Più di duecent'anni sono trascorsi da quando H.S. Reimarus sostenne la tesi del carattere giudaico della predicazione di Gesù e della natura politica della sua azione. Variamente modificata e diversamente documentata, questa tesi di un Gesù agitatore giudaico contro la dominazione romana viene periodicamente ripresa dagli uni e puntualmente rifiutata dagli altri. Il volume di Giorgio Jossa fornisce una trattazione complessiva e organica di tutti i possibili aspetti politici della vita di Gesù. Oltre a una presentazione acuta e originale dei principali movimenti di liberazione della Palestina del primo secolo, che consente di collocare storicamente la predicazione "rivoluzionaria" del profeta di Nazaret, il libro si distingue per una analisi accurata di tutti i passi evangelici che possono essere addotti a sostegno della tesi di un Gesù sovversivo, per tracciare infine con chiarezza le linee principali dell'azione e della predicazione di Gesù in rapporto ai vari gruppi palestinesi del suo tempo.
Russia, seconda metà dell’Ottocento. La questione ebraica diviene argomento di dibattito pubblico sulle pagine di giornali e riviste. Brafman pubblica Il libro del Kahal, e scatena le fantasie più pericolose dei giudeofobi russi. Kahal, da termine indicante la forma di autogoverno delle comunità ebraiche dell’Europa orientale, acquisisce ora il significato di potenza occulta che, attraverso una cospirazione planetaria, attua il programma di dominazione del mondo, dirige la mano armata del nichilismo nel suo attacco all’Europa, e realizza il progetto di disgregazione fisica e morale dell’Impero russo.
A che punto si diffonde in Russia l’idea dell’esistenza di questo kahal segreto? Perché diviene una vera e propria fissazione per un numero crescente d’intellettuali, di letterati, di funzionari, di personalità di governo dell’Impero? In che modo, dunque, la giudeofobia, da sottotesto narrativo, diviene un’accusa reale capace di scatenare terribili pogrom antiebraici?
Nel presente saggio l’autore risponde a queste così come ad altre domande esaminando la preistoria dei Protocolli dei Savi di Sion, quel testo che, come scriveva Rollin nel 1939, sarebbe divenuto il più diffuso nel mondo dopo la Bibbia. Collocandosi nel panorama dei saggi sull’origine culturale dei Protocolli in un ambiente russofono, L’ombra del kahal si scosta dai lavori più noti sull’argomento, concentrandosi sulle opere in cui la menzogna diventa realtà e fomenta violenza, disprezzo, politiche antiebraiche, e agisce duramente sul corso delle vite di milioni di sudditi russi di fede mosaica.
L’ombra del kahal è, dunque, una profonda analisi letteraria sulle origini, tra storia e mito, dell’antisemitismo russo.
Contro la diffusa opinione accademica secondo la quale "la Qabbalà è indefinibile", l'autore si propone di darne una visione d'insieme, chiara quanto possibile, per un pubblico generico, poco aduso alle sottigliezze della lingua e della cultura ebraica, ma restio, al contempo, ad ogni sorta di superficialità, fanatismo, arbitrarietà.
Il libro, pubblicato a Tel Aviv in ebraico neI 1943, riproduce il primo corso di "filosofia della società" tenuto da Martin Buber nel 1938 presso l'Università ebraica di Gerusalemme. Buber vi espose, attraverso il serrato confronto con le idee sull'uomo affermate nel passato da alcuni filosofi, la sua antropologia filosofica: l'uomo è un ente che può costruite la propria identità solo attraverso il contatto con ciò che ha la forma di un "tu", ovvero di un altro o diverso non trasformabile in cosa od oggetto, in ciò che è utilizzato o dominato; in ogni incontro con il "tu" si profila il "Tu" eterno. Il libro costituisce sia una sintetica rassegna delle varie posizioni filosofiche sull'uomo, sia un'introduzione alla filosofia buberiana.
Un volume introduttivo a Filone di Alessandria, un ebreo vissuto in Egitto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., grande esegeta della Bibbia, letta alla luce di categorie filosofiche greche. Il suo lavoro di interpretazione può essere visto accanto a quello di autori medio-platonici che, in periodo coevo o di poco successivo, rielaborano il pensiero filosofico del IV secolo e utilizzano il commento testuale come strumento di indagine e di lettura della realtà.
Pubblicato nel 1947 con il titolo ebraico Netivot be-utopia questo libro è un classico delle utopie del Novecento. Attraverso una rilettura dela tradizione socialista, anarchica e marxista, Buber propone una alternativa radicale fra lo stato, accentrato, burocratico, totalitario per vocazione, e la comunità, dialogica, decentrata, in sé già sovversiva. "Fare il possibile e desiderare l'impossibile": si condensa in queste celebri parole di Gustav Landauer il nesso tra messianismo ebraico e anarchia libertaria che Buber riprende per delineare l'utopia del domani, quella nostalgia per ciò che è giusto, da sempre promessa nella Torah. Dinanzi al pericolo di un illimitato potere planetario, una sorta di stato mondiale, viene indicato nel kibbutz, nella comune ebraica, il sentiero impervio di un socialismo anarchico e federalista che esplori e inventi gli infiniti modi in cui comunità autonome e autogestite possano dar luogo a una "comunità di comunità".
Questa pubblicazione intende proporre ai lettori italiani il cammino e la riflessione che hanno portato Pierre Lenhardt a vivere consapevolmente la propria scelta cristiana nel costante ascolto della “voce del Sinai”, sia in rapporto alla rivelazione scritta che alla tradizione orale, in quanto – dal punto di vista ebraico – sia l’una che l’altra vanno ricondotte a questo evento unico e fondante.
In queste pagine l’autore cerca di descrivere le diverse tappe attraverso le quali è arrivato a tale consapevolezza, elaborando una teologia cristiana rispettosa dei diversi doni che lo stesso Dio ha affidato a due tradizioni di fede legate fra loro da un “vincolo” inscindibile.
La testimonianza di Lenhardt costituisce pertanto un esempio di come l’ascolto onesto dell’altro possa portare ad una migliore comprensione della propria identità.
Se c'è un simbolo che tutti identificano a colpo sicuro con l'ebraismo è la Stella di David. Eppure, come dimostra Gershom Scholem in questo saggio finalmente in edizione completa sulla base del suo lascito postumo, non si tratta né di un simbolo specificamente ebraico né, tanto meno, di un simbolo dell'ebraismo. Motivo ornamentale e potente talismano, la Stella ha cambiato spesso il proprio significato. La perfezione geometrica della Stella è divenuta simbolo dell'ebraismo solo passando dal crogiolo della storia. Un libro appassionante, ancora capace di sorprendere e di farci pensare.
A partire dal secolo XIII si moltiplicano in tutta Europa narrazioni che accusano gli ebrei dei crimini più efferati contro la cristianità: crocifissioni di innocenti, assassini, cannibalismo rituale. Fra queste chimere, e in concomitanza con la crescente importanza attribuita al sacramento eucaristico culminante con l'istituzione della festività del Corpus Domini, compare e si diffonde rapidamente quella di furto e sacrilegio ai danni dell'ostia consacrata. Un evento miracoloso fa sì che, scoperti, i colpevoli siano puniti con la tortura e il rogo. Di tale fantasia persecutoria compaiono più tardi alcune trasposizioni sceniche: nell'Inghilterra centro-orientale della seconda metà del secolo XV, l'anonimo "miracle play" in volgare medioinglese "La conversione di Ser Jonathas Giudeo" - noto anche come "The Play of the Sacrament" - si distingue dalle analoghe rappresentazioni teatrali francese e italiana, oltre che per la presenza di un intermezzo farsesco, per un tono meno marcatamente virulento nei confronti degli ebrei e perché restituisce alla vicenda, in luogo della conclusione sanguinaria, quella edificante della conversione che caratterizzava le più antiche cronache e narrazioni.
I capitoli di questo volume non ricalcano il percorso seguito dalla maggior parte delle introduzioni alla letteratura rabbinica, bensì mirano a rendere i testi e le pratiche testuali rabbiniche comprensibili nella loro funzione. A questo scopo la prima parte affronta le diverse condizioni ideologiche, sociali e politiche in cui la letteratura dei rabbi ha preso forma, approfondendone ad esempio la natura collettiva e collettivistica delle sue raccolte, o prendendovi in esame il rapporto fra oralità e uso dei testi. Una seconda e più estesa parte tratta delle diverse forme culturali e letterarie che fanno l’originalità del corpo rabbinico, affrontando questioni come l’ermeneutica rabbinica, il diritto e la letteratura giuridica nella concezione dei rabbi, la dimensione folclorica dei differenti testi. Un’ultima e terza sezione illustra la letteratura rabbinica come produzione che contribuisce con sollecitazioni sue proprie alla costituzione e anche alla critica della cultura dominante, dal modo di pensare l’io, l’altro e il diverso, a questioni di genere, al modo di concepire il passato e di praticarne la memoria, all’idea di razionalità che sottostà allo stile argomentativo dei rabbi.
Judith Butler assume le posizioni filosofiche dell’ebraismo per elaborare una critica del sionismo politico e delle sue pratiche di violenza di stato illegittima. Nella sua definizione di una nuova etica politica, si confronta con pensatori come Hannah Arendt, Emmanuel Lévinas, Primo Levi, Walter Benjamin. Butler contesta la caratteristica accusa di odio antisemita che spesso viene lanciata agli ebrei critici verso Israele e sostiene una soluzione che preveda un unico stato per i due popoli, ebrei e palestinesi. Secondo l’autrice, l’etica ebraica non solo implica una critica del sionismo ma dovrebbe realizzare gli ideali politici di convivenza in una forma radicale di democrazia.
Un amplissimo arco di quasi quattromila anni, dal primo apparire, con Abramo, della concezione monoteistica alla costituzione dello Stato d'Israele. La storia degli ebrei raccontata da uno studioso che ha vissuto la tragedia della seconda Guerra mondiale. In anni in cui è ancora aperta la ferita mortale dei campi di sterminio, ricostruire una storia unitaria degli ebrei è un gesto forte e denso di memoria. Questo libro testimonia a chiare lettere la lunga vicenda di persecuzione che questo popolo ha vissuto. Una storia che è inevitabilmente anche storia di altissime intuizioni, di grandi realizzazioni e di profonde creazioni e soprattutto di una fede incrollabile nel senso universale degli eventi storici.