
Nel 1948, a otto anni, J.M.G. Le Clézio lascia Nizza, la sua città natale, e con la madre e il fratello parte per la Nigeria, dove il padre, che non ha mai conosciuto, è medico nell'esercito britannico. Inizia così uno straordinario viaggio che, più di cinquant'anni dopo, sarà oggetto di questo libro. Le Clézio racconta il continente nero attraverso gli occhi di un bambino che entra in contatto con un mondo dove tutto - natura, sole, temporali, insetti "esiste" con intensità e violenza, un mondo che gli regala una sensazione di libertà fisica e mentale per lui fino a quel momento sconosciuta. Fondamentale è l'incontro con il padre, uomo duro, abituato alla solitudine cui lo ha costretto la guerra. È dalla prospettiva del bambino che viene descritta la sua severità, il suo modo di vestire e i tentativi di ricuperare il tempo perduto con i figli. E sempre dalla stessa prospettiva emerge l'ammirazione verso quest'uomo misterioso, cui Le Clézio tenta di "avvicinarsi" per tutto il libro. Ad accompagnarlo nella sua indagine ci sono le foto scattate proprio dal padre, immagini piene di suggestione, non professionali e, forse per questo, assolutamente autentiche.
Uno sgangherato telefonino guardato con apprensione al suo arrivo a Shanghai, l'incontro apparentemente casuale con la bellissima e misteriosa Li Qi, e l'ambiguo Zhang Xiangzhi che non lo molla un attimo. Una voce amata (sarebbe dunque mai finita con Marie?) che gli arriva al cellulare attraversando continenti e fusi orari, una memorabile fuga a tre in moto lungo le strade della periferia di Pechino e infine di nuovo Marie (sarebbe dunque mai finita con Marie?), insieme a lei lungo i sentieri e nel mare dell'Isola d'Elba.
Il romanzo si presenta come il diario del monaco-architetto dell'abbazia del Thoronet, in Provenza. Giorno dopo giorno il protagonista si confronta con la debolezza degli uomini e l'inerzia delle cose, e con le proprie personali contraddizioni. Per altro la vita di un cantiere medievale, i problemi tecnici, finanziari e dottrinali che pone, le soluzioni di sorprendente modernità che vengono via via trovate, appaiono molto poco conformi a quel Medioevo di maniera che continua a dominare l'immaginario comune.
L'espressione "Via della seta" fu inventata nel 1877 dal geografo Von Richtofen. Dopo essere apparsa per la prima volta a occhi occidentali oltre duemila anni fa, durante una battaglia nel deserto fra romani e parti, la seta non ha mai smesso di rappresentare una magnifica ossessione. Simbolo di ricchezza e potere, primo esempio di valuta pregiata in India e in Cina, il tessuto ha viaggiato attraverso le piste inaugurate da Alessandro Magno, poi percorse in pace dalle carovane dei mercanti e dai monaci buddhisti, e in guerra dalle armate dell'Islam, del Celeste Impero e dei khan mongoli. La riscoperta della Via della seta da parte del mondo cristiano si deve alle cronache, in parte favolistiche, di Giovanni da Pian del Carpine, ai miti esotici raccolti nel "Milione" da Marco Polo e ai diari di viaggio dell'intellettuale islamico del Medioevo, Ibn Battuta. Ma anche opere più schiettamente letterarie o tradizioni improbabili (come quella del fantomatico Prete Gianni, il cui misterioso regno, mai localizzato con certezza sulle carte geografiche del tempo, fu però nominato da tutti) trasmettono un riverbero di quel lontano splendore. In tale turbinio di storie, leggende, avventure, incontri e scontri, la Via della seta appare come un orizzonte aperto, un ponte gettato fra civiltà e culture diverse, un'arteria vitale per gli scambi commerciali e la circolazione delle idee, che ancora oggi, nell'epoca della globalizzazione, mantiene intatta la sua suggestione.
Questa scelta di lettere dall'epistolario di Flaubert, vuole essere il tentativo di proporre la sostanza di una scrittura e di un pensiero. Ma, ancora di più, di tentare di costruire un ponte tra le due scritture. Flaubert ripete che nei suoi libri l'autore dev'essere assente, che ha orrore all'idea che Gustave Flaubert compaia, con le sue idee e le sue passioni, accanto a Emma Bovary o accanto a Salambô. Ma dice e ripete anche che nessun libro lo soddisfa in pieno, che non ha mai trovato il soggetto in cui darsi interamente, che sia in sintonia con il suo temperamento.
"D'improvviso ci si trovava immersi in un universo spersonalizzato, dove le parole di tutti i giorni erano come monete fuori corso, dove i fatti più quotidiani si traducevano in formule oscure. La toga nera dei giudici, l'ermellino, la toga rossa dell'avvocato generale accentuavano ancor più quell'impressione di rituale immutabile dove l'individuo veniva annullato. "Eppure il presidente Bernerie conduceva i dibattimenti con la massima pazienza e umanità. Non metteva fretta ai testimoni, non li interrompeva quando sembravano dilungarsi in dettagli inutili. "Con altri magistrati, più rigidi, a Maigret era capitato di stringere i pugni per la stizza e l'impotenza. "Anche oggi sapeva di aver dato solo un riflesso spento, schematico, della realtà. Tutto ciò che aveva appena detto era vero, ma non era riuscito a far sentire il peso delle cose, la loro intensità, il loro fremito, il loro odore".
"Parigi, 1906. Un uomo decide di impegnarsi in un'impresa folle: la ricerca del "tempo perduto". Il risultato non sarà una seconda vita ma un libro, in sette volumi, intitolato appunto "alla ricerca del tempo perduto". Marcel Proust si congeda anzitempo dalla vita per riabbracciarla tutta intera in un grandioso romanzo. Una tattica suicida, direte voi. Sì, gli scrittori sono un club di suicidi, ma la vita è quella scemenza in cui tutto il mondo perduto della giovinezza, a volte, può riemergere d'un tratto nel sapore di un biscottino inzuppato nel tè. E allora, un romanzo, solo un grande romanzo può raddrizzare questo "perpetuo errore che è esattamente la via"." (Antonio Scurati)
André Gide (1869-1951). Figlio unico, molto ricco, educazione rigidissima. Sposa la cugina, viaggia in Africa e nel 1908 fonda la "Nouvelle Revue Française", una delle più influenti riviste culturali europee. Si impegna politicamente, pubblica romanzi di grande intensità narrativa e morale (L'immoralista, La porta stretta, Le segrete del Vaticano) e, un libro dopo l'altro, impegna tutto se stesso nell'esplorazione sistematica della sua identità. Nel 1947 vince il premio Nobel.
La scrittrice racconta la sua vita tra il 1944 e il 1945, quando militava a Parigi nei ranghi della Resistenza aspettando disperatamente il ritorno del marito deportato. Sullo sfondo della guerra mondiale e della guerra civile, due racconti immaginari e quattro racconti in due vecchi quaderni.
Sarà perché è l'indomani del giorno dei Morti o perché mancano due anni alla pensione, ma il commissario preferirebbe starsene a chiaccherare nel suo ufficio con una vecchia conoscenza, Grégoire Brau. E invece gli tocca occuparsi dell'assasinio del direttore di un biscottificio prossimo al fallimento, in una casa che in passato è stata lussuosa e dove ora ogni cosa è sporca e rotta e Maigret prova subito una "sensazione di irrealtà". Inoltre, la famiglia, ripiegata su se stessa, si chiude subito in un silenzio ostile, opponendo all'indagine un muro di omertà.
Di stampo fortemente autobiografico, l'opera narra la vicenda della bella poetessa Corinna della quale, durante un viaggio in Italia sul finire del Settecento, si innamora Lord Nelvil. Le peripezie sentimentali dei due protagonisti sono lo spunto per una descrizione incantata dell'Italia, delle sue glorie artistiche e dei suoi costumi.