Scrive Hegel: "Niente vien saputo che non sia nell'esperienza". Come si concilia questa affermazione con il sistema idealistico hegeliano? Mario Dal Pra si propone qui di dare risposta a tale interrogativo esaminando le opere di Hegel e ponendole in dialogo con quelle di Hume, Kant e Marx. Anticipando, con finezza e rigore, un tema di studio sorto nella filosofia angloamericana degli ultimi anni, a opera di John McDowell, Robert Pippin, Robert Brandom, Dal Pra pone inoltre a confronto l'idealismo hegeliano con il neoempirismo novecentesco, con particolare interesse a John Niemeyer Findlay e alla sua interpretazione di Hegel, inteso come un possibile "empirista critico-metafisico". Per Dal Pra, Hegel si muove sempre tra due posizioni contrapposte: da un lato vuol mostrare la costituzione dialettica dell'esperienza, dall'altro ne dà una giustificazione metafisica totalizzante; ammette il dato di fatto e lo "uccide"'' speculativamente. Si può allora concedere alla dialettica una funzione euristica che, depurata della sua natura metafisica, conosca la relazionalità della realtà, ma Hegel sembra così, paradossalmente, ammettere la finitezza della ragione umana. Per Dal Pra Hegel potrebbe essere, suo malgrado, un "realista".
In una società che vive di apparenza e spettacolarità, la discrezione è una necessaria forma di resistenza. Spegnere i riflettori, abbassare il volume, godere dell'anonimato sono gesti politici prima che morali. La discrezione è un'arte, un atto volontario, una consapevole scelta di vita in un mondo che ci vorrebbe sempre connessi, protagonisti, inesorabilmente presenti, e in cui s'impone l'urgenza di una tregua, di staccare e sparire. Come quando, in un paese straniero, assaporiamo la massima libertà di non essere riconosciuti, la discrezione è arte della scomparsa: non nascondere nulla fino a non avere più nulla da mostrare, fino a rendere la propria presenza impercettibile. È arte della sottrazione, non per negare ma per affermare se stessi, e al contempo far scomparire quello che ci definisce. È aprirsi al mondo senza toccarlo, è gioia di "lasciar essere" le cose. È ancora possibile oggi, tra selfie e YouTube, essere discreti? Secondo Pierre Zaoui la risposta è sì: anzi, la discrezione è la nuova faccia della modernità, frutto delle libertà offerte dalle nostre società democratiche. Nel suo saggio, Zaoui convoca i grandi pensatori della discrezione, da Kafka a Blanchot a Deleuze, passando per Virginia Woolf e Walter Benjamin, per delineare i tratti di questa esperienza "rara, ambigua e infinitamente preziosa".
In questo libro Harvey offre una panoramica della crisi della modernità vista attraverso l'analisi degli anni Ottanta, del "rampantismo" diffuso. È una indagine serrata, che accosta e attraversa il dibattito culturale, la mutata esperienza dello spazio e del tempo, l'arte e l'architettura postmoderna, le trasformazioni del modello fordista, l'internalizzazione delle attività finanziarie e la nuova stratificazione sociale.
Il "Manualetto di filosofia contemplativa" di Ran Lahav, che viene qui pubblicato per la prima volta in italiano a cura di Silvia Peronaci, è il copione originario di un intenso laboratorio di vita filosofica tenutosi nel 2005 in Spagna, dove l'autore organizzò, come si legge nella Premessa alla presente edizione, il Primo Ritiro Internazionale di filosofia contemplativa. Se meditare in occidente è pratica ormai sfruttata per tenere in corsa quei clienti che la modernità mette a dura prova, prevenire lo stress stando alla finestra sembra però una proposta troppo comoda. Contemplare, tradizionalmente, rimanda all'idea dello spettatore disinteressato. Nella filosofia contemplativa di Ran Lahav, invece, volta a elevare il senso della nostra esistenza ordinaria, significa l'esatto contrario. Questo Manualetto, quasi un biglietto con le istruzioni scritte a penna per la casa che l'amico ci ha prestato, contiene quelle rare chiavi levigate che aprono bene. Pochi istanti e capiamo, con gradita meraviglia, che l'interno silenzioso dove siamo entrati non è una casa altrui ma il luogo da sempre ricercato, quello di cui siamo protagonisti indiscussi - la nostra stessa vita.
Questo compendio di storia della filosofia intende presentare, in modo ovviamente sintetico ma cardinale, cioè secondo una struttura teoretica di fondo, sia il pensiero dei singoli autori, sia l'intero percorso storico del pensiero filosofico. Esso si presenta come lo strumento per l'inquadramento essenziale della riflessione di ogni pensatore e delle connessioni teoretiche che attraversano le diverse riflessioni. Il suo fine è quello di aiutare lo studente a possedere una visione sinottica del filosofare nella storia e di accompagnarlo nel lavoro di memorizzazione.
Questo libro vuol essere la risposta che Blaise Pascal (1623-1662) ha dato a quella che egli considerò la domanda più naturale e universale dell'uomo: come posso essere felice? Questa tematica potrebbe contrastare, a prima vista, con il luogo comune della "cupezza" di Pascal. In effetti, spesso i Pensieri - la sua opera più nota - mettono in primo piano immagini di miseria, di malvagità, di angoscia e vuoto interiore. Tuttavia, leggendo il Memoriale di Pascal, un breve scritto dal quale egli non si separava mai (lo teneva cucito all'interno della giacca) e che è una testimonianza di gioia e di dignità dell'uomo, l'autore è stato indotto a riconsiderare i Pensieri in un'ottica diversa: "Oltre le tristi figure in primo piano ho notato uno sfondo di luce. Un orizzonte di felicità piena che supera, senza annullarli, i simboli di sofferenza, miseria e morte." Questo volume parte quindi dalla convinzione che la denuncia del male esistente e dei limiti dell'uomo rappresenti in Pascal solo una fase preparatoria, in funzione della felicità. Di qui l'idea di esporre alcuni Pensieri di Pascal come un percorso a tappe verso la felicità.
Se consideriamo la storia della filosofia del Novecento ci accorgiamo che i maggiori pensatori sono per lo più di origine ebraica. In molti casi, anche in conseguenza delle persecuzioni e della Shoah, questa radice ha inciso fortemente sul loro modo di fare filosofia. Questo libro prende in esame gli autori in cui un tale intreccio di filosofia ed ebraismo si sviluppa nella maniera più evidente e approfondisce alcuni nodi teorici che il pensiero ebraico ha affrontato nel Novecento.
Questo libro raccoglie una serie di testi, in gran parte tradotti qui per la prima volta, dello storico della filosofia e filosofo Pierre Hadot. Scelti e raggruppati in cinque sezioni da Hadot stesso, questi testi offrono una visione d'insieme del lavoro dello storico francese, permettendo di coglierne i principali snodi tematici e metodologici. Da quelli più filologici, che indagano importanti concetti come quelli di pragma o di physis, a quelli storici, che mettono in luce i modi di procedere del pensiero antico, fino a quelli esplicitamente filosofici, che propongono nuove modalità interpretative della filosofia greca, ellenistica e romana, intesa come pratica e maniera di vivere, i testi si basano tutti su quella che era stata una delle maggiori preoccupazioni di Hadot: interpretare il mondo antico, le sue pratiche e il suo pensiero a partire dal contesto storico originale che li ha generati, senza però mai dimenticare le possibili connessioni tra la riflessione antica e i problemi e le questioni che segnano anche la nostra attualità.
Karl Polanyi è un riferimento fondamentale per comprendere la storia e i problemi attuali della nostra società. Gli scritti qui raccolti chiariscono aspetti del suo pensiero che le opere maggiori, anzitutto "La grande trasformazione", presuppongono soltanto. Si va dall'analisi della crisi epocale, che la Prima guerra mondiale rese manifesta, ai commenti sul fascismo, sulla politica internazionale, sull'Unione Sovietica, fino agli scritti sull'istruzione per adulti, attività a cui Polanyi si dedicò nella convinzione che un'opinione pubblica informata e autonoma sia un fattore essenziale della democrazia. Anche la filosofia politica ha un particolare rilievo, con materiali degli anni Venti e Trenta selezionati dai curatori presso il "Karl Polanyi Archive" di Montreal. Tali scritti rivelano una concezione della natura sociale dell'uomo e della sua libertà, elaborata mediante il confronto critico con il pensiero di Karl Marx e con l'ideale cristiano della persona e della comunità. La sopravvivenza stessa del genere umano esige, secondo Polanyi, la capacità di rinnovare le istituzioni economiche e sociali grazie a una diffusa, consapevole e responsabile partecipazione democratica.
Stasis è il nome della guerra civile nella Grecia antica. Un concetto così inquietante o impresentabile per la filosofia politica posteriore da non essere fatto oggetto sinora di una dottrina adeguata, neppure da parte dei teorici della rivoluzione. Eppure, sostiene Giorgio Agamben fornendo qui i primi elementi di una necessaria "stasiologia", la guerra civile costituisce la fondamentale soglia di politicizzazione dell'Occidente, un dispositivo che nel corso della storia ha permesso alternativamente di depoliticizzare la cittadinanza e mobilitare l'impolitico, e che vediamo oggi precipitare nella figura del terrore su scala planetaria. Al suo paradigma concorrono insieme due poli antitetici dei quali Agamben mette allo scoperto la segreta solidarietà, quello classico secondo cui la guerra civile è coessenziale alla polis, al punto che chi non vi prende parte è privato dei diritti politici, e quello moderno rappresentato dal Leviathan di Hobbes, che ne decreta l'interdizione, ma introduce una scissione - e con questa la possibilità della guerra civile - all'interno stesso del concetto di popolo.
Trattato di etica filosofica per le facoltà di filosofia. Il testo, con linguaggio piano, introduce lo studente di filosofia, che affronta riflessivamente per la prima volta la problematica etica, dentro tematiche obbiettivamente assai difficili.