La Grecia ha passato all'Europa l'idea di razionalità come discussione critica -e di conseguenza, per dirla con P.S. Shelley "noi tutti siamo Greci". Ma non fu la Grecia a passare all'Europa i suoi dei. Il Dio delle popolazioni europee è il Dio della Bibbia e del Vangelo, è il Dio che relativizza il potere politico e, insieme, desacralizza, "mortifica" la natura rendendola disponibile - non essendo più sacra e quindi intoccabile - alla manipolazione e all'indagine scientifica in una misura prima impensabile. La laicità dello Stato, laico perché non più assoluto; e la secolarizzazione, con una natura non più sacra e una Terra abitata da uomini fallibili: sono due realtà strettamente connesse al messaggio della Bibbia e del Vangelo. Per questo non si può dare torto a Th. S. Eliot quando afferma che "se il Cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura. E allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie".
Succede, in circostanze fortunate, che una tensione positiva della società, l'affacciarsi di nuove tecnologie, la voglia di un mondo migliore e l'entusiasmo della gioventù diventino ingredienti per generare magie. È esattamente ciò che accade nel 1977 con George Lucas e il suo Star Wars, l'opera che inizia la saga destinata a cambiare la storia del cinema. Qual è il segreto del suo successo planetario? Perché Lucas crea Luke Skywalkerl Cos'è l'Expanded Universe? Come si realizza la spada laser? Cosa c'entrano i disegni animati con Star Wars? Quando nascono la computer animation e gli attori digitali? Per rispondere a queste e a tante altre domande Giorgio E. S. Ghisolfi analizza il complesso universo di Star Wars - costituito originalmente dall'esalogia e dall'Expanded Universe - e l'eclettica figura di George Lucas nei loro stretti legami con la società e la cultura del Novecento, con il cinema d'animazione, gli effetti speciali, l'arte e i significati simbolici. L'Epoca Lucas individua un momento fondamentale nella storia del cinema: quello che vede nell'incontro fra mitologia e informatica l'esordio del cinema postmoderno e del cinema digitale. Numerose immagini, una cronologia generale comparata, un esauriente glossario tecnico cinematografico e un'appendice sui primi due film prodotti sotto la gestione Disney completano il volume.
Nella teoria e nella filosofia dell'arte si tende a sottolineare la differenza fra l'arte e le altre pratiche umane. In questo modo, si può perdere il senso profondo della pluralità delle arti e sottovalutare la portata dell'arte nell'ambito della forma di vita umana. Nella prospettiva teorica elaborata da Bertram, al contrario, l'arte si colloca in continuità con le altre pratiche umane, perché solo in riferimento a esse può acquisire la propria specifica potenzialità. Seguendo Bertram, saremo in grado di riconoscere in queste pagine una nuova impostazione nella definizione dell'arte: si tratta di comprendere la particolarità dell'arte nel contesto della prassi umana, ovvero di cogliere la natura essenziale del contributo che essa reca a questa prassi. L'arte, argomenta Bertram, non è semplicemente una pratica specifica, ma una forma specifica di prassi riflessiva, in quanto tale assai produttiva nell'ambito del rapporto dell'essere umano con il mondo. In ultima analisi, l'arte è una prassi di libertà.
Chi fu Walter Benjamin? A questa domanda poteva forse dare risposta solo Hannah Arendt. Lo aveva conosciuto e frequentato a Parigi, negli anni d'esilio dalla Germania nazionalsocialista, prima che ponesse fine alla sua vita in Spagna nella fuga verso gli Stati Uniti, diventando un simbolo del tragico destino dell'ebraismo tedesco nel Novecento. Quando pubblicò un celebre saggio sull'amico nel 1968 - qui per la prima volta tradotto dalla versione originale tedesca - molte pagine erano dedicate alla biografia non già per ricercare motivi all'origine del suo pensiero, bensì per risalire alle cause della sua fama postuma. Scritti su letteratura ed estetica venivano riletti alla luce della critica politica, scoprendo intenti maturati dal confronto col marxismo dietro agli aspetti filosofici e religiosi rilevati fino ad allora dagli interpreti. Un'accusa che all'epoca si trasformò in polemica sullo sfondo dell'antagonismo tra capitalismo e comunismo, che richiedeva nuove soluzioni al problema della libertà dell'uomo d'imprimere un senso alla sua storia di catastrofi e non di progresso tra politica e teologia. Quel saggio dal lapidario titolo "Walter Benjamin" contribuì come nessun altro alla fortuna di un pensiero che accoglieva impulsi dalla metafisica per affrontare questioni della politica, come abbozzato nella serie di tesi "Sul concetto di storia", tradotte qui dal manoscritto originale affidato all'amica e presto riconosciute come suo testamento spirituale. Oltre alle loro lettere (1936-1940) sono raccolti in questo volume anche i principali documenti sulle discussioni che si accompagnarono alla riscoperta di un autore che continua a rivelarsi nella sua inattualità perché guardò oltre ogni attualità.
"Non c'è dubbio che, lanciandosi nella stesura di questo testo significativamente intitolato In presenza di Schopenhauer, Michel Houellebecq abbia voluto condividere con i propri lettori questo incontro per lui così decisivo. La forza della rivelazione suscitata in lui da quella lettura, infatti, è innegabilmente legata allo shock procurato dal riconoscere un alter ego con il quale si capisce subito che sta per instaurarsi un'intesa duratura. Schopenhauer l'esperto di sofferenza, il pessimista radicale, il solitario misantropo, si rivela una lettura "confortante" per Houellebecq - in due ci si sente meno soli. Tanto da indurci a chiedere: Houellebecq era schopenhaueriano prima di leggere Schopenhauer, o è stata questa lettura a renderlo quello che conosciamo? Era già, fondamentalmente, "non riconciliato" (con il mondo, con gli uomini, con la vita) o Schopenhauer ha seminato i germi del conflitto? Houellebecq amava già i cani più del genere umano, o bisogna riconoscere, qui come altrove, l'influenza di Arthur?" (Dalla prefazione di Agathe Novak-Lechevalier)
Francesco Cattani da Diacceto (1466-1522) fu considerato dai contemporanei come il maggiore platonico del suo tempo e il legittimo successore di Marsilio Ficino. Il libro intende ripercorrerne l'intera riflessione filosofica ? dalla metafisica alla dottrina dell'amore, dalla cosmologia all'antropologia ?, attraverso un confronto costante con le fonti antiche e coeve (soprattutto Ficino e Giovanni Pico della Mirandola), delineando il profilo del platonismo fiorentino nei primi decenni del Cinquecento.
Sminare il terrorismo, decostruirne la storia, è il percorso seguito da questo libro che affronta le questioni sollevate dal terrore planetario. Lo sguardo si concentra sulla scena dell'attentato, quel tentativo di forzare il ritmo della storia che sfida la sovranità, non per mostrare l'abisso, ma per soppiantarla. Perciò terrore e rivoluzione, spesso confusi, vanno separati. Piuttosto il terrorismo è lo spettro della sovranità moderna, sempre tentata di invocarlo. Di qui l'esigenza di ridescrivere la figura del terrorista che non è un nichilista, ma mira a un progetto politico o teologico-politico. Mentre affiora l'itinerario verso il terrore dei «cavalieri postmoderni dell'apocalisse», vengono considerati gli effetti di una violenza che colpisce la vittima nella sua nuda vulnerabilità. Questo terrorismo non può essere imputato alla religione. Sullo sfondo di un confronto fra sinistra e jihad si erge il terrore del capitalismo globale, emerge quell'insonnia poliziesca che sostenta la nuova fobocrazia.
"Per rendere l’ardua argomentazione spicciola per i nostri lettori, direi che mi sono proposto di riflettere su come il cittadino contemporaneo può educarsi nell’esercizio consono della libertà di coscienza nel mondo democratico attuale. Ho prima individuato la difficoltà che noi abbiamo oggi nel partecipare alla vita politica e civile. Siamo colpiti da una sorta di apatia che è all’origine del forte letargo sociale che oggidì irrita tutti. Il nostro dialogare sociale è sterilizzato da una sordità lapalissiana. Un’apatia politica e una sordità che nasconde un male più profondo: la mancanza di comprensione articolata della nostra capacità di autodeterminarci. Si è voluto scambiare la chiusura su di sé (o sul gruppo di appartenenza) con l’intento (giustificabile del resto) della protezione della propria identità. Mentre volontariamente o no si costruisce in questo modo sempre più muri di separazione in noi stessi, circa i nostri stati interiori e esteriori così ricchi ma diversi nello stesso tempo ed anche fuori di noi. E la divisione non facilità una comprensione articolata dei significati che adduciamo nella nostra affermazione umana. La mia domanda è stata quella di sapere come rendere i nostri meccanismi umani di autorealizzazione alieni degli schemi narcisistici e cripto illuministici, eredità di una modernità troppo dominante. Partendo dalle istanze dell’autore che ho studiato, Charles Taylor, filosofo canadese."
Dal discorso post laurea di Magloire Nkounga Tagne, che con questa tesi ha conseguito il dottorato in Filosofia.
I saggi che compongono questo libro, selezionati dallo stesso autore, si insinuano nel cuore di quell'insistita domanda sulla propria origine e sul senso di un possibile dialogo con il mondo che le principali confessioni dell'Occidente continuano -talvolta drammaticamente - a modulare. Composti a partire dagli anni '50 fino all'inizio degli anni 70, si accordano con sorprendente precisione all'insieme di movimenti, rivoluzioni, promesse di cambiamento e delusioni che hanno attraversato il ventennio europeo uscito dalla guerra. Lévinas prende parte al dibattito con l'autorevolezza della plurimillenaria tradizione di cui è stato uno dei più felici e discreti interpreti: i maestri della tradizione talmudica insieme ad alcune grandi voci della contemporaneità filosofica come quella di Rosenzweig vengono interrogati su questioni di rovente attualità - l'uscita da Auschwitz e il dialogo interreligioso con il cristianesimo e l'islam; il rapporto con il comunismo e la conquista della luna; la polemica con gli autori cristiani e il futuro del giudaismo -, senza censure e senza illusioni sulla complessità che le sostiene e che reclama analisi altrettanto complesse.
«Essendomi recentemente cimentato con l'arduo compito di tradurre la Metafisica di Aristotele, il libro forse più difficile dell'intera storia della filosofia, mi sono imbattuto in una serie di problemi, alcuni dei quali previsti e altri invece imprevisti, che hanno reso l'impresa, oltre che ardua, anche affascinante». Affrontando problemi inerenti alla trasmissione del testo, alla traduzione e alla interpretazione, Berti mostra - contro una lettura teologizzante, di origine neoplatonica - il tratto problematico della filosofia aristotelica: la metafisica non è né teologia, né ontologia, ma scienza delle cause prime.
La Società filosofica italiana (SFI) è la più antica istituzione della filosofia in Italia, che ha avuto una presenza costante nella sua cultura. Essa ha attraversato i tre grandi periodi della storia istituzionale italiana dall'Unità ad oggi: liberale, fascista, democratico, riuscendo a fare dei congressi il luogo di confronto tra i diversi orientamenti. Nata nel 1906, ha tenuto fino dagli anni Cinquanta al 2013 ben trentotto congressi (circa uno ogni tre anni), dei quali in questo lavoro si fornisce una cronaca delle relazioni e dei dibattiti, sottolineando il ruolo che ha avuto il contesto culturale e politico. Inoltre, la SFI ha sollecitato la nascita di sue sezioni in molte città, che in tempi e modi diversi hanno organizzato seminari, convegni, conferenze su argomenti filosofici. Essa ha promosso la presenza della filosofia nella scuola italiana, contribuendo a rinnovarne l'insegnamento e promuovendo corsi di aggiornamento e sperimentazioni.
Il ''Commento al Cratilo'' di Proclo è una raccolta di appunti o di estratti (probabilmente di un allievo) dalle lezioni che il filosofo neoplatonico tenne su questo articolato e complesso dialogo di Platone. Si tratta di un testo significativo per comprendere la concezione tardo-neoplatonica relativa alla natura dei nomi e del linguaggio nel suo insieme.
In esso s'intrecciano considerazioni di vario genere, di carattere non solo ''linguistico'' e ''etimologico'', ma anche e soprattutto concezioni teologiche desunte dall'interpretazione dei teonimi.
La riflessione sulla natura della realtà divina, nelle sue diverse articolazioni, è strettamente connessa in questo commentario a una ripresa e rielaborazione di arcaiche concezioni mitico-sacrali sulla natura dei nomi divini, cui fa eco un'ampia serie di riferimenti a quella particolare forma di ''magia filosofica'' nota come teurgia. In questo testo, la riflessione di natura logico-razionale sul linguaggio viene così a fondersi, in modo affascinante e suggestivo, con prospettive di matrice magica e mistica, anche attraverso una fitta serie di citazioni e rimandi agli oscuri versi degli ''Oracoli Caldaici'', considerati come il prodotto della diretta comunicazione divina.