, il cinema. Oggi la "scienza triste" privilegia la freddezza astratta dei modelli matematici. "L'economia del bene e del male" riporta invece in primo piano il fattore umano, la sensibilità dei saggi e dei poeti, il nostro senso della giustizia, il valore della solidarietà. Solo ripartendo da questa base, suggerisce Sedlácek, è possibile cambiare il modo in cui pensiamo l'economia e la società in cui viviamo. Prefazione di Vaclaw Havel.
Il complesso e quanto mai attuale tema del welfare, e del welfare pensionistico in particolare, viene affrontato qui in modo innovativo e originale, rispetto ai classici lavori monografici di matrice esclusivamente storico-sociologica o giuridica o economica o inseriti nell'area della scienza delle finanze. Il libro sceglie un approccio multidisciplinare per una maggiore e più completa comprensione della materia, che viene analizzata nelle sue diverse sfaccettature, secondo un filo conduttore volutamente 'non ideologico', capace di guardare al sistema di protezione sociale (nella sua storia, nelle sue finalità, nei suoi elementi critici e nelle sue possibilità e potenzialità future) avendo come riferimento prima di tutto la 'natura' del soggetto da 'proteggere': l'uomo, con le sue differenti peculiarità e attitudini, membro di una società che comprende al suo interno grandi e innegabili elementi di diversità. Il lavoro inizia con una ricognizione completa dei modelli di welfare che si sono sviluppati prevalentemente in Europa e ne analizza il processo di convergenza, dalla nascita del welfare state alla crisi di questi anni; prosegue poi con una ricostruzione storica dell'evoluzione del welfare in Italia, dall'Unità a oggi. Si passa quindi a un'analisi dettagliata dei profili economici, attuariali e gestionali dei sistemi previdenziali, per finire con una originale riclassificazione del bilancio dello Stato e della spesa per welfare regionalizzata.
Sfidare i limiti è l'imperativo del nostro tempo. Forzare il possibile, passare il segno, trasgredire in senso etimologico. Destino paradossale, quello delle parole. In nome della trasgressione appena ieri ci si faceva beffe dei divieti imposti per via autoritaria e del perbenismo, si aspirava all'equità sociale. Secoli prima, grandi movimenti di pensiero avevano ingaggiato battaglia con i valori tramandati, e inaugurato così la modernità. Ma l'"andare oltre" di oggi è l'emblema del dominio, perché si annida in un modello di sviluppo planetario che rispetta una sola regola: ignorare ogni confine naturale, geopolitico, etico, antropologico e simbolico, assimilandone l'idea stessa a remora passatista di cui liberarsi per aprire ai mercati. Il peccato di dismisura, sanzionato con severità dagli antichi, si è rovesciato in precetto; il furore prometeico ha sopravanzato lo spirito di sovversione. Serge Latouche non ci sta. Da anni elabora il progetto di un'alternativa praticabile al binomio crescita-illimitatezza. Si chiama decrescita e il suo concetto strategico è limite. Sinonimo di privazione in una prospettiva sviluppista, il limite appare qui come il vero punto di forza che può trattenerci dal baratro. Alla tracotanza autodistruttiva dell'universalismo liberoscambista e alla pervasività delle sue invarianti culturali, Latouche contrappone le eco-compatibilità, le sovranità circoscritte, le identità plurali, i legami che creano società.
Una delle prime vittime della crisi economica è stata la fiducia: chi aveva creduto che libertà e uguaglianza fossero raggiungibili grazie al libero gioco del mercato si è ritrovato amaramente deluso. Ma come è successo, e quando, che il sogno di prosperità per tutti del capitalismo si trasformasse in un incubo di ingiustizia e povertà degno del peggior comunismo sovietico? Quando si è diffusa l'idea che "fare impresa" voglia dire orientare le scelte politiche per favorire l'interesse di pochi a scapito della collettività, anziché impegnare il proprio talento nella ricerca di un futuro migliore, aperto a tutti? Se non rispondiamo a queste domande, abbandonandoci al populismo naif con il suo generico rifiuto dei meccanismi economici, rischiamo di perdere quello che rimane il migliore dei sistemi possibili: con tutti i suoi difetti, offre pur sempre le migliori opportunità al maggior numero di persone. Alla degenerazione del capitalismo finanziario, alimentato anche in Italia da nepotismo, corruzione e incompetenza, Luigi Zingales contrappone idealmente il liberalismo delle origini, l'antidogmatismo e la fiducia nell'armonica convergenza di interessi individuali e collettivi; difende il mercato come regno delle opportunità e della produzione di ricchezza al servizio dei cittadini, purché ripulito da lobby e monopoli che fanno pagare alla comunità i disastri che hanno provocato.
La nuova scommessa di Muhammad Yunus sta nel pensare un capitalismo diverso, basato su imprese che abbiano per scopo non solo il raggiungimento del profitto ma anche la ricchezza sociale: il business sociale. Yunus entra nel merito degli esperimenti di business sociale avviati in questi ultimi anni, spiegando cosa ha funzionato e cosa invece è da cambiare, grazie alla sua capacità di sminuzzare i problemi in modo non convenzionale, parlando costantemente con i protagonisti, per ripensare di continuo convinzioni e procedure. Oltre al racconto dei primi passi dell'esperienza Danone in Bangladesh, si susseguono il delizioso racconto della vicenda della Mirakle Couriers di Mumbai, un'impresa con finalità sociali di consegna a domicilio gestita da sordomuti poveri, organizzati da un giovanotto che studia a Oxford. Oppure l'incredibile vicenda dei medici dell'Ospedale dei bambini di Firenze, che dopo aver messo a punto l'unica cura contro la talassemia a livello mondiale, dal 2007 stanno cercando di esportarne le pratiche anche negli angoli più poveri dell'Asia. O ancora la collaborazione fra la multinazionale francese Veolia e il mondo Grameen per distribuire acqua potabile depurata nel bacino dell'Himalaya dove l'acqua è sì abbondante, ma contaminata da tracce di arsenico di origine naturale. I primi passi concreti che realizzano il sogno di un capitalismo dal volto umano, etico e finalizzato al benessere sociale.
Telegiornali, quotidiani, riviste, trasmissioni televisive e social network: su tutti i fronti siamo bombardati da notizie infarcite di bond, spread, hedge fund e rating. All'inizio siamo stati sospettosi (come al ristorante con le polpette) poi preoccupati (prevedendo periodi bui di pasti saltati e nuovi buchi alla cintura) e alla fine anche un po' satolli tanto che ora sentirne parlare ci fa venir voglia di "cambiare canale" e mandare giù un bicchierone di Citrosodina. Ma, in fondo in fondo, siamo certi di sapere che cosa è successo davvero all'economia mondiale e, quindi, ai nostri portafogli? E soprattutto: quali sono le ricette sicure per cucinare al meglio i nostri risparmi, senza rischiare di mandare tutto in fumo? Marco Fratini con lucidità, ironia e chiarezza (e un palato da esperto critico gastronomico) ripercorre le tappe più importanti della crisi economica mondiale mettendone in luce anche gli aspetti più oscuri che, nella foga dell'informazione, ci erano sfuggiti. Finalmente ci saranno chiari anche i termini più criptici e sapremo quali sono stati gli ingredienti segreti che hanno reso così amaro il boccone da mandare giù (e chi è stato a metterli in pentola). L'autore ci spiega anche che cos'è meglio fare con ciò che ci è rimasto in dispensa ovvero quali sono i rischi, i vantaggi e i possibili rendimenti se investiamo i nostri risparmi in titoli di Stato, bond governativi stranieri, conti di deposito, azioni, fondi comuni, mattone e oro.