Frutto di una ricerca interdisciplinare condotta da studiosi di storia economica e di economia aziendale, il volume affronta la storia e gli sviluppi attuali della raccolta dei mezzi finanziari (oggi denominata fund raising) necessari ad alimentare organismi e iniziative nonprofit. I sei saggi raccolti mostrano che il fund raising ha in Italia una lunga storia, che risale alla carità delle confraternite religiose e al civismo dei ceti dirigenti nelle città italiane del medioevo e dell'età moderna, al solidarismo delle società di mutuo soccorso, al rinnovato impegno dell'associazionismo religioso tra Otto e Novecento e si dispiega oggi nella diffusione delle Onlus e nella formazione di una specifica disciplina scientifica. Lo studio di queste molteplici esperienze, che si sono susseguite nell'arco di otto secoli, suggerisce che esse hanno espresso ed esprimono, pur in forme storicamente diverse, l'esigenza di costruire rapporti sociali di reciprocità solidale, insieme complementari e alternativi rispetto a quelli sui quali si fondano le economie di mercato.
Molto si discute di capitalismo ma raramente ci si domanda cosa sia il capitale. Perché? Si tratta di un concetto che non si lascia afferrare, e disorienta mutando continuamente forma. Tuttavia, affrontarlo è un passaggio obbligato per capire l'economia moderna. La tesi di questo libro è che si possa pensare il capitale come un mezzo oppure come un fine. Nel primo caso esso acquista una valenza sociale, nel secondo risulta svuotato di ogni istanza di giustizia. Boldizzoni ripercorre la storia di una dicotomia che ha lacerato l'Occidente dal Rinascimento ai nostri giorni istituendo una relazione sistematica tra la dimensione intellettuale e le trasformazioni materiali e culturali di scenario. L'altalena delle grandi potenze: dalla Spagna degli Asburgo alla Francia di Luigi XV, dall'Inghilterra vittoriana alla Germania del Terzo Reich, entra in gioco con un peso a volte decisivo nello spiegare il successo o la sfortuna di ciascuna visione teorica. La centralità dell'Europa rispetto a questo dibattito viene bruscamente meno con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Un'analisi disincantata del primato culturale degli USA nei successivi decenni apre uno scorcio imprevedibile sulla crisi del pensiero economico contemporaneo.
Un testo singolare tra il saggio e il pamphlet di grande interesse e attualità per il fatto che l'autore affronta temi che riguardano tutti noi molto da vicino come l'economia, sempre più disastrata, ed un sistema politico più che mai vacillante, con le difficoltà, piuttosto marcate, della famiglia media italiana; il rapporto difficoltoso con le banche; l'allettante ma non sempre redditizio investimento in Borsa.
Dalle prime iniziative solidaristiche del '700 ai grandi gruppi cooperativi del mondo contemporaneo: storia, caratteristiche, diffusione di una forma di impresa che opera nel mercato, ma persegue fini mutualistici. I punti di forza e di debolezza rispetto all'impresa capitalistica, la governance, le vicende italiane.
Alcuni sostengono che il capitalismo avrebbe imboccato una strada di autodistruzione di cui si può prevedere il necessario percorso e la sua inevitabile fine. Per Giorgio Ruffolo non è vero. Non c'era niente, nel passato del capitalismo, che fosse necessario e inevitabile. E non c'è niente di simile nel suo futuro. Perché le origini del capitalismo possono essere rintracciate ben prima della nostra epoca, prima dell'emersione del volto potente e inquietante dell'impresa contemporanea. Perché già l'antichità dell'Occidente, tra Grecia e Roma, conteneva in sé i segni di quella attrazione verso il denaro e verso la produzione di valore che costituisce l'essenza della produzione e dello scambio capitalistico. Il passato del capitalismo gode quindi una durata straordinariamente lunga, e questo spinge Ruffolo a guardare al futuro nella certezza che il capitalismo non avrà vita troppo breve. Perché esso ha dentro di sé la capacità di adattarsi ai tempi più diversi, l'elasticità necessaria a catturare l'immaginazione degli uomini di qualsiasi epoca, gli strumenti indispensabili per continuare a essere lo scenario economico del futuro.
La decrescita - sostiene l'autore - non è la crescita negativa. Sarebbe meglio parlare di "acrescita", così come si parla di ateismo. D'altra parte, si tratta proprio dell'abbandono di una fede o di una religione (quella dell'economia, del progresso e dello sviluppo). Se è ormai riconosciuto che il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito, le conseguenze (produrre meno e consumare meno) sono invece ben lungi dall'essere accettate. Ma se non vi sarà un'inversione di rotta, ci attende una catastrofe ecologica e umana. Siamo ancora in tempo per immaginare, serenamente, un sistema basato su un'altra logica: quella di una "società di decrescita".
Il primo gennaio 2007 l'Unione Europea, con l'adesione di Bulgaria e Romania, ha completato il quinto allargamento. Con i suoi 27 stati membri, l'Unione costituisce attualmente la più vasta area integrata del mondo industrializzato, sia dal punto di vista geografico, dall'Atlantico agli Urali, sia in termini di potenzialità economica. A distanza di oltre tre anni dall'avvio di questo processo è oggi possibile tentare un primo bilancio. Il quinto allargamento rappresenta uno dei progetti più ambiziosi mai intrapresi dall'UE ma anche una delle sfide più difficili mai affrontate. L'ampliamento, infatti, ha determinato l'aggravamento di questioni preesistenti e l'emergere di problematiche nuove. L'Unione allargata continua a presentare divari economici che rischiano di determinare il formarsi di subaree a diverso sviluppo, compromettendo alla radice la realizzazione di una piena integrazione. Un'ulteriore sfida che l'Unione europea "allargata" si troverà ad affrontare concerne la gestione dei rapporti con i nuovi "vicini" e le relative questioni di sicurezza. Questo studio contribuisce ad arricchire il dibattito sugli effetti attuali di questo straordinario, quanto difficile, processo di allargamento dell'Unione attraverso una riflessione critica volta a metterne in luce costi e benefici. Per questo è un libro prezioso che aiuta a capire che cosa sta succedendo in Europa oggi e che cosa dobbiamo attenderci nel futuro prossimo.
Questo libro muove da una critica radicale all'ideologia dello sviluppo e della crescita economica e si propone come un accessibile manuale di introduzione al concetto e alla pratica della decrescita. È quindi animato da una chiara intenzione pedagogica che lo rende accessibile e "leggero" pur toccando tutti i campi della conoscenza, tutti gli angoli di visuale del problema: materiali, psicologici, sociali, economici, tecnici, poetici e politici. Queste pagine hanno il pregio di conservare la sostanza di anni di dibattiti e ricerche sul tema della decrescita ordinando l'argomentazione con chiarezza, rigore ed efficacia. Così il libro muove dal perché al come, dallo stato delle cose e delle cause di questo stato fino all'esplorazione di piste concrete per uscirne.
La fase "Pico de' Paperis" o della mitica lampadina che accompagna Archimede Pitagorico pare superata. La ricerca dell'idea creativa resta nelle menti di molti. Ma l'attenzione si è spostata dal "trovare" (dal latino invenire) al dare fruibilità all'invenzione. Dalla creatività alla produttività. Processo innovativo che risulta ben più complesso e articolato di quello che era inteso nell'icona romantica dell'inventore solitario, scombinato e geniale. Leonardo si poteva permettere di essere contemporaneamente inventore e innovatore (e non sempre ci riuscì: si pensi ad alcune sue invenzioni divenute innovazione solo qualche secolo dopo come la tuta da palombaro e l'elicottero); la scienza dell'epoca consentiva la "mulidisciplinarietà individuale". Oggi non più. Creatività del pensiero individuale, imprenditorialità, processi di apprendimento, project e knowledge management sono tutte parti del complesso meccanismo organizzativo che genera e realizza l'innovazione.
I capitalisti affermati hanno paura della competizione, che mina il predominio delle imprese esistenti e le costringe a riguadagnarsi la propria posizione ogni giorno. I mercati finanziari sviluppati spaventano particolarmente, perché favoriscono e alimentano la concorrenza, equiparando i punti di partenza. L'Italia è un esempio da manuale della degenerazione del capitalismo in un sistema di élite, fatto dalle élite, e per le élite. E rappresenta, al tempo stesso, un caso emblematico del ruolo decisivo svolto dal sistema finanziario in questa degenerazione. Non è sorprendente che in Italia tutte le nuove opportunità di investimento, dai telefoni cellulari alle società di servizi pubblici neoprivatizzate, siano sempre sfruttate da pochi privilegiati. Sono gli unici con il denaro e i contatti per farlo. E non sorprende neppure che queste stesse persone si oppongano a uno sviluppo finanziario: andrebbe a intaccare proprio la fonte della loro rendita di posizione.
Un complicato puzzle che per ora gli economisti non sono riusciti a risolvere, ma da cui dipende il benessere di miliardi di persone nel mondo. Che cosa c'è alla base della crescita economica? Discutendo le ricerche più recenti volte a dare una risposta a tale interrogativo - focalizzate su accumulazione del capitale, produttività, commercio, diseguaglianza, geografia, istituzioni Helpman traccia un primo bilancio delle nostre conoscenze in materia. Ci spiega come la crescita derivi da numerose componenti che si combinano diversamente: l'accumulazione di fattori produttivi, come forza lavoro e capitale, il modo in cui vengono utilizzati, i meccanismi che determinano i processi di accumulazione dei fattori e la loro produttività, come il progresso tecnico, le istituzioni che regolano la politica economica e i mercati. Ed è proprio sul terreno delle istituzioni, dei cui effetti su innovazione e crescita poco sappiamo, che vanno cercate le spiegazioni al mistero della crescita economica.