Siamo tutti ospiti della Madre Terra, uniti dall'appartenenza alla famiglia umana, legati da un sentimento di fratellanza e reciproca responsabilità e, oggi più che mai, vicini l'uno all'altro in un mondo globalizzato e apparentemente senza frontiere. Non possiamo quindi rimanere indifferenti ai conflitti che dilagano ovunque, in Paesi distanti ma anche intorno a noi, nelle nostre città.
Conflitti bollati come religiosi, e che invece tradiscono con violenza il nucleo profondo di qualunque confessioni. Da anni il Dalai Lama si occupa incessantemente del dialogo tra le fedi e ora, per la prima volta, accetta la sfida di analizzare le maggiori religioni mondiali per spiegare quali sono le basi comuni su cui potremo costruire la pace del terzo millennio.
Ripercorrendo le sue esperienze personali, gli incontri con uomini e donne comuni e con i leader illuminati di ogni credo, e passandone in rassegna gli insegnamenti, Sua Santità individua nella compassione il denominatore comune che rende sorelle tutte le religioni. Grazie a essa possiamo vedere l'altro nella sua umanità, comprenderne appieno la mentalità e capire come ognuno di noi può dare il suo contributo al benessere collettivo. In questo sentiero comune trova risposta la sfida più urgente del nostro mondo: la coesistenza pacifica tra tutte le fedi del mondo.
Il Sutra del diamante, opera indiana del II secolo, è la base di tutta la “mistica” del buddismo mahayana. Tradotto e commentato qui per la prima volta in italiano, è accompagnato da un’introduzione al senso del Sutra oggi, una disamina ermeneutica della classe di testi a cui appartiene e un’analisi dello sviluppo degli studi sul testo. Nella seconda parte del libro, il saggio di Gennaro Iorio, filosofo, già collaboratore di Raimon Panikkar al progetto The spirit of religion (2006-2008), percorre le analogie linguistiche tra il Sutra del diamante e la mistica occidentale ed esplora l’ambiente culturale in cui quelle analogie si sono sviluppate. È un breve, denso studio comparato delle due anime della mistica, quella orientale e quella occidentale.
Mauricio Yushin Marassi, responsabile della comunità Stella del Mattino, insegna Buddismo e Religioni dell’Estremo Oriente presso l’Università di Urbino. Tra le ultime pubblicazioni: La via maestra (2005); Il Vangelo secondo Matteo e lo Zen. Vol. II (2006); Il buddismo mahayana attraverso i luoghi, i tempi e le culture. Vol. I: L’India e cenni sul Tibet (2006); Il buddismo mahayana attraverso i luoghi, i tempi e le culture. Vol. II: La Cina (2009).
Risalente alI'VIII secolo, "Il libro tibetano dei morti" riporta l'insegnamento sulla vita e la morte del maestro Padmasambhava, fondatore del buddhismo tibetano e onorato dai tibetani come un secondo Buddha. Proposto per la prima volta in edizione integrale, contiene una delle descrizioni più dettagliate e intense della morte, destinate ad aiutare i morenti e chi li accompagna in questo difficile momento di passaggio. Il volume viene qui accompagnato da un commento del Dalai Lama, oltre che da un ricco apparato di note, introduzioni ai singoli capitoli e glossario, che lo rendono comprensibile e fruibile anche da un ampio pubblico di non esperti.
Questo libro raccoglie gli interventi più significativi del Dalai Lama – capo di Stato e guida spirituale dei Tibetani – sulla lotta per la libertà in corso nel suo Paese, permettendo di ripercorrere le tappe che nel tempo ne hanno segnato la visione. In questi bellissimi e appassionati testi il Dalai Lama, Premio Nobel per la Pace, propone una profonda meditazione sulla relazione tra buddismo e democrazia, combinando il concetto della responsabilità politica dell'individuo con uno stile di vita spirituale.
Nel corso dei secoli sono stati scritti innumerevoli testi sul potere, su come conquistarlo, utilizzarlo e conservarlo. Completamente nuovo è l'approccio di Thich Nhat Hanh, un vero rivoluzionario della pace impegnato a dire la verità a chi detiene il potere come a chi si crede fondamentalmente impotente. In questo libro l'autore spiega che chiunque agisca in modo consapevole e altruista è intrinsecamente dotato di potere, anche se crede di averne poco. Poggiandosi sulla millenaria dottrina buddhista, ricorda al lettore che tutti al nocciolo del proprio essere hanno un profondo intento di amore e di bontà; e ci sospinge a fare ritorno a quella sorgente primigenia, perché qualsiasi forma di potere non ha significato se non dà gioia, pace e felicità. Ma soprattutto, indicando la via per sottrarsi alla natura corrosiva del potere di Stato, ci mostra che ogni persona ha in sé fin dalla nascita la capacità di essere libera dalla paura, dall'illusione e dalla tirannia, che provengano dall'esterno o dalla propria angoscia mentale. Prefazione di Pritam Singh.
Quinto libro di versi pubblicato da Montale e uscito nel 1973, “Diario del ‘71 e del ‘72” contiene novanta componimenti nei quali il poeta ligure approfondisce i temi e i toni già presenti in “Satura”: su un cupo pessimismo di fondo si innestano quadri di feroce sarcasmo contro la società dell'epoca e un'umanità irrimediabilmente inautentica. In questo volume il testo è accompagnato da un ricco apparato di commento, a cura di Tiziana De Rogatis. Come per gli altri volumi della serie, la prefazione è firmata da un critico, in questo caso Luigi Blasucci, e la postfazione è di un poeta, qui Andrea Zanzotto.
Considerato da molti critici come uno dei libri più stimolanti e provocatori di Thich Nhat Hanh, "L'unico mondo che abbiamo" suggerisce una visione cruda e drammatica del futuro del nostro pianeta, senza però fermarsi alla sterile denuncia dello stato delle cose. Anzi, il libro si presenta come un appello accorato e ricco di speranze, dove Thich Nhat Hanh, con il suo linguaggio profondo e toccante, offre una chiara visione della via da percorrere per uscire dalla grave crisi culturale e ambientale che investe tutta la Terra: impegnarsi attivamente e in prima persona è la chiave per la sopravvivenza collettiva e individuale. La ricchezza e l'unicità di questo libro è nella grande visione d'insieme, che unisce ambientalismo e crescita interiore. "Solo combinando difesa dell'ambiente e pratica spirituale" suggerisce Thich Nhat Hanh, maestro del buddhismo impegnato "sarà possibile trovare gli strumenti per una trasformazione profonda del nostro stile di vita e insieme dell'attuale modello culturale ed economico".
Dal quattordicesimo Dalai Lama tibetano, la più importante figura del buddhismo contemporaneo, un'intensa riflessione sulla vita in forma di folgoranti aforismi. Insegnamenti di apparente semplicità che, come lampi di luce, illuminano la mente immergendola nella meditazione sui concetti più profondi. Un invito a non sprecare la propria vita, ma ad approfittarne, affrontando ogni giorno con consapevolezza e offrendo compassione, gentilezza, amore e rispetto a ogni essere vivente.
Scritto con la totale collaborazione del Dalai Lama, questa affascinante e aggiornata biografia coglie nello stesso tempo il personaggio pubblico e il perdurante mistero che si cela dietro uno dei più importanti capi spirituali del mondo. Nel 1997 il giornalista indiano Mayank Chhaya fu autorizzato dal Dalai Lama a scrivere della sua vita e dei suoi tempi. Pur non essendo egli stesso un buddista, Chhaya ha condotto oltre una dozzina di interviste individuali con il Dalai Lama a McLeod Ganj, nel nord Himalayano dell'India, sede del governo tibetano in esilio. In questo libro, Chhaya presenta un ritratto profondo e penetrante di una figura di grande interesse per milioni di persone in tutto il mondo. L'autore scrive del Tibet e della tradizione buddista da cui il Dalai Lama è emerso, aiutando i lettori a comprendere il contesto in cui si sono formate le sue credenze, la sua politica, i suoi ideali. Ne dipinge la vita in esilio e i vari ruoli che il Dalai Lama ha dovuto assumere per i suoi seguaci. Getta luce sul complicato conflitto tra Cina e Tibet e offre una visione penetrante dello scontento crescente e dilagante tra i giovani tibetani, frustrati dall'approccio non-violento all'occupazione cinese, che il Dalai Lama continua a sostenere.
Da quando il Buddha, intorno al 500 a. C, consegnò le dottrine, il dharma, ai suoi seguaci, il nuovo credo religioso prese a diffondersi in tutto l'Oriente. Dall'India si trasmise alla Cina e, nella variante Zen, raggiunse anche il Giappone, finché via via, alle soglie dell'Otttocento, cominciò a esercitare un grandisssimo fascino anche in Occidente. Damien Keown con mano sicura traccia in questo volume una mappa dell'universo buddhista affrontandone gli aspetti storici, filosofici e rituali. Il Karma, la rinascita, le quattro nobili verità, il nirvana, la meditazione, sono alcune delle principali tappe del suo percorso in questa religione dal fascino inesausto. Completa il volume una nota sul buddhismo in Italia e l'elenco dei centri buddhistici attivi nel nostro Paese. Con illustrazioni e cartine nel testo, e una bibliografia che accompagnerà il lettore nella scelta dei testi di approfondimento.
Composto probabilmente nel II secolo avanti Cristo e per tradizione attribuito al mitico figlio di Brahma, capostipite dell'umanità, il Trattato di Manu sulla norma è uno dei piú celebri testi antichi di norme etico-politico- giuridiche del mondo antico. È stata una delle primissime opere in sanscrito a essere tradotta in una lingua occidentale (in inglese, nel 1794) e ha avuto lettori entusiasti come Nietzsche.
La sua fama è legata alla vastità delle sue trattazioni, che spaziano dai criteri per l'amministrazione della giustizia alle regole per la vita familiare, dalle dottrine cosmogoniche alle indicazioni pratiche sull'alimentazione. Ma è stato anche uno strumento ideologico e di controllo sociale prediletto dalle compagini brahmaniche ortodosse e viceversa contestato da coloro che, in vari tempi e per varie ragioni (buddhisti, classi subalterne¿), si sono sentiti oppressi dalla cultura dominante. Per la prima volta tradotto in italiano direttamente dal sanscrito (sulla base della piú accurata edizione critica), il Trattato di Manu viene qui proposto come opera indispensabile per capire la cultura dell'India, al pari delle grandi saghe epiche del Mahabharata e del Ramayana.
«La fama del Manavadharma¿astra è senz'altro legata alla vastità e all'esaustività delle sue trattazioni in materia di condotta, regalità, criteri per l'amministrazione della giustizia, regole per la vita familiare, norme per la formazione degli intellettuali, dottrine cosmogoniche, pratiche ascetiche, etica religiosa, ecc. L'ampiezza e il carattere dei suoi contenuti hanno costituito la ragione del suo primato, riconosciuto sia dai commentatori classici indiani sia dai funzionari britannici ottocenteschi. Costoro se ne sono ampiamente serviti per costruire la cornice giuridica con cui hanno tentato di regolamentare e dominare il complesso orizzonte sociale e culturale delle colonie sudasiatiche.
Il Trattato di Manu sulla norma, per il suo statuto e la lunga storia della sua ricezione, è dunque un testo da cui non può prescindere chi si pone in una prospettiva comparativa consapevole della dimensione globale delle pratiche intellettuali».
Dall'introduzione di Federico Squarcini e Daniele Cuneo