
L'ultima lezione che Raymond Aron tenne al Collège de France il 4 aprile 1978 - qui proposta per la prima volta in italiano - lascia trasparire l'inquietudine civica che è stata la molla del pensiero e dell'azione del filosofo francese. La rappresentazione del liberalismo e della democrazia è dominata dall'idea formale di una "procedura", sia essa quella del mercato o della garanzia dei diritti, valida in sé e in grado di produrre i suoi effetti indipendentemente dalle disposizioni degli associati o dei cittadini. L'azione che può e deve essere valutata secondo le virtù cardinali - più o meno coraggiosa, giusta, prudente - non trova praticamente posto, perché l'unica virtù richiesta è quella di applicare le regole che daranno soddisfazione a interessi e garantiranno tutele. In un contesto sociale che sembra aver fatto una scelta senza riserve per la libertà a scapito della verità, Aron interroga la "crisi morale delle democrazie liberali". L'inquietudine che le tormenta può tradursi nelle condotte più irragionevoli. Segno che esse non possono rassegnarsi all'assenza di un bene comune ampiamente condiviso, pur rinunciando a una comune verità.
Raymond Aron si interroga sul futuro delle democrazie liberali. Egli costruisce il suo ragionamento a partire da un fitto scambio con la filosofia e da uno sguardo imparziale ai fatti che, a suo avviso, hanno mostrato la possibilità di armonizzare gli ideali di libertà e uguaglianza in Occidente.
Nel "Cratilo" Platone getta le basi per l'elaborazione di una nuova concezione del linguaggio che sia compatibile con il dettato della sua ontologia e della sua epistemologia. Nel corso della trattazione il tradizionale tema della correttezza del nome si traduce rapidamente in un'indagine sulla possibilità, sulle modalità e sui limiti della relazione fra il nome e la cosa nominata. La particolarissima fisionomia di quest'opera impone l'adozione di una specifica strategia interpretativa: più che in altri dialoghi, infatti, struttura drammatica e struttura argomentativa si corrispondono nel "Cratilo" in modo assai stretto, talché è dato scorgere nelle successive fasi dello scambio dialogico gli scenari concettuali che lo sviluppo argomentativo via via disegna. Al fine di ricostruire la ratio dell'articolazione dell'opera e di decodificare il significato delle sue diverse parti nel quadro dell'argomentazione filosofica, l'analisi muove dall'ultima sezione del dialogo, ove si incontrano le formulazioni teoriche più significative e più trasparenti nelle loro implicazioni, per risalire all'ampia e cruciale sezione etimologica, e approdare all'iniziale impostazione del dibattito.
"'South Park e la filosofia!' raccoglie diciannove brevi saggi filosofico, rigorosi e divertenti, che guardano al nostro presente attraverso gli occhi sovversivi, blasfemi, e al tempo stesso geniali, dei personaggi di uno dei programmi televisivi più di successo e più censurati del nostro tempo."
René Girard ha senz'altro il merito, in un'era segnata dal nichilismo, di aver riportato il dibattito sociologico e filosofico sul terreno, concreto, della realtà. Una realtà che rimane pur sempre aperta e suscettibile di interpretazioni, mai risolta nella sua essenza ma che, tuttavia, non è priva di fatti. Quella indicata dal pensatore francese sembra, dunque, rappresentare una terza via; distante e dalle posizioni di certa ermeneutica filosofica di matrice nietzschiana e heideggeriana, persa nelle ambagi della deriva delle interpretazioni, e dalle rigide posizioni dei positivisti, ancora convinti che esistano soltanto i fatti. In realtà, come afferma Girard, "esistono sia i fatti sia le interpretazioni". Il realismo girardiano ci riconduce all'immanenza della realtà, alla luce "dell'ateismo pratico" dei Vangeli, con un vigoroso richiamo all'etica e con uno sguardo illuminante sulla società contemporanea, le sue crisi e le sue derive di senso. Questo studio oltre ad offrire al lettore una sintesi efficace delle teorie di Girard mette in evidenza, non senza ambizione, alcune sue possibili aporie, in dialogo con alcuni dei massimi studiosi contemporanei di scienze sociali e con uno sguardo privilegiato al pensiero complesso di Edgar Morin.
Abbiamo bisogno di un femminismo che dia la priorità alle vite delle persone. Davvero la massima realizzazione per le donne è quella di arrivare a occupare posti di potere nelle gerarchie delle grandi aziende capitaliste? È quel che ci dice il femminismo liberale, che aspira a rompere il soffitto di cristallo, mentre non si preoccupa affatto delle esigenze della stragrande maggioranza delle donne. Esigenze come la lotta contro lo sfruttamento sul lavoro e i diritti sindacali; il riconoscimento della loro fondamentale funzione di cura dei figli, caricata sulle donne in favore della massimizzazione dei profitti; il diritto alla salute e a un ambiente non inquinato; la lotta contro ogni forma di razzismo e guerra. Oggi che il sistema di valori liberisti è in crisi e stiamo vivendo una nuova ondata femminista internazionale, abbiamo lo spazio per creare un altro femminismo: anticapitalista, antirazzista ed ecosocialista. Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser sono state tra le principali organizzatrici dello sciopero internazionale delle donne negli Stati Uniti.
La Rete sta cambiando il nostro cervello e la nostra mente: ci stiamo impoverendo nell'ineluttabile passaggio dall'homo analogicus all'Homo digitalis... O almeno questo è quanto vogliono farci credere alcuni guru autonominati. Gli autori non sono affatto d'accordo. I nostri principi comunicativi e cognitivi restano gli stessi. Nel mondo dell'always on quello che vogliamo è comunicare con chi ha i nostri stessi interessi. Conoscere è potere: ma per poter conoscere occorre prima imparare a trovare le cose davvero importanti. Questo libro offre gli strumenti per capire come sfuggire ai cacciatori di attenzione che sono i predatori dell'era tecnologica.
La categoria "esistenza", nelle sue molteplici derivazioni, ha un ruolo importante nel pensiero antropologico e teologico di Guardini. Nel volume, frutto dell'omonimo Convegno promosso dalla Facoltà di Filosofia dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, filosofi e teologi di fama internazionale si misurano con la domanda circa il senso e la profondità dell'interpretazione esistenziale offerta da Guardini. Quest'ultima è importante perché tuttora esiste una grande disparità di opinioni circa il senso dell'esistenza umana: ovvero, che cosa sia, come la si debba definire o interpretare, quali le conseguenze per l'umano. Guardini, teologo e filosofo, è noto per aver trovato l'equilibrio in ogni ambito anche grazie alla sua sensibilità e alla metodologia da lui sviluppata per comprendere le realtà vitali. Al centro della sua attenzione non vi è tanto "l'esistenza" come fenomeno generico, bensì "l'esistente", che assume la sua più concreta espressione nell"'io".
Il problema dell'unità del sapere è stato sempre fortemente sentito nella nostra cultura scientifica che risale al progetto greco di sviluppo sistematico della razionalità. La scienza di per sé tende a ciò che è specifico, ma anche all'unità. Nonostante la crescente specializzazione e il pluralismo degli approcci epistemologici tipici dell'epoca contemporanea, il problema menzionato continua ad essere fondamentale, anzi è più che mai urgente e importante. Il lavoro di Valeria Ascheri entra perfettamente in questo quadro epistemologico. Il volume che il lettore ha in mano apre molti spazi di riflessione per avvicinarsi a questo ideale il che significa in definitiva la migliore comprensione di ciò che è la scienza in se stessa. L'unità del sapere è un progetto da perseguire, scrive l'autrice alla fine del libro. I lettori troveranno in queste pagine un contributo rilevante e uno stimolo efficace per perseguire questo compito.
La leggendaria figura di Niccolò Machiavelli, - pensatore, teorico, interprete profondo e appassionato degli avvenimenti politici e statuali del suo tempo, - viene in questo libro ricollocata nella sua dimensione più umana e nel moltiplicarsi senza fine delle sue vocazioni. Ne esce un personaggio a tutto tondo, in cui corpo e cervello, intelligenza e passioni, invece di muoversi su binari paralleli e non comunicanti, convergono e continuamente si fondono fra loro. Il fascino di una ricostruzione condotta con questi criteri consente di cogliere meglio, e con maggiore concretezza, anche lo svolgimento processuale di un momento importante, anzi decisivo, della storia italiana, quello che Asor Rosa definisce la «grande catastrofe»: quando, in un breve volgere di anni (1492-1530), si sarebbero determinati e forgiati i destini della Nazione fino ai nostri giorni. «Il pensiero non è spirito, è materia, al pari del corpo: ed esattamente come il corpo funziona e agisce... Non esiste nella storia operazione più esemplare di quella che Niccolò Machiavelli ha perseguito e realizzato nel senso che ho cercato testé di descrivere. Non esiste: per questo siamo così pieni di ammirazione e d'invidia. Invece di separare e magari di contrapporre le due cose, le ha fuse. Di conseguenza: quando si giudica il suo pensiero, si chiama in causa il suo corpo. Quando si chiama in causa il suo corpo, la sua materialità, - anche quella apparentemente più episodica e transeunte, - se ne ricava l'impressione e la persuasione di un poderoso organismo pensante, che abbraccia tutto senza sforzo (senza sforzo? Sí, è questa l'impressione che se ne ricava) e diventa una cosa sola con il testo o l'episodio storico che sta narrando e descrivendo. Frutto anche questo, oltre che del genio machiavelliano, di quel complesso di ragioni e di forze, che siamo soliti considerare tipiche del cosiddetto grande "Rinascimento italiano"? Sì, non c'è dubbio: ma questo non fa che aumentare l'impressione di globalità che l'esperimento machiavelliano esprime e contiene».
Esistono limiti e limiti. Alcuni appaiono ai nostri occhi come totalmente convenzionali. Si pensi, ad esempio, ai confini delle nazioni, modificati più e più volte a seconda del momento storico. Oppure al limite di un campo da calcio: deve essere per forza di 110 metri? Altri confini sembrano invece essere naturali e oggettivi. I limiti di una montagna, ad esempio, non paiono poter essere spostati a nostro piacimento. Di fronte a questo dilemma fra limiti naturali e convenzionali la tradizione si è sempre divisa in due fronti: chi ha sostenuto l’una, chi l’altra ipotesi. Il presente lavoro tenta, invece, di percorrere una via mediana che tenga conto di entrambi gli aspetti, interpretando il limite come una dialettica, in cui devono trovare soddisfazione punti di vista apparentemente opposti.
La preoccupazione tardiva per ciò che Hannah Arendt ha chiamato le attività della vita della mente, relative all'azione, all'etica e alla politica, prende forma consistente dopo il processo a Adolf Eichmann. Se la questione centrale in "Vita activa" è quella di pensare "ciò che stiamo facendo" e attestare la preoccupazione che attraversa tutta la sua opera (la definizione dell'azione politica comune), già ne "La vita della mente" l'autrice ci sfida a una fenomenologizzazione della vita contemplativa, il cui punto di vista privilegiato è la visibilità delle azioni e del linguaggio. Il punto cruciale per una praxis etica della visibilità è come il soggetto si singolarizza nella comunità politica, un'etica della responsabilità personale. Ci chiama a una costante "resa dei conti", verso noi stessi, verso gli altri e verso il mondo. Questa etica della visibilità apre la possibilità di riproblematizzare il pathos tra il self e il mondo comune, tra coscienza e esperienza - i pilastri che ispirano una nuova simbologia etica nella politica.