In questo libro del 1956, Günther Anders muove dalla diagnosi della "vergogna prometeica", cioè dalla diagnosi della subalternità dell'uomo, novello Prometeo, al mondo delle macchine da lui stesso create, per affrontare il tremendo paradosso cui la bomba atomica ha posto di fronte l'umanità, costringendola fra angoscia e soggezione. La vergogna prometeica è legata anche a un senso di "dislivello", di non sincronicità, tra l'uomo e i suoi prodotti meccanici che, sempre più nuovi ed efficienti, lo oltrepassano, facendo sì che egli si senta "antiquato". Oltre che perfetta la macchina è ripetibile, standardizzata, riproducibile in esemplari sempre identici; quindi possiede una specie di eternità che all'individuo umano è negata. Di qui, una rivalità, una impari gara dell'uomo, una inversione dei mezzi con i fini, di cui Anders analizza con grande anticipazione tutta la portata. In particolare, là dove tratta delle tecniche di persuasione, soprattutto televisive e radiofoniche, che ci assediano con immagini-fantasma, irreali, di fronte alle quali l'individuo diventa passivo, maniaco, incapace di pensare e comportarsi liberamente.
L'interesse antropologico e la tensione etica che nutrono il pensiero di Ágnes Heller, filosofa ungherese vivente, formatasi alla "Scuola di Budapest" con G. Lukàcs e il marito F. Fehér, rendono di notevole interesse e di straordinaria attualità il suo percorso intellettuale, che questo studio si propone di ripercorrere sino alle sue ultime formulazioni, presentando per la prima volta in Italia l'evoluzione complessiva di questo pensiero. La vocazione all'analisi della realtà socio-politica del Novecento, degli eventi devastanti dei totalitarismi sia di destra e che di sinistra, colti negli effetti più distruttivi, come la Shoah e i gulag, si tramuta nella ricerca delle conseguenze del loro fallimento, nel momento in cui hanno svuotato la sfera politica di ogni tensione verso l'uomo, colto nella concretezza e nella caducità dei suoi bisogni e desideri. Se l'attenzione alla "vita quotidiana" e alla sfera dei "bisogni" diventa il fulcro dei suoi interessi, ciò non significa dotare di una svolta pragmatica e materialistica il suo pensare, bensì rilanciare l'antico spazio politico dell'agorà, inteso come ambito pubblico riempito dall'impegno collettivo e dalla pratica della giustizia, in cui trova espressione il carattere originario della vita umana. È questa riscoperta del nucleo etico, della tensione che dovrebbe informare ogni relazione umana e politica verso un essere per l'altro, e non semplicemente un essere con l'altro, che consente alla filosofa di tracciare una visione della società oltre l'individualismo e la dispersione etica attuale, per una rivalutazione della specificità dell'agire umano, finalisticamente orientato - alla maniera aristotelica - verso la "vita buona".
"La maggior parte dei nostri più imperiosi desideri è destinata a evitare, differire o esorcizzare la morte. Saperci mortali è innanzitutto saperci votati alla perdita. La cosa più grave non è esattamente non durare, ma piuttosto che tutto si perda come se non fosse mai esistito." Questo libro parla di religione, o meglio di religioni: cosa significa credere, in che cosa crediamo o non crediamo e che rapporto hanno queste credenze con la più importante di tutte, l'aspirazione all'immortalità. Ma parla anche della verità, della differenza tra credulità e fede, delle vie non dogmatiche dello spirito, delle implicazioni politiche dei fanatismi ortodossi, del ruolo della formazione religiosa nell'educazione delle democrazie laiche. E parla anche forse soprattutto - di come si può vivere di fronte all'inevitabile, senza concessioni al panico né eccessi di speranza.
È possibile cercare in Platone un aiuto alla felicità? Cosa può dare un testo di venticinque secoli fa alla ricerca di felicità e di senso, condizionata storicamente e culturalmente? E soprattutto, se l'analisi di un testo filosofico è un'operazione teorica, solitaria, "razionale" e dunque astratta, che cosa si può ricaavare circa lo star bene in questo mondo, o circa il rapporto con la politica, la giustizia, la verità, l'amicizia, la bellezza? Questo libro è la traccia scritta di una ricerca che dà risposta positiva a simili domande. Non si tratta di scoprire "che cosa ha detto Platone", ma di lasciar emergere una tensione nascosta nella scrittura, una "verità non scritta", una "forza viva", un'azione che la scrittura può esercitare su ognuno.
Una svolta epocale, ormai accaduta in Occidente, deve attrarre attenzione; i dibattiti non vertono più sulla politica,la democrazia, il capitalismo, come fu sino a venti o trent'anni fa, ma sull'uomo e sulla sua natura. Dopo la questione sociale, quella antropologica occupa imperiosamente la scena perché nuove sfide sono emerse. Riprende il dibattito tra uomo e natura ma la visione romantica della natura è dimenticata, soverchiata da quella tecnologica, mentre l'uomo è interpretato attraverso il paradigma evoluzionistico. Quest'ultimo contribuisce a rilanciare la domanda sull'etica già ben presente nella cultura. I contributi di questo Annuario ruotano intorno a tre termini-chiave: natura ( umana), evoluzione, etica, incrociati secondo varie prospettive e metodi di lettura.
Si assiste oggi a una onnipresenza dell'etica nei media, nelle istituzioni, nelle aziende, nelle professioni più disparate: ciò che Cicerone affermava di Socrate, ossia che questi aveva fatto scendere la filosofia dal cielo per introdurla nelle case degli uomini, sembra essere diventato realtà. E tuttavia i cultori di etica, i moralisti, per la natura esclusivamente formale dei loro consigli e pareri non sono in grado di incidere sulle coscienze. Emerge pertanto sempre più il sospetto che la causa di questa scarsa influenza dell'etica sulle coscienze e sui mondi della vita sia dovuta all'oblio del punto di partenza antropologico della riflessione etica. L'etica appare schiacciata tra lo sviluppo della scienza e il progresso tecnologico, rimuovendo le domande etico-antropologiche per eccellenza: «Chi sono io?», «a chi appartengo?», «quale persona voglio essere?», «quale modo di vivere è migliore e degno dell'uomo?». Dalle risposte date a tali interrogativi dipende la comprensione piena dell'uomo in quanto soggetto morale. Lungo un itinerario che dalla grecità giunge ai nostri giorni l'Autore indaga e spiega – con particolare richiamo al mondo dell'università e delle professioni – le condizioni (fondamentale l'acquisizione delle virtù) perché la vita umana, nella densità di tutte le sue espressioni pubbliche e private, possa essere una vita riuscita, una vita felice. Non è infatti il vivere da tenere nel più alto conto, bensଠil vivere bere (pp. 304).
Michelangelo Peláez (Zamora, Spagna, 1930), laureato in Giurisprudenza (Salamanca 1953) e in Diritto canonico (Università Pontificia S. Tommaso 1955), è stato ordinato sacerdote alla fine del 1955 e da allora risiede in Italia dove ha svolto in varie città il suo ministero sacerdotale e contemporaneamente coltivato i suoi studi etico-giuridici. Tra le sue pubblicazioni, oltre a numerosi articoli in riviste italiane e straniere, si segnalano: Introduzione allo studio della criminologia, Etica, professioni e virtù, entrambe tradotte in varie lingue. Dal 1994 è docente di Etica all'Università Campus Biomedico di Roma.
"La scienza occulta nelle sue linee generali", pubblicata nel 1910, costituisce una summa della dottrina spirituale antroposofica e si propone come una trattazione completa di tutti quei fenomeni non sensibili, dal sonno alla morte, dall'evoluzione del cosmo a quella dell'uomo, che l'autore sceglie però di trattare con i metodi scientifici di indagine, metodi normalmente riservati alla realtà sensibile. Lo scopo è trasformare l'uomo in una creatura capace di conoscere la sfera soprasensibile quanto quella sensibile, e di rivelargli così la sua più profonda e intima essenza: quella di un essere dotato di anima spirituale che gli permette di innalzarsi al di sopra della mera realtà fenomenica.
L'uso scientifico dei termini implica che abbiamo eliminato i "fumi della fantasia" e trovato l'esatta correlazione fra termini e concetti. Chiarezza, distinguibilità e precisione sono gli ideali - e le condizioni dell'intelligibilità scientifica. I termini sono espressioni visibili e udibili dei concetti, e un concetto è un "medium quo", un mezzo con e attraverso il quale significhiamo la cosa reale. Ma questo non è tutto e non è certo l'aspetto più importante del linguaggio, dell'uomo e della realtà. Ridurre il linguaggio a mezzo, l'uomo a un sistema di informazioni e la realtà a una rete globale di comunicazioni è un impoverimento del linguaggio, dell'uomo e della realtà. Panikkar mette in discussione l'equivalenza fra parola e termine e rivendica il potere creativo della parola, che si rinnova e si arricchisce ogni volta che è pronunciata, rinnovando e arricchendo chi la pronuncia. Il termine è solo l'ombra della parola: se si identifica la parola come termine la si inchioda a un significato specifico e relativo, impedendole di volare nel ciclo della coscienza umana.
Ritorna in libreria un'opera capitale della filosofia italiana. Risultato di una disputa con Giovan Battista della Porta, "Del senso delle cose e della magia" è una sintesi straordinaria dell'enciclopedia cinquecentesca dei saperi, nella quale la visione del mondo come un'organismo vivente viene difesa intrecciando mirabilmente scienza e credenza, rigore argomentativo e forza retorica. Scritta in una prima versione in latino, ed inviata in questa forma al Sant'Uffizio, è l'opera che è costata le prime persecuzioni al suo autore. Ad esse Campanella controbatterà riscrivendo l'opera, per lui ormai perduta, in italiano. Di questa versione italiana si restituisce un'edizione moderna, curata da una delle maggiori esperte del pensiero di Campanella, Germana Ernst.
Per Fichte l'importanza di un'introduzione alla Dottrina della scienza vera e propria subisce, nel periodo berlinese, un progressivo aumento. La questione cruciale sembra essere diventata quella di riuscire a predisporre al meglio l'uditore ad accogliere l'insegnamento comunicato nel corso principale. Per fare Dottrina della scienza bisogna cioè superare la comune concezione del sapere, come sapere di qualcosa, educando un nuovo senso trascendentale che grazie alla mediazione intellettuale sappia cogliere le cose come pure forme del sapere. Parallelamente il corso sui "Fatti della coscienza" elabora e propone però anche dei contenuti filosofici precisi, comunicandoli in modo intuitivamente più immediato rispetto alla forma spesso estremamente astratta propria della Dottrina della scienza. In questo modo esso rappresenta un'efficace presentazione, estesa dall'autore stesso, di temi e contenuti della filosofia fichtiana del tardo periodo berlinese. In questo volume si presentano i testi relativi alle lezioni propedeutiche alla presentazione del sistema che Fichte tenne all'appena fondata Università di Berlino nel semestre invernale 1810-11. Insieme alla traduzione delle lezioni sui "Fatti della coscienza", il volume raccoglie anche l'"Introduzione di Fichte alle sue lezioni filosofiche. Ottobre 1810 (Nachschrift Twesten)" e il contenuto di due fogli di pugno di Fichte intitolati "La filosofia fornisce il fondamento soprasensibile", secondo il dettato della loro prima riga.
Il concetto di "persona" è tra i più influenti e antichi della nostra cultura, nella quale sembra avere un posto centrale. Allo stesso tempo, però, il continuo processo di ampliamento della cosiddetta immagine scientifica del mondo sembra comportare un profondo mutamento del nostro modo di guardare a noi stessi, e indurci a un ripensamento circa la nostra stessa identità. Ripensamento al termine del quale non è chiaro che cosa potrà ancora rimanere del nostro essere "persona". Questa ricerca analizza il dibattito in filosofia analitica su due aspetti salienti connessi a tale tematica. Da un lato si affronta la discussione attorno alla possibilità (che si intende negare) che il discorso scientifico e oggettivo possa risultare completo nel descrivere e spiegare i fenomeni della nostra esperienza personale. Dall'altro si esamina la riflessione concernente l'identità delle persone nel tempo. A partire da un'analisi approfondita di queste due questioni il libro suggerisce una soluzione teorica originale: sia difendendo la necessità di mantenere il concetto di "persona" come irriducibile a una caratterizzazione di tipo scientifico, sia proponendo una teoria circa la persistenza personale.
L'angoscia più profonda dell'uomo, che da sempre lo accompagna, è che la morte uccida ogni possibilità di salvezza. Tuttavia Emanuele Severino ha mostrato, nella "Gloria", come la salvezza dalla morte sia una necessità, non una semplice possibilità: "L'uomo è atteso dalla terra che salva". Ma nella "cadenza primaria" di "Oltrepassare", che della "Gloria" è al tempo stesso "rischiaramento" e sviluppo, appare come in realtà "la terra che salva sia 'infinitamente' più ampia, cioè più salvatrice" di quanto lo scritto precedente lasciava intendere, e come il senso autentico del divenire "mostri una complessità che nella "Gloria" non viene ancora indicata". Severino ha dedicato molti scritti a una rigorosa messa in atto del principio aristotelico di non contraddizione. E proprio in quanto mostrava le aporie su cui si reggevano celebri edifici della metafisica il suo pensiero suscitava un provocatorio interrogativo: che cosa si apre al di là della contraddizione?