Sono rare le opportunità nelle quali fermarsi e riflettere non diventi un richiamo del fare e del dire di luoghi comuni. La raccolta di pensieri di questa opera apre in modo originale e semplice una porta trasparente, quella di una coscienza dove il grande spirito e il piccolo uomo s'incontrano al di là dell'afflizione e della morte, sia fisica che interiore. Sono orme che tracciano confini per essere nei luoghi del sorriso, dell'ironia dove risplende il sole e rispecchia la luna, di chi non si accontenta delle briciole, né tanto meno del potere della ricchezza materiale o culturale.
"La nuova raccolta di Gian Maria Annovi situa il suo autore non più nell'indistinto futuro delle promesse poetiche, ma con forza nell'oggi, confermando le aspettative suscitate da 'Kamikaze (e altre persone)' (2011) e, prima ancora, da 'Terza persona cortese. Reality in sette visioni' (2007, Premio Russo- Mazzacurati). Miscellanea di testi scritti tra l'ottobre 2002 e, simbolicamente e retroattivamente, la data liminale del 10 settembre 2001 'Italics' riprende serie inedite e parzialmente inedite. All'eterno, raggelato gioco delle personae/maschere e dei soggetti fissi nella loro interlocutorialità, che accompagna da sempre lo scrivere infinitamente rastremato, asintotico di Annovi, si accompagna qui il senso dello straniamento spaziale e temporale, più sottile dello sradicamento ma suo comunque affine, che in modo diffuso possiamo collegare anche allo stato migrante del suo autore negli Stati Uniti. 'Italics', in anglo-americano, è l'espressione che indica il corsivo tipografico, ma che qui s'innesta come indicazione di un'altra voce, di un tono distinto (privato?) e/o di un rimando ironico all'origine, a sua volta stratificata, fatta palinsesto, resa altra o perduta sullo sfondo di quella frontiera rivoltata all'interno che sono gli Stati Uniti oggi, tra Manhattan e 'Los Angeles, l'oceano mediatico, il deserto'." (Laura Pugno)
Prendendo il suo titolo dal primo poemetto, "L'autra armada", il nuovo libro rivela tutto il fuoco centrale della passione che anima il dettato. E la vitalità, anche, di una denuncia che va dal particolare al tutto. Quale "autra armada" se non quella, sì delle vite 'partigiane', ma più ancora della vita che ci chiama a una guerra tutta interiore, tutta risolta nelle imboscate del sangue, nei colpi del cuore, nel risveglio "d'aquel drai que duerm dins nos"? "Autra", dunque, perché? Autra perché insieme con la guerra degli eserciti sta la guerra dei negati, dei dolori, la battaglia dei giorni consumati nell'ombra e consunti nell'inutile "Tem dau Colera". Ma nella carne nostra, nel destino del corpo che si strazia e non trova conforto. C'è l'armata dei ricordi "arditats". C'è l'armata dei "jorns negats". C'è l'armata (anche "armeia") "desperdua que da siecles/ e siecles va a querre novels pastorals" (con la felice invenzione della retroguardia dei suicidi). C'è l'armata "de trebulats". C'è l'armata "vegetal/ da arbol a arbol". C'è "una armeia a la desbranda" o "al champ d'la desfacha". C'è "una armeia a travers i prats", che è tutta un discorrere d'erbe e di parole sonanti come "un plettro". A fare da conduttore è ancora e sempre il filo della poesia, il linguaggio occitano a forte densità metaforica, la sua ricchezza di invenzione, la sua altezza di sguardo, la sua difesa d'amore ("Arparats da la mòrt/ degun es estat a garda de l'amor"), la sua natura meravigliosamente vocale.
"Concentrata e leggera, nitida e profonda, la poesia di Tiziano Broggiato è insieme ermetica e depistante. Ermetica perché il dettato quieto e fermo cela in realtà sempre una visione inquietante, un tremore tellurico impercettibile ai sensi se non nel vibrare demonico del verso. Per questa ragione depistante: non siamo nella poesia del quotidiano che del quotidiano si appaga, e magari esalta, come spesso accade, né quindi in una visione minimalistica della realtà. Ci troviamo piuttosto in un mondo di visioni rapide, concluse e serrate, che si succedono come fotogrammi di una pellicola il cui movimento è impercettibile. Ogni verso è un'immagine, generalmente priva di bagliori o svelamenti, ma ogni immagine è profonda, pare emergere da una vecchia fotografia, o ancor più da una traccia lapidea invisibile se non agli occhi, meglio alle antenne del poeta. Ferma, priva di sbavature, la poesia di Broggiato ha una sua fredda potenza tragica, inchiodando cose e persone alla realtà del tempo eveniente, e una freddezza anatomistica che felicemente convive con una fraterna solidarietà di fatto con il coro del mondo: 'E quando riesce a vedere un sole bianco, anche attraverso basse nubi, e avvertire che aumentano le acque, mentre la luce riposa, che uno capisce che il suo luogo, è quello. Per sempre.'" (Roberto Mussapi)
Una prosa poetica che, riflettendo sulla devozione dei credenti per il Corpo di Cristo, si mette in ascolto della voce di Dio nel corpo dell'uomo.
Più di ogni altra espressione poetica, e molto più degli altri grandi poeti russi del primo Novecento, la poesia di Marina Cvetaeva è caratterizzata da una straordinaria aderenza alle ragioni del sentimento, che pare impastare di sé ogni suo registro linguistico. Del resto, la stessa Marina scriveva: "La lirica pura vive di sentimenti. I sentimenti sono sempre uguali a se stessi. Non hanno evoluzione, come non hanno una logica. Ci sono stati ficcati dentro il petto - come fiamme di una torcia - fin dalla nascita". Anche per questo motivo, di particolare interesse è questa antologia di poesie d'amore, che se da un lato si offre come paradigma di un'anima costantemente in cerca di un 'tu' per potersi completare nel nome della grande passione, dall'altro diventa anche la cronaca spirituale di uno scacco esistenziale, che solo attraverso l'arte, attraverso la lingua della poesia, riesce a trovare la sua più autentica, e forse unica, sublimazione. I destinatari di queste poesie sono uomini e donne, amici e sconosciuti, persone reali o idealizzate: il marito Sergej Efron, la poetessa Sof'ja Parnok, i poeti Blok, Kuzmin e Pasternak, gli amanti avuti negli anni dell'esilio che non si sono mai rivelati all'altezza di una donna che chiedeva all'altro il "miracolo" della passione d'amore, perché "io devo essere amata in modo del tutto straordinario per potere amare straordinariamente".
Hilde Domin è, con Rose Ausländer e Nelly Sachs, una delle poetesse più significative della seconda metà del Novecento. Spinta all'esilio dall'ascesa del nazismo, trovò nella parola tedesca la sua vera dimora, per poi tornare in Germania dopo quasi trent'anni di assenza. Le sue liriche, intense ma mai patetiche o mai rabbiose, comunicano il coraggio, la volontà e la forza nella creazione di un'identità nuova dopo ogni perdita. In questo volume, che inaugura la pubblicazione della produzione lirica completa di Hilde Domin con le sue prime due raccolte, "Solo una rosa a sostegno" del 1959, e "Rientro delle navi" del 1962, si dà conto della forte coesione tra l'attività lirica, saggistica e filosofica di Hilde Domin, accompagnando le liriche a due brevi e significativi saggi dell'autrice, e corredando l'edizione di una particolareggiata introduzione e di dettagliate note editoriali e biografiche che restituiscono l'articolato percorso compositivo delle prime pubblicazioni.
Una bella antologia di intense e soavi poesie-preghiere. Dopo l'edificante raccolta poetica Il tuo amoroso assedio", l'Autrice firma ora questo nuovo, ispirato poemetto, in cui struggenti liriche dedicate a Maria, Stella dell'Evangelizzazione e lume prezioso ai passi dei Suoi disorientati figli, si alternano ad altre di altissima spiritualità e valenza profetica, specie laddove più vibrata si fa la denuncia dei mali sociali, delle tante, raccapriccianti ingiustizie, che inducono la poetessa a implorare l'Eterno, affinchè invii il Suo Spirito purificatore sul mondo. "
L'elegante volumetto ripropone la raccolta di liriche concepite e scritte a Pasturo dalla poetessa Antonia Pozzi, pubblicate postume per la prima volta nel 1954 e oggi arricchite con altre poesie e una serie di fotografie scattate dalla stessa Pozzi. Il coordinamento editoriale dell'opera è di Onorina Dino, custode dei manoscritti della poetessa e sua maggiore interprete. La raccolta è stata impreziosita da una cura particolare dei caratteri grafici e tipografici (progetto di Paolo Vallara), per una veste estetica essenziale ed elegante: alle liriche raccolte nelle pagine corrisponde così la poesia insita nell'oggetto-libro stesso.