L'Autore presenta senza pregiudizi le idee del nichilismo contemporaneo, riconducendolo giustamente alla perenne tentazione scettica di abbandonare la ricerca della verità.
"È sempre sbagliato, ovunque e per chiunque, credere a qualcosa in base a evidenze insufficienti". Queste parole riassumono il progetto filosofico di William K. Clifford e la sua critica radicale verso ogni credenza religiosa. Inserendosi da protagonista nell'infuocato dibattito tra scienza e religione dell'Inghilterra vittoriana, il giovane filosofo e matematico articolava con grande finezza e ironia il suo pensiero. Il "dovere della ricerca", nemico di ogni principio di autorità, era per Clifford una condizione necessaria, tanto che per lui esisteva "soltanto una cosa più perversa del desiderio di comandare: la volontà di ubbidire". Claudio Bartocci e Giulio Giorello presentano qui, per la prima volta in italiano, i tre saggi più importanti e affilati del filosofo-matematico inglese, tanto attuali quanto sorprendenti nella loro chiarezza.
Le parole vivono e fanno vivere ma non sono vita: la rappresentano soltanto.
Apparsa in versione integrale nel 1916, l'opera che offriamo al lettore in una nuova traduzione, accompagnata peraltro dal testo originale e da un esteso indice analitico che, in edizione italiana, restituisce la ricchezza del lessico fenomenologico (e le integrazioni editoriali apportate nel tempo al testo - fino all'ultima edizione tedesca, l'ottava), costituisce l'"opus magnum" di Max Scheler e, nell'ambito della ragione pratica, un modello di pensiero mai disgiunto dalla vita, capace di guidare, nel sentire e nei corrispondenti giudizi di valore, i nostri passi nel mondo: il nostro volere e il nostro agire. Muovendo da una concezione olistica della percezione assiologica, in linea con i più influenti orientamenti del pensiero filosofico e scientifico contemporaneo, quest'opera presenta una teoria dei valori che sfugge finalmente alla cieca alternativa del relativismo e dell'assolutismo etico e indica con precisione i criteri di correttezza dei giudizi di valore. Il volume tradisce, inoltre, l'intento più ambizioso di Scheler, quello di rifondare il classico personalismo declinandolo, appunto, nei termini di una personologia laica che, rivelando all'essere umano un possibile accesso alla propria identità personale e alla propria vocazione, tenta di strapparlo al destino. Presentazione di Roberta De Monticelli
Nell’estate-autunno del 1968 Michel Foucault incontra il critico letterario Claude Bonnefoy per pubblicare con lui un libro d’interviste. Il libro non fu mai scritto, ma resta la trascrizione del primo di quegli incontri, pubblicata in Francia solo alla !ne del 2011. In questa intervista Foucault si abbandona a un vero e proprio esercizio di parola, nel quale per la prima e unica volta racconta con sincerità e fuori da ogni accademismo non il contenuto o le teorie che stanno al fondo dei suoi libri, ma ciò che la scrittura ha significato e significa per lui, le idiosincrasie e i piaceri che vi sono connessi, le storie infantili che ne costituiscono il sottosuolo, il rapporto con la medicina e l’eredità paterna, quello con la follia e la morte da cui la sua scrittura ha preso le mosse.
La nozione della "persona umana", autentica idea portante della cultura occidentale, è oggi messa in discussione da un approccio che vorrebbe ridurre i nostri comportamenti al funzionamento del sistema nervoso centrale. In questo libro in forma di intervista Robert Spaemann, il maggiore filosofo cattolico vivente, dimostra la contraddittorietà di tale tentativo e si sofferma sulle prerogative dell'uomo, in quanto "essere capace di autotrascendersi". Muovendo dalla questione antropologica, il discorso affronta anche altri temi di capitale importanza: dalle proprietà degli organismi viventi alle nostre responsabilità nei confronti dell'ambiente naturale, dal dialogo tra la filosofia e la teologia cristiana all'ideale di una "vita buona", come principio regolativo dell'agire etico.
Le lezioni di Hegel sulla storia della filosofia costituiscono il laboratorio concettuale e terminologico del suo sistema di pensiero e delineano lo svolgimento storico che ad esso ha condotto. Tuttavia Hegel non ha mai dato alle stampe i testi dei suoi corsi, di cui resta traccia solo grazie a manoscritti, quaderni, appunti e annotazioni, autografe o dovute agli uditori. La sola traduzione italiana delle lezioni sulla storia della filosofia fino a oggi disponibile riproduceva l'edizione del 1840-44, curata da Karl Ludwig Michelet dopo la morte di Hegel. In linea con la più recente ricerca, a quel testo si è qui preferita l'edizione del corso berlinese del 1825-1826 pubblicata in Germania tra il 1986 e il 1996, a cura di Pierre Garniron e Walter Jaeschke. Il volume è corredato di un apparato di note e di un'introduzione a firma del curatore Roberto Bordoli. In appendice è data la traduzione dei manoscritti hegeliani relativi alle introduzioni ai corsi del 1820 e del 1823.
In una società sempre più governata dalla tecnologia e dalla superficialità dei rapporti umani, in cui la ricerca della verità si sta gradualmente perdendo, la filosofia della solitudine sembra l'unico modo per riscoprire il colloquio con sé stessi e con il prossimo. Questo breve volume rappresenta proprio un utile strumento per indicare al lettore, giovane o adulto che sia, una via per ritrovare un intimo dialogo di amore tra il terreno e il divino.
Una cavalcata nella storia della filosofia alla ricerca di quei pensatori che, più di altri, hanno spiegato, con le armi della ragione, la loro fede in Dio.
Semplice e immediato, questo libro è pensato per chi cerca un accesso diretto, ma non per questo banale, alla filosofia, in cui le grandi riflessioni si rapportano alla vita quotidiana così da renderle accessibili: se il Demiurgo di Platone è come la Fiat (sì, quella degli Agnelli), Aristotele e Tommaso non fanno che giocare a domino, perché c’è sempre un modo più semplice di spiegare le cose.
Simone Fermi Berto (1986) ha conseguito la laurea specialistica in filosofia presso l’Università Vita- Salute “San Raffaele” di Milano sotto la guida di Roberta De Monticelli e Roberto Mordacci. È studente della Scuola Internazionale di Alti Studi della Fondazione “San Carlo” di Modena, dove sta sviluppando un progetto di ricerca sul pensiero di Albert Schweitzer. Sta conseguendo, presso l’Università degli Studi di Parma, l’abilitazione all’insegnamento della filosofia e della storia nei licei. È docente di religione cattolica nelle scuole della Diocesi di Piacenza- Bobbio.
Il volume di Ferdinand Ulrich è allo stesso tempo un’indagine pedagogica e un’argomentazione filosofica. Il testo non è un’appendice di storia dell’educazione, ma fa di un’appassionata ricerca sulla condizione umana un’articolata dottrina. Risale al 1970, ed è tuttavia di notevole attualità proprio perché coglie il fondamento del discorso sull’uomo e sul suo destino, rompe quel silenzio sull’essenziale che oggi spesso accompagna la superficialità di tanta letteratura sull’argomento. Si tratta di un saggio di ontologia esistenziale dell’educazione famigliare di ispirazione cristiana che illumina problemi di oggi inserendoli in un quadro speculativo non privo di connessioni con la prospettiva teologico-filosofica di Hans Urs von Balthasar.
Il volume si pone fin dall’inizio la domanda se l’infanzia sia un periodo transitorio nello sviluppo dell’uomo o sia piuttosto una condizione che, per certi suoi elementi costitutivi, si riveli come symbolos della condizione umana in se stessa. Ulrich sostiene, con puntuali e persuasive argomentazioni, la seconda posizione. […]
La pedagogia oggi ha, in buona parte, divorziato dalla filosofia acquisendo un linguaggio iniziatico e metodologie d’avanguardia che tuttavia non riescono a nascondere il vuoto educativo sotteso alle formule e alle analisi. In tale contesto il libro di Ferdinand Ulrich costituisce un richiamo all’essenziale su problemi di scottante attualità. Il nucleo speculativo da cui discende tutto il discorso si riassume nell’enunciato «diventare se stesso tramite il ricevere se stesso», il che significa diventare se stessi, crescere nella propria identità prendendo coscienza che non ci siamo dati da noi, ma abbiamo ricevuto in dono la possibilità di essere quello che dovremmo essere. Gratitudine quindi, testimonianza, responsabilità. L’educazione ha come sua finalità realizzare quello che dobbiamo essere. La paideia si fonda sull’ontologia, l’ontologia a sua volta si rivela come il luogo del dono e della gratitudine. […]
Il volume offre quell’impianto speculativo, quell’organicità che non si accontenta di comprendere ma intende disciplinare secondo chiari principi ed alla luce di una spiritualità cristiana. Raggiunge il centro ontologico, e in ultima istanza metafisico, che ha il suo significato più proprio nell’essere come dono, come creatività. L’apriori del bambino, come di tutta la realtà sta in una divina, gratuita donazione. L’essere è «diffusivum sui».
Il testo di Ferdinand Ulrich può considerarsi un invito a vedere nel fanciullo una chiave di lettura della autentica realtà dell’uomo (Armando Rigobello).
Questo libro accoglie in un volume unico due opere contigue di Zolla che videro la luce negli anni novanta del secolo scorso: "La nube del telaio. Ragione e irrazionalità tra Oriente e Occidente" (1996) e "La filosofia perenne. L'incontro fra le tradizioni d'Oriente e Occidente" (1999). I due testi accostati nella loro sequenza originale gettano piena luce sulla visione filosofica maturata da Zolla nell'ultima fase della vita, dopo aver esplorato ne "La nube del telaio" il vario peso che la dicotomia "ragione" e "irrazionalità" hanno avuto nella storia delle idee filosofiche e religiose fino al XX secolo. Il salto da una ragione calcolante ostaggio del cozzo fra gli opposti, a una mente capace di riconoscersi nell'unità profonda di "io" e "universo", è l'approdo cui Zolla giungeva ne "La filosofia perenne", additando una visione della realtà in cui fisica e metafisica sono congiunte. Nella parte III, un formidabile cambio di registro ci fa partecipi degli incontri "fatali" di Zolla con un terzetto irresistibile di personaggi dell'altro ieri e di ieri: il Marchese di Sade, di cui da giovane curò le Opere, la scrittrice statunitense Djuna Barnes che incontrò al Greenwich Village nel 1968, e il geniale storico delle religioni I. P. Culianu assassinato a Chicago nel 1991. Zolla che gli fu amico, ne traccia un ritratto memorabile.
“Disapprovo ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo.” Questa frase, attribuita a Voltaire, è spesso citata dai sostenitori della libertà di parola. Eppure è raro trovare qualcuno pronto a difendere ogni espressione in ogni circostanza. Quali ne sono, dunque, i limiti? Nigel Warburton offre una guida concisa a questioni importanti che sfidano la società moderna sul valore della libertà di parola: dove dovrebbe tracciare la linea di confine una società civilizzata? Dovremmo essere liberi di offendere la religione di altre persone? Ci sono buone ragioni per censurare la pornografia? Internet ha cambiato tutto? Questa breve introduzione è un’analisi provocatoria, chiara e aggiornata dell’assunto liberale secondo cui è opportuno proteggere la libertà di parola a ogni costo.
L'autore
Nigel Warburton è senior lecturer in Filosofia alla Open University. Autore di numerosi bestseller, scrive e anima programmi radiotelevisivi su un’ampia gamma di argomenti.