Alla vigilia della seconda guerra mondiale uno dei più grandi filosofi del Novecento. Karl Jaspers, viene cacciato dall'Università di Heidelberg. dove insegnava, poiché marito di un'ebrea. Successivamente, seppur in condizioni di libertà vigilata, egli trova il coraggiosi pronunciarsi in due pubbliche conferenze su un tema assai spinoso quale il rapporto tra Nietzsche e il cristianesimo. Jaspers, consapevole del pericolo mortale cui va incontro la civiltà tedesca assoggettata al nazismo, vede quanto l'ideologia nazista può trovare terreno fertile in Nietzsche e, in particolare, nell'interpretazione strumentale della sua teoria del Superuomo. Perciò il suo discorso si concentra preliminarmente sulla necessità di leggere Nietzsche nel contesto generale della sua opera: non si può isolare un frammento nietzschiano e attribuirgli valore assoluto. Jaspers sottolinea il punto nodale della speculazione nietzschiana. Figlio di un pastore protestante. Nietzsche non ha fede nel cristianesimo: dichiara la morte di Dio e annuncia che l'uomo europeo è ormai entrato nell'epoca del nichilismo. Jaspers non si stanca però di ammonire: tanto compiaciuta è la critica nietzschiana al cristianesimo, altrettanto preoccupato è Nietzsche circa il futuro dell'uomo europeo dopo l'avvento del nichilismo. Il Superuomo dev'essere dunque un individuo capace di rinunciare all'illusione di Dio.
Tra le opere minori di Aristotele, i due scritti De coloribus e De audibilibus si pongono a meta' tra le opere propriamente filosofiche e quelle propriamente scientifiche, dato che rappresentano il primo abbozzo di un'ottica" e di un'"acustica" elaborate nell'antichita' classica. Con testo greco a fronte. "
Tommaso Campanella mostrò un costante interesse per la profezia in tutte le sue forme. Ma se da un lato egli è molto attento a salvaguardare l'ambito della profezia divina, evitando rischi di indebite naturalizzazioni, come quelle operate da medici e filosofi che riducono ogni forma profetica a squilibri di umori e patologie corporee, dall'altro non nasconde il proprio interesse per la divinazione e la decifrazione dei segni rintracciabili nei cicli, in ogni aspetto della natura, nel corpo e nello spirito dell'uomo. Egli affronta tali tematiche nella Metaphysica: la grande opera scritta nel corso di lunghi anni, pubblicata a Parigi nel 1638, a un anno dalla morte, e da lui definita con giusto orgoglio "bibbia dei filosofi".
Nell'Europa agitata dalle guerre napoleoniche, il lento travaglio speculativo di un professore di filosofia dal futuro ancora incerto dà vita alla "Fenomenologia dello spirito" (1807). L'opera, fra le maggiori dell'idealismo tedesco, restituita al suo contesto invita a diffidare di quell'assoluto di cui Hegel, a Jena, ha imparato a contestare la pretesa fondamentalista. In una serrata e affascinante narrazione, il lettore diviene fin dall'inizio spettatore e compagno lungo la via del dubbio e della disperazione, dove la coscienza incontra le diverse figure che ai suoi occhi incarnano la presenza del senso - salvo verificare drammaticamente, a ogni passo, l'instabilità della certezza di volta in volta conquistata. Il divenire sfida il logos a rendere fluido un pensare che tende a irrigidirsi, e la filosofia post-rivoluzionaria sperimenta cosi la legittimità e insieme le dolorose conseguenze delle proprie pretese emancipative. L'inesauribile ricchezza del capolavoro hegeliano ne ha fatto un termine di confronto privilegiato per le filosofie del XX secolo, e ancora per il dibattito attuale: la "Fenomenologia dello spirito" continua a rivelarsi quell'autentico spartiacque della modernità su cui - come ebbe a scrivere Karl Rosenkranz - "lo spirito dell'umanità" ha dovuto soffermarsi, "onde render conto a se stesso di ciò che era divenuto".
"Fisica" è il titolo di un trattato in otto libri di Aristotele. E uno dei trattati più significativi del filosofo. Come tutte le altre opere aristoteliche, anche "Fisica" è il risultato del lavoro di ricostruzione operato da Andronico di Rodi sui frammenti sparsi scritti dallo Stagirita in epoche diverse, su argomenti diversi, tutti tuttavia attinenti il mondo della "Physis" (natura). Il I libro tratta dei principi del Divenire. Il II libro è un trattato sulle Quattro cause. I libri III, IV, V, VI costituiscono uno studio organico sul concetto di mutamento (movimento) e le sue implicazioni: infinito, luogo, tempo, continuo. Il VII continua, in modo tuttavia autonomo, l'analisi del Movimento, introducendo il concetto di Movente. L'VIII postula inferenzialmente l'esistenza di un Primo movente immobile ed eterno.
Nell’attuale dibattito sull’evoluzionismo e sul darwinismo, questo libro di Zubiri offre un interessante contributo da una prospettiva rigorosamente filosofica. Si delinea, infatti, una teoria del divenire, anzi, una metafisica della realtà che diviene e delle sue strutture dinamiche. Nel trattare il tema dell’evoluzione Zubiri si pone da un punto di vista formalmente filosofico: il suo approccio non si confonde né si risolve nelle indagini scientifiche delle strutture che compongono l’universo. Non si tratta pertanto di indagare in modo concreto su quanto le diverse scienze ci dicono, ad esempio, sul divenire dell’universo fisico o degli organismi, sulla loro evoluzione nel corso del tempo. Occorre invece far emergere tutti questi temi da un punto di vista rigorosamente e formalmente filosofico. Si tratta di un’evoluzione concepita in senso metafisico perché concerne nientemeno che la realtà: pur tenendo in grande considerazione l’apporto delle scienze, siamo dinanzi all’ontologia del divenire, ad una metafisica strutturale del divenire. Il dinamismo, che abbraccia tutte le strutture cosmiche, dalla più elementare alla più differenziata e formalizzata, è l’elemento costitutivodella realtà. Le essenze sono fondate le une sulle altre attraverso un processo genetico-strutturale. Ecco un’interpretazione strutturale dell’evoluzione e una lettura evolutiva delle strutture. Il significato metafisico del dinamismo è che diviene la realtà in quanto tale.
A cura di Armando Savignano
GLI AUTORI
XAVIER ZUBIRI (1898-1983) ha dedicato la sua vita alla ricerca in solitudine avendo rinunciato giovanissimo alla cattedra per motivi politici in connessione alla tragica vicenda franchista. Ha elaborato in dialogo con Ortega, Husserl ed Heidegger, un vero e proprio sistema filosofico riproponendo un ritorno alla metafisica sulla base di un’originale teoria dell’intelligenza senziente espressa in una celebre trilogia. Dello stesso autore Marietti ha pubblicato L’uomo e Dio (2003).
Un'indagine sulle strutture che costituiscono il fondamento della cultura occidentale. "Nella tradizione della filosofia occidentale, l'uomo appare come il mortale e, insieme, come il parlante. Egli è l'animale che ha la "facoltà" del linguaggio e l'animale che ha la "facoltà" della morte. Altrettanto essenziale è questo nesso nell'esperienza cristiana. La facoltà del linguaggio è la facoltà della morte: il nesso fra queste due "facoltà", sempre presupposte nell'uomo e, tuttavia, mai messe radicalmente in questione, può veramente restare impensato? E se l'uomo non fosse né il parlante, né il mortale, senza per questo cessare di morire e di parlare?"
I due saggi sul suicidio e sull'immortalità che aprono questa raccolta di scritti morali di David Hume furono pubblicati - anonimi e senza indicazione dell'editore - solo nel 1777, dopo la morte del loro autore. Con prosa lucida, semplice ed efficace, il filosofo inglese smonta implacabilmente una dopo l'altra le impalcature della morale religiosa, svelando l'infondatezza della pretesa di limitare la libertà individuale in nome delle paure e delle speranze che accompagnavano le credenze nella vita eterna, nel paradiso e nell'inferno. Le sue proposte teoriche - sui temi più disparati, dal suicidio al matrimonio, dalle relazioni tra i sessi alle virtù della castità e della modestia - sorprendono per la radicalità e l'affinità con il pensiero contemporaneo. In queste pagine Hume elabora una prospettiva secolare e naturalistica sull'etica percorrendo in modo chiaro e comprensibile analisi e argomentazioni radicate nell'esperienza comune. Ne emerge una visione equilibrata e razionale della natura umana: "paradiso e inferno presuppongono due distinti tipi di uomini, i buoni e i cattivi, mentre la maggior parte dell'umanità oscilla tra il vizio e la virtù".
Si tratta di due scritti in forma di orazione", uno di metafisica e uno di metodo filosofico. Con testo latino a fronte. "
Per chi non ha il coraggio di affrontare la lettura del Capitale, questo breve scritto di Marx ne rappresenta un utile compendio. Con testo tedesco a fronte.
In questa bellissima meditazione, un filosofo dibatte con se stesso quanto alla speranza di sopravvivere, trovandosi nell’impossibilità intellettuale e spirituale di acconsentire a qualsiasi visione ingenua di un altro mondo che dovrebbe essere un doppio, o la copia, di questo mondo. È necessario elaborare il lutto di qualsiasi immagine, di qualsiasi rappresentazione.Nel 1996 Ricoeur pone la questione: «Che cosa posso dire della mia morte?». Come «elaborare il lutto di un voler-esistere dopo la morte»? Questa lunga riflessione sul morire, sul moribondo e il suo rapporto con la morte, e ugualmente sul dopo-la-vita (la resurrezione), passa attraverso due mediazioni: testi di sopravvissuti ai campi di sterminio (Semprún, Levi) e un confronto con un libro del grande esegeta Xavier Léon-Dufour sulla resurrezione.La seconda parte del libro è composta di testi scritti nel 2004 e nel 2005, che il filosofo stesso ha chiamato «Frammenti» (sul «tempo dell’opera» e il «tempo della vita», sul caso di essere nato cristiano, sull’imputazione di essere un filosofo cristiano, sulla controversia, su Derrida, sul Padre nostro...). Testi brevi, redatti talvolta con mano tremante, mentre è già molto affaticato. L’ultimo, della Pasqua 2005, è stato scritto un mese prima della sua morte. Paul Ricoeur, grande filosofo del XX secolo, è deceduto il 20 maggio 2005.
Prefazione di Olivier AbelPostfazione di Catherine Goldenstein
Introduzione all’edizione italiana di Daniella Iannotta
DESCRIZIONE: Tra pluralità irriducibile delle lingue e possibilità di una reciproca comprensione: è questo lo spazio in cui si pone il problema filosofico, teologico ed etico della traduzione.
Nell'atto del tradurre, per Ricoeur, non solo si evidenziano le ragioni dell'ermeneutica e del dialogo interreligioso - in quanto ascolto e interpretazione della lingua di un altro testo, di un'altra fede - ma anche il senso stesso della relazione etica. I paradossi etici non sono tutt'uno con i paradossi della traduzione? Come accostarsi all'altro, lo straniero, senza ridurlo a sé? Nella mia identità non riconosco i segni di altre identità, trasmesse dalle differenti lingue? Una sfida che si compendia nella categoria di ospitalità linguistica: «ospitalità linguistica... ove al piacere di abitare la lingua dell'altro corrisponde il piacere di ricevere presso di sé, nella propria dimora d'accoglienza, la parola dello straniero».