
Forse non è un caso, vista la profonda distanza che lo separa da Galileo nella visione della matematica, se questi scritti di Bruno, dopo essere stati accolti nella prima edizione delle Opere latine (1879-1891), non sono più stati pubblicati. Gli stessi curatori si dicevano persuasi che proponessero relitti del passato, superstizioni di un uomo appartenente al «mondo dei maghi» ed estraneo alla «rivoluzione scientifica» - giudizio condizionato dall'interpretazione del Rinascimento diffusasi a partire dall'Illuminismo. Questa nuova edizione, giunta ormai al sesto volume, si contrappone radicalmente a tale interpretazione, e assume piuttosto come guida i lavori di studiosi quali Burdach, Warburg, Garin, Yates, che tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del secolo scorso hanno proposto del Rinascimento una lettura alternativa. I testi qui radunati, in particolare, rivelano quanto la matematica bruniana sia influenzata da elementi di carattere neoplatonico e legata al contempo a una concezione della realtà decisamente moderna: basti pensare al «minimo», nel quale viene individuata la struttura fondamentale della materia, e alla materia stessa indagata alla luce del concetto di «vita materia infinita». Come dimostra il ciclo dedicato a Fabrizio Mordente e alla scoperta del compasso - degno delle più belle pagine di Bruno -, inoltre, a contraddistinguere le Opere matematiche non è solo l'originalità filosofica, ma anche e soprattutto lo straordinario valore letterario.
È probabile che sappiate qualcosa sugli anarchici e su quello che, si suppone, essi credano. Eppure quasi tutto ciò che avete sentito al riguardo è falso. Molti, per esempio, sembrano pensare che gli anarchici siano sostenitori della violenza, del caos e della distruzione contro ogni forma di ordine e di organizzazione. In realtà, niente potrebbe essere più lontano dal vero. L'anarchia non è caratterizzata dall'assenza di ordine e di morale, ma si basa sulla capacità di trovare l'ordine e la morale secondo i propri principi intellettuali che, se ben coltivati, conducono anche a una dimensione intersoggettiva di giustizia. A partire almeno dal G8 di Genova, abbiamo smarrito ogni potenziale sovversivo del pensiero, sostiene l'autore: "Gli ultimi anni hanno rivelato tutti i limiti dei sistemi di governance attuali, ma anche delle strutture intellettuali e filosofiche che dovevano farne da apparato critico". Non è vero però che non c'è più niente da fare: l'anarchia filosofica e le sue applicazioni alla vita concreta sono un'arma potentissima per difendersi da un modo sempre più atroce di interpretare la vita umana.
Tutti sappiamo che le origini della nostra cultura stanno là, in quella penisola assolata e spazzata dai venti, e nella miriade di isole che popolano il mare viola dell'Egeo. In quelle terre cominciarono a essere usate le parole più antiche di cui si abbia memoria, e alcune di queste continuano dopo più di tremila anni a essere pronunciate. La storia delle parole è anche la storia dei concetti che esprimono e che si misurano col tempo. Giulio Guidorizzi ne ha scelte trenta che fanno da guida alla genesi di alcune idee fondamentali anche per noi. Da "anima" a "sapienza", da "legge" a "giustizia", da "amore" a "amicizia", l'indagine investe la politica e l'arte, il diritto, le forze morali e i sentimenti. Ogni voce di questo lessico, vero vocabolario di antropologia della cultura, esprime un modo di concepire la realtà delle nostre origini e fa rivivere lo straordinario mondo dei Greci esplorando alcuni concetti tuttora attualissimi nella nostra civiltà.
Daniel C. Dennett, filosofo e scienziato cognitivo tra i più influenti del nostro tempo, ha dedicato la sua vita allo studio dei misteri della nostra mente. Esiste il libero arbitrio? Cos'è la coscienza, come nasce? Cosa distingue la mente umana dalla mente degli animali? Le sue risposte hanno orientato in modo significativo il dibattito filosofico degli ultimi decenni. La sua incessante curiosità l'ha portato da Beirut, dove ha trascorso l'infanzia, alle aule di Harvard, dai Jazz club di Parigi ai laboratori di tutto il mondo. Questo libro esplora i grandi temi della filosofia contemporanea - il linguaggio, l'evoluzione, la logica, la religione, l'intelligenza artificiale - rivelando intuizioni ed errori dell'autore e dei suoi interlocutori: Douglas Hofstadter, Willard Van Orman Quine, Thomas Nagel, John Searle e Stephen Jay Gould sono solo alcuni dei grandi pensatori che l'autore ha incrociato sulla sua strada. Pensare, scrive Dennett, è difficile, ed è rischioso. Qualunque forma di ragionamento filosofico porta inevitabilmente con sé una discreta dose di frustrazione e insicurezze. Ma è solo sbagliando che, molto raramente, troviamo una via verso la verità.
In un presente dominato da terribili conflitti, disastri ambientali e inquietudini diffuse, guardare al futuro con ottimismo sembra un'impresa sempre più ardua: ripiegandosi su se stesso, l'uomo sta a poco a poco perdendo la speranza in un domani migliore. Viene dunque da chiedersi: «Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa mi è lecito sperare?». Cercando di rispondere a queste tre fondamentali domande, formulate per la prima volta dal filosofo Immanuel Kant, Vito Mancuso ci guida alla ricerca del significato più profondo e autentico della nostra vita. Togliendo alla ragione ogni pretesa di possedere un sapere su Dio e sull'avvenire, "Destinazione speranza" rifonda il senso della nostra esistenza su un presupposto inedito e dirompente: la libertà di obbedire. Se saremo in grado di essere noi stessi in relazione con gli altri, di resistere all'egoismo favorendo la solidarietà, di ridare valore alla dimensione morale al fine di agire con responsabilità, allora non tutto sarà perduto: solo così, infatti, potremo definirci donne e uomini davvero liberi e guardare con speranza, ragionevole e fondata, al futuro che ci attende.
Prometeo, ??o??????, in greco antico colui che vede prima, è il Titano che ruba il fuoco agli dèi e lo dona all'uomo. Il fuoco della ragione, del calcolo, del linguaggio. L'uomo riceve in dono la techne, la tecnica, che lo aiuterà a sopravvivere nell'ostile e selvaggio mondo primordiale. Il libro racconta, attraverso immagini raccolte in tanti anni di viaggi per il mondo, riflessioni personali e di pensatori di ogni tempo e luogo, la storia di questo dono che nel tempo diventerà da prezioso aiuto a oscura minaccia per l'umanità e il pianeta. E racconta quindi il declino della civiltà occidentale, oramai civiltà globale, in tutte le sue espressioni; dalla filosofia alle religioni, dalla scienza all'arte, alla cultura in genere. Hanno fallito nel loro intento di essere guida pratica e morale per un essere umano lasciato in balìa di ogni genere di condizionamento esterno, e sempre più meccanizzato nel pensiero e nelle azioni. Ma racconta anche chi sta dicendo No a una vita totalmente asservita agli apparati di potere di questa civiltà villaggio e mercato globale. E come ognuno a modo proprio stia cercando di favorire un nuovo pensiero, una nuova etica, una nuova conoscenza e in definitiva una nuova visione della vita. Il libro è un invito alla riflessione, a riappropriarsi del proprio autentico pensiero critico e con coraggio mettere in discussione tutti quei paradigmi ideologici che stanno portando al progressivo annichilimento dell'essere umano e del meraviglioso pianeta che lo ospita.
L'Occidente affronta l'Estraneo in modo spesso aggressivo, violento: la tendenza a escluderlo o ad assorbirlo preclude così qualsiasi apertura, qualsiasi affabilità nei confronti dell'Altro, e qualsiasi possibilità di un'evoluzione intesa come divenire altro da sé. Ciò dipende, secondo Byung-Chul Han, dallo schema dicotomico alla base della visione occidentale del mondo, dal costante bisogno di individuare un soggetto contrapposto a un oggetto, e dalla centralità di concetti quali essenza, sostanza, verità, stabilità. Incontriamo questo modello nelle teorie dei grandi pensatori europei - da Parmenide e Platone fino a Leibniz, Hegel, Nietzsche e Heidegger -, ma anche nel linguaggio, nella letteratura, nelle arti e in ogni aspetto della quotidianità. Le filosofie, le pratiche e le consuetudini diffuse in Asia orientale appaiono mosse da un'istanza profondamente diversa: al posto dell'essere, troviamo semplicemente una via; e l'assenza, il vuoto, sostituisce l'essenza. Fiorisce una cultura dell'immanenza, tesa all'apertura piuttosto che alla chiusura, all'indifferenza anziché all'analisi, all'accettazione dell'è-così e non all'agire funzionale. Il saggio in Estremo Oriente si accorda al qui e ora, si immerge nell'armonia del Tutto, nella realtà intesa come un flusso. In questo libro Han arriva al fondo segreto di quella società occidentale contemporanea che costituisce il bersaglio principale della sua critica.
Il filosofo Augusto Del Noce (1910-1989) va considerato come uno dei principali intellettuali della seconda metà del Novecento italiano. Straordinaria la sua capacità di riuscire a porre interrogativi radicali che investono, ancora oggi, il presente e il futuro della nostra esistenza individuale e collettiva. Questa monografia ricostruisce gli assi dell'ispirazione costante del suo itinerario nonché il sottinteso impianto metodologico. Sgombrando il campo da tutti gli stereotipi che sinora hanno impedito una conoscenza integrale della sua prospettiva, emerge un percorso originale lungo il quale la filosofia si contamina con la storia e la politica mentre il filosofo esce consapevolmente dal circolo accademico per misurarsi con le forze in campo nell'accadere degli eventi. La grandezza di Del Noce e la sua provocatoria "inattualità" rilanciano il filosofare sino a quelle vette che, da Descartes a Vico, da Marx a Nietzsche e, infine, da Renouvier a Heidegger e Gentile, discendono per quei versanti che il pensatore seppe intercettare e sviluppare nella sua interpretazione transpolitica della storia contemporanea. In appendice un testo inedito di Del Noce del 1961, in cui il filosofo torinese riesce a riassumere in una sintesi unitaria le direttrici della sua ricerca.
Scritta per un concorso indetto dall'Accademia danese delle scienze e pubblicata per la prima volta nel 1841, l'opera "Il fondamento della morale" può essere considerata come un'introduzione all'etica e alla metafisica schopenhaueriana. Situata tra le due grandi opere filosofiche di Schopenhauer, "Il mondo come volontà e rappresentazione" (1819) e "Parerga e Paralipomena" (1851), essa propone un'etica descrittiva e non prescrittiva, che all'imperativo categorico di Kant sostituisce il sentimento della compassione. Scopo della presente edizione è di riproporre, in una nuova traduzione, quest'opera di Schopenhauer, nella quale l'autore, a partire dalla critica della morale kantiana, perviene a una nuova fondazione dell'etica che trova il proprio fondamento ultimo nella metafisica.
Le domande e gli aneliti di un giovane che si affaccia sul misterioso e affascinante viaggio dell'esistenza. Una peregrinazione possibile se si volge lo sguardo verso il cielo, prima che verso sé stessi. La preziosità della vita viene riconosciuta nella sua inevitabile scadenza e nella sua imperdibile opportunità di conoscersi e di riconoscersi come parte di qualcosa di più grande. L'uomo senza una vita interiore non può entrare nella spiritualità di una relazione con l'infinito. Tuttavia, proprio il fatto di non riuscire a cogliere l'ineffabile crea un titubanza che ci fa tendere e che ci avvicina a Lui.
Per Luciano Floridi l'informazione è un concetto cruciale, che merita un'indagine approfondita. Questo libro, frutto di lunghi anni di studio, presenta dunque il primo programma di ricerca unitario e coerente per quello che era un campo ancora inesplorato: la filosofia dell'informazione. Il libro spiega che cos'è la filosofia dell'informazione, esplora la natura complessa di vari concetti e fenomeni informativi e dà risposta ad alcune delle classiche domande filosofiche in termini di teoria dell'informazione. Una filosofia che sa dialogare con il mondo contemporaneo, una nuova e indipendente area di ricerca.
«Ancora oggi, ad un'età nella quale chi cerca qualcosa dovrebbe averla trovata, l'idea di aver finito di apprendere e cercare, suona per me come una dichiarazione di resa, di vecchiaia e di morte. Ecco la parola: il pensiero di aver trovato, di poter sostare per godersi seduti il bottino della ricerca mi ricorda la morte. Cercare è sentirsi vivi, avere ancora qualcosa di importante da fare, un provare a differire la morte con la scusa che c'è tanto da fare e non si sa quando si finirà». È questa postura che ha caratterizzato tutto il pensiero di Franco Cassano e che gli ha permesso di scrivere dei libri indimenticabili. La sua è stata una ricerca senza fine, un modo di pensare giunto a maturazione nella seconda metà degli anni settanta, quando inizia a logorarsi la storia collettiva, quando inizia a scucirsi il rapporto con la politica. In momenti così, anche una differenza personale può diventare una differenza epistemologica. «Non ho mai pensato di aver conquistato la verità, ho solo cercato di avere un rapporto onesto con il problema che essa pone». È questa consapevolezza che innerva ogni pagina di questo libro e che rende le riflessioni di Franco Cassano un'inestinguibile fonte di conoscenza e bellezza.