Madame Bovary; Salammbô; L’educazione sentimentale (con le “appendici” Memorie di un pazzo e Novembre); La tentazione di sant’Antonio; Tre racconti; Bouvard e Pécuchet.
Con un saggio di Marcel Proust
Edizioni integrali
A cura di Massimo Colesanti
Fra i più grandi scrittori moderni, Flaubert è considerato un realista. Ma l’impegno di esattezza, la documentazione, l’impersonalità nascono da una posizione esistenziale di rifiuto pessimistico della realtà. E questi canoni della sua arte sono osservati e sofferti, sono martirio e compenso del suo desiderio di perfezione, di assoluto. Avrebbe voluto scrivere un libro su nulla, perché l’importante non è la materia, ma l’opera da realizzare nella scrittura. La norma è per lui un antidoto contro la realtà ripugnante: vi si costringe dentro, ma anela ad esserne fuori. Ha scritto e riscritto, per così dire, un unico libro, sul doppio registro ora della scarnificazione della realtà contemporanea (Madame Bovary, L’educazione sentimentale), ora di evasione lirica, storica e immaginaria (Salammbô), ironica e tormentata (La tentazione di sant’Antonio), raffinatamente stilistica (Tre racconti). E come testamento ci ha lasciato Bouvard e Pécuchet, una satira feroce della stupidità umana.
È l’avvertimento che apre I canti di Maldoror, opera maledetta del conte di Lautréamont, pubblicata nel 1869. Poema in prosa intriso di male e di violenza, impastato di sangue e umori maligni. Poco dopo, una serie di atroci delitti insanguina Parigi. Le vittime sono ragazzini biondi, giovanissimi, tutti morti per sventramento e rinvenuti con un granchio infilato in gola. L’assassino ricalca alla perfezione le gesta efferate di Maldoror, eroe malvagio dei Canti, ma questo ancora nessuno lo sa. È una raffinatezza che la polizia non ha. Solo l’ispettore Letamendia capisce che quelle morti hanno un’unica firma, e che non si tratta di un criminale qualsiasi, ma di una sua nuova e perversa evoluzione. Un omicida reiterato, che uccide per piacere e per sfida.
Quando il giovane Étienne, in place Vendôme, si trova faccia a faccia con l’assassino, e con la sua nuova vittima, la faccenda si complica. Perché ora lui è l’unico testimone, e in più ha in mano fortunosamente il taccuino dell’uomo. La sua vita è in pericolo.
Una discesa nei meandri di una Parigi cupa, tra bettole fumose, case di piacere, intellettuali in preda all’oppio e riunioni sovversive, con un protagonista perversamente moderno.
"Della letteratura non abbiamo bisogno per imparare a leggere. Ne abbiamo bisogno per sottrarre il mondo reale alle letture sommarie". E proprio questa la convinzione che ispira ad Alain Finkielkraut l'appassionato esercizio critico di Un cuore intelligente: raccontare nove tra i più notevoli libri della modernità svelando l'immensa sapienza che lì si cela. Perché la risposta alle grandi domande - "Che cos'è la civiltà? Che cos'è l'arte? Che cosa sono l'ideale e la grazia?" - non può che essere "una risposta narrativa". Rileggendo Tutto scorre... di Vasilij Grossman o La macchia umana di Philip Roth, Lo scherzo di Milan Kundera o II pranzo di Babette di Karen Blixen, Lord Jim di Joseph Conrad o Washington Square di Henry James, Finkielkraut, che da anni va smascherando le ingiustificate certezze dell'Occidente, si propone di scrutare la realtà incarnata nei particolari e spesso redenta dall'ironia - e, soprattutto, di trovare una chiave per decifrare gli "enigmi del mondo". E con la sua suite di letture ci invita a svincolarci da molteplici trappole, della ragione e del sentimento, per lasciarci educare, tramite la parola letteraria, alla "perspicacia affettiva". Solo così ci verrà concesso quel "cuore intelligente" che re Salomone invocava dall'Eterno, stimandolo più prezioso di ogni altro bene.
Raymond Queneau fa parte del gruppo surrealista parigino dal 1924 al 1929. Tra le molte passioni che condivide con André Breton e i suoi amici, ci sono i romanzi di Fantomas e certo anche la magistrale versione cinematografica realizzata da Louis Feuillade. Queneau si appassionerà a tal punto all'eroe nero creato da Jean Souvestre e Marcel Allain da accarezzare il progetto di scriverne una biografia. Il libro non vedrà mai la luce, ma l'autore degli Esercizi di stile non resisterà alla tentazione di giocare, nel suo inimitabile modo, con gli ingredienti del feuilleton: ecco dunque Hazard e Fissile, il primo esperimento narrativo di Raymond Queneau, ritrovato pochi anni fa tra le carte dello scrittore e finora assolutamente inedito.
Questo romanzo è un'esilarante parodia e una distorsione delle peripezie classiche del romanzo d'appendice: ci sono vilains dai nomi improbabili e dai modi bizzarri, ci sono donne nude e mascherate, pistole che scompaiono, eroi ed eroine senza macchia e senza cervello: e ci sono anche clown malinconici, omicidi, inseguimenti e agnizioni. E soprattutto c'è già tutto Raymond Queneau: gli esperimenti metaletterari, gli sberleffi al lettore, le visioni care all'immaginario surrealista, quasi provenissero dai dipinti di Delvaux o di Dalì (diciassette piovre addomesticate!); e ancora, un colpo di scena ad ogni pagina, una sorpresa ad ogni paragrafo.
I giochi di parole, che hanno travolto il traduttore, delizieranno i lettori; e chi ha amato Zazie nel metró, I fiori blu e gli Esercizi di stile non faticherà a ritrovare in questo breve testo incompiuto il primo incunabolo di quei capolavori.
Introduzione e traduzione di Umberto Eco
Edizione integrale con testo francese a fronte
Ľironia è una delle caratteristiche principali delle opere di Queneau, unita a una sperimentazione rigorosa: se è vero, allora questo libro è esemplare. C’è un solo episodio, con un unico personaggio, ma ci sono 99 modi per raccontarlo, 99 esercizi di stile sempre nuovi e sorprendenti, che passano in rassegna ogni genere letterario, dal dramma alla lirica giapponese, e tutte le figure retoriche. È un gioco lessicale, è l’autore che si diverte a fare il giocoliere con le parole, a frammentarle, a ricostruirle, a strutturare e destrutturare la sintassi, l’intera impalcatura del linguaggio scritto. Ma quella che poteva essere una vuota esercitazione accademica fine a se stessa, grazie al genio di Queneau assume una forma tanto compatta da essere usata anche come pièce teatrale dall’effetto comico irresistibile e come dimostrazione gioiosa e godibilissima delle infinite possibilità del linguaggio.
«Sulla S, in un’ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato. La gente scende. Il tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa qualcuno. Tono lamentoso, con pretese di cattiveria. Non appena vede un posto libero, vi si butta. Due ore più tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint-Lazare. È con un amico che gli dice: «Dovresti far mettere un bottone in più al soprabito». Gli fa vedere dove (alla sciancratura) e perché.»
Una coppia di giovani vittima del consumismo.
Il primo romanzo di Perec raccontava nel 1965, con profetica ironia, la forza emozionale, estetica, perfino erotica, che l'universo degli oggetti possiede e trasmette agli uomini. Come Roland Barthes commentò l'esordio del suo allievo, «una storia sulla povertà mescolata inestricabilmente all'immagine della ricchezza, un libro molto bello». Un libro che lanciò Perec fra i grandi della letteratura, incredibilmente attuale, una spiegazione insuperata del mondo contemporaneo.
Anno Domini 1654. I dogmi sono il fondamento della supremazia della Chiesa. Sono e devono restare inattaccabili. L’Inquisizione vigila e con le sue lunghe mani ha mandato di perquisire i più nascosti recessi del mondo per impedire che neppure il più piccolo dubbio si insinui nelle coscienze.
Per questo, quando in un piccolo villaggio della Provenza vengono alla luce ossa di enormi dimensioni, che non appartengono a nessuna specie conosciuta, le stanze del Vaticano tremano. Tutte le spiegazioni contrastano con la Bibbia, soprattutto quella che a un certo punto si diffonde: che si tratti delle ossa di Satana. Perché se così fosse, se il diavolo fosse morto, a chi attribuire la colpa dei mali del mondo se non a Dio stesso?
Lavorel, famoso studioso esperto di gigantologia, arriva sul posto, insieme a un suo allievo, Zenone, medico ateo e illuminato, trafugatore di cadaveri a fini di studio, e per questo in fuga da Parigi e tacciato di eresia. Zenone non ci vede nulla di ultraterreno in quelle ossa, e cerca di dimostrarlo. A suo rischio, perché una soluzione razionale spaventa la Chiesa non meno di una soprannaturale.
Insieme alla bellissima Agnese, esperta di erbe e sospettata di stregoneria, Zenone affronterà mille pericoli e il giudizio dell’Inquisizione per arrivare alla verità.
In un’epoca di superstizione, in cui la scienza si muove sul filo del rasoio, tra interrogatori, roghi e tentativi di mettere a tacere, si consuma una insidiosa lotta tra fede e ragione.
Moon ha diciannove anni, un animo ingenuo e uno sguardo incantato sul mondo. Ha scelto di vivere per la strada perché vuole essere se stessa, libera - diversamente dalla gente che osserva passarle accanto - e addormentarsi la sera su un suo cartone privato da cui può vedere la luna, tra un lampione e la bottega di una fiorista. La chiamano "la piccola venditrice di sorrisi" ed è così che si guadagna quel minimo che le serve per campare. Sì, perché a lei e all'inseparabile cagnolina Comète basta poco; il calore, nelle gelide nottate dell'inverno cittadino, glielo regalano i suoi amici senzatetto, Suzie e Michou con il loro carrello del super, i punk migratori con le creste colorate, e Fidji, il suo grande amore, "bello come un angelo della notte". È per lui che Moon inizia a scrivere un romanzo, su un bloc notes sgraffignato in edicola. E poi c'è Slam, appena uscito di prigione, avaro di parole ma con un cuore immenso. Slam che ama tutto quel che Moon mette sulla carta e che ha una certezza: un giorno, lei ce la farà a prendersi la luna. Raccontato da una protagonista che ha tutto lo charme e il candore di Amélie Poulain, un romanzo tenero ed emozionante, una storia di amore e di amicizia piena di speranza, e di inguaribile, gioiosa fantasia.
Nel 2002 Caroline Bréhat, giornalista di 32 anni, si trova a New York per una manifestazione anti-Bush e resta colpita da un cantante "impegnato", Julian Jones, che si esibisce in quell'occasione. Pochi giorni dopo lo intervista e nel giro di altri pochi giorni si ritrova a casa sua, nel vortice di una grande, sconfinata passione, come mai le era sembrato di vivere nella vita. È il sogno che si fa realtà, il principe azzurro che si materializza in un uomo non solo bello, famoso, seduttivo, ma anche intelligente, sensibile, impegnato. Dopo un anno di luna di miele i due si sposano, ma subito iniziano i problemi. La sensibilità estrema di Julian Jones si rivela essere fragilità, inconsistenza e soprattutto instabilità emotiva. Dalla fase della seduzione Julian passa a quella del dominio, umiliando il più possibile Caroline. Da questo momento in poi il tunnel non fa che incupirsi: dalle violenze verbali a quelle fisiche, e poi dalle botte ai baci, ogni volta facendo sentire Caroline responsabile di tutto - anche quando è incinta. Dopo che ha partorito e dopo oltre tre anni di inferno, un giorno Caroline vede per strada un uomo che picchia sua moglie e, come illuminata, capisce che quella donna potrebbe essere lei. Inizia così il percorso della ribellione, dalla rivendicazione dei propri diritti, fino alla libertà e al divorzio.
In una bella mattina d’inverno, mentre il suo autista lo portava, come ogni giorno da , trent'anni, nella ditta di import-export fondata da suo nonno, Norbert Monde ha deciso di scomparire. Anzi no: non c'è stato niente da decidere. «Probabilmente lo aveva sognato spesso, o ci aveva pensato così tanto che adesso aveva l'impressione di compiere gesti già compiuti»: farsi radere i baffi, scambiare il completo dal taglio elegante con un abito di seconda mano, andare alla Gare de Lyon, chiedere un biglietto di terza classe per Marsiglia. Ma perché è accaduto proprio quel giorno? Forse perché era il suo compleanno; o forse perché, alzando gli occhi, ha visto i comignoli rosa stagliarsi contro un cielo di un pallido azzurro in cui fluttuava pigra una minuscola nuvola bianca - e gli è venuta voglia di vedere il mare. Quando finalmente se l'è trovato davanti, il signor Monde ha pianto. E quelle lacrime, che si portavano via «tutta la stanchezza accumulata in quarantotto anni» , erano dolci, «perché ora la battaglia era finita», e lui era finalmente come uno di quei clochard che dormono sotto i ponti di Parigi, e che più di una volta gli era capitato di invidiare. Così è andato a vivere con una tale Julie, che fa l'entraineuse in un locale notturno di Nizza dove hanno dato un lavoro anche a lui. Ed è diventato per tutti Désiré Clouet, il contabile del Monico. Un giorno, però, gli apparirà dinanzi un fantasma della sua vita di prima: allora il signor Monde, che si è portato dietro «la sua condizione di uomo come altri si portano addosso una malattia che ignorano», riprenderà la sua identità e il suo ruolo, ma non sarà più la stessa persona. Perché da quel momento non avrà più ombre - e guarderà ogni cosa in modo diverso, con una sorta di «fredda serenità».
Le ricerche d’archivio di una giovane storica ci catapultano, all’inizio del romanzo, in un piccolo borgo ebreo nella Polonia ottocentesca, Podhoretz, dove Haim Yaacov, ciabattino e violinista, riceve la visita del profeta Elia e diventa rabbino della comunità, osannato da tutti e in grado con il suono del suo violino di guarire gli animi e i malati. Un secolo dopo, i nazisti invadono il paese e solo uno dei discendenti del famoso rabbino violinista riesce a salvarsi, rifugiandosi nel ghetto di Varsavia, dove però viene catturato e deportato ad Auschwitz. Quello che si salva dall’orrore anni dopo è un uomo distrutto, uno scrittore apolide, incapace di superare l’angoscia del sopravvissuto, fino all’incontro con una donna che con il suo amore lo riporterà alla vita.
Intensa saga famigliare, venata di sense of humour e narrata nei toni poetici, lievi e surreali di un racconto chassidico, La stella del mattino è anche un canto funebre per chi non l’ha avuto, fucilato sul ciglio di una fossa comune, ucciso dal tifo o asfissiato nelle camere a gas.
Torna in tutte le librerie d’Italia l’Esegesi dei luoghi comuni del “terribile” Léon Bloy, mistico, infaticabile “giustiziere” dei contemporanei, caustico e livoroso critico della modernità. L’Esegesi dei luoghi comuni è una tra le opere più impressionanti e dure di tutta la letteratura europea del Novecento. Un libro senza mezze misure né peli sulla lingua, dove le frasi fatte, i luoghi comuni, la sciocca banalità dei contemporanei è svuotata di ogni pretesa assennatezza o presunto buonsenso: Niente e' assoluto, tutto e' relativo; Gli affari sono affari; Nessuno al mondo e' perfetto; Sono come San Tommaso; Solo la verita' offende; Il denaro non fa la felicità, ma...; sono solo alcuni dei modi di dire attraverso cui Bloy demolisce il mondo e il tempo del borghese.
Essere in Affari significa essere nell’Assoluto. Un vero uomo d’affari è uno stilita che non scende mai dalla colonna. Non deve aver pensieri, sentimenti, occhi, orecchi, naso, gusto, tatto e stomaco se non per gli Affari. L’uomo d’affari non conosce padre, né madre, né zio, né zia, né moglie, né figli, né bello, né brutto, né pulito, né sporco, né caldo, né freddo, né Dio, né diavolo. Ignora perdutamente le lettere, le arti, le scienze, la storia, le leggi. Non deve conoscere e sapere altro che gli Affari.
Luogo comune xii, Gli affari sono affari
Attraverso l’interpretazione di centottantatré luoghi comuni, Bloy da vita a qualcosa più di un “semplice” sciocchezzaio o di un “moderno” bestiario sulla banalità del mondo contemporaneo: l’Esegesi vuole essere un’opera di radicale smascheramento delle falsità e delle ipocrisie su cui si fonda la società moderna. È infatti contro il borghese, suo nemico designato, che Bloy e la sua Esegesi si scatena: egli è per Bloy la mortificazione stessa della parola e del pensiero, schiacciato dalle sue merci, dalla sua meschinità, dalle sue formulette di presunta saggezza quotidiana. E la ferocia con cui aggredisce i loro affetti più cari – il denaro, gli affari, la ricchezza – le loro inespresse, malcelate fedi – la tecnica, la salute, l’intrattenimento – fa crollare tutto il mondo del borghese sotto i colpi dell’invettiva viscerale e oltraggiosa di quest’opera insolitamente affascinante – ostile.
Amar ben altro che ciò che è ignobile, puzzolente e stupido; bramare la Bellezza, lo Splendore, la Beatitudine; preferire un’opera d’arte a una porcheria e il Giudizio Universale di Michelangiolo a un inventario di fine anno; aver più bisogno di saziarsi l’anima che di riempirsi l’intestino; credere infine alla Poesia, all’Eroismo, alla Santità, ecco quel che il Borghese chiama “esser fra le nuvole”
Luogo comune xxiv, Esser fra le nuvole
Il misticismo ispirato, che a tratti diviene addirittura violento, esasperato, il richiamo costante all’Assoluto come irriducibile termine di confronto attraverso cui intendere il mondo e il tempo del borghese è infatti elemento ineliminabile in tutta l’opera e la biografia di Bloy. E l’Esegesi del “terribile” reazionario Bloy, rappresenta ancora oggi, nonostante l’“inattualità” – e la diffidenza – che ha da sempre accompagnato l’autore e l’opera in questione, la difesa di un modo e un tempo del pensiero irriducibile a ogni etichettatura; e a una lettura odierna rimane intatta e non di rado ancor più pregnante la portata disperatamente morale e filosofica – mai moralistica – della sua critica radicale alla società, all’umanità stessa e al suo orizzonte di progresso.