
Ideato per il centenario della Grande Guerra, il volume (che raccoglie gli Atti del LIV Convegno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia) presenta nuove ricerche e riflessioni sulle posizioni delle chiese evangeliche di fronte al conflitto e sui suoi costi, in particolar modo rispetto alle Valli valdesi, territorio di una minoranza religiosa nonché caso esemplare di una realtà sociale, contadina e piccolo-borghese, coinvolta nello scontro. Oltre all'analisi del dibattito teologico, delle ragioni del consenso, delle riserve e dei dissensi delle chiese protestanti di fronte alla guerra, vengono alla luce le attività di assistenza, il tragico tributo di sangue, cattolico e valdese, e la memoria del conflitto. Scritti di Andrea Annese, Gilberto Clot, Silvia Facchinetti, Franco Giampiccoli, Irene Guerrini, Annalisa B. Pesando, Luca Pilone, Marco Pluviano, Giorgio Rochat, Sergio Rostagno, Gabriella Rustici, Anna Strumia, Giorgio Tourn, Sara Tourn, Samuele Tourn Boncoeur.
«"Hanno pugnalato frèreRoger durante la preghiera della sera". Il 16 agosto 2005 sono le 22 quando ricevo sul telefono questa frase senza firma da un numero sconosciuto. Nella sua estrema sintesi, il messaggio suona terribile e sinistro. Non cerco nemmeno di capire, è tutto semplicemente impossibile. Ho come un rifiuto interiore e una profonda irritazione per una frase che mi sembra una sciocchezza di pessimo gusto. Purtroppo la notizia si rivela presto vera. Frère Roger è stato ucciso mentre pregava: l'ultima ed estrema testimonianza di un uomo di Dio che ha segnato la mia vita come quella di migliaia di giovani e meno giovani in tutto il mondo».
Fino al XV secolo cristianesimo e islam hanno convissuto nella vasta area dell'Oriente che va dall'odierna Turchia fino ai confini dell'India e della Cina. Una coesistenza che inizialmente non risultò né problematica né violenta, anzi: nei primi secoli dell'era islamica, ad esempio, gli intellettuali cristiani erano consulenti alla corte del califfo di Baghdad; esistevano sedi episcopali negli attuali Yemen e Afghanistan; quattro vescovi amministravano altrettante diocesi in Arabia; nel 1050 l'Asia Minore aveva 373 sedi vescovili. "Fino al 1250 - scrive Jenkins - si poteva pensare a un mondo cristiano che si estendeva a est da Costantinopoli a Samarcanda, e a sud da Alessandria d'Egitto quasi all'equatore". Il cristianesimo non è mai stato una faccenda solo "europea". Fin dai suoi esordi si è segnalato come una religione tricontinentale, fiorente inizialmente in Asia, quindi in espansione in Africa, soprattutto nel Nord, e infine esportata in Europa. Le vicende della storia hanno poi visto un progressivo sgretolamento della presenza cristiana in Medio Oriente, fino alle selvagge persecuzioni attuali dell'Isis. Capire perché qui le chiese rischiano la scomparsa, sgomberare il campo da facili stereotipi, rivalutare una storia perduta, è quanto ci propone questo libro di Philip Jenkins. Un saggio che è il racconto di una civiltà pressoché sconosciuta.
Nell'anno 326, secondo un'antichissima tradizione, Elena, madre di Costantino, scopre a Gerusalemme il legno della Croce. Quel 'legno' può, secondo l'imperatrice, ribadire il passaggio fisico di Cristo sulla terra e rendere più salda la fede della comunità dei cristiani, lacerata da divisioni interne. Per sollevare gli animi e stringere i fedeli attorno alla loro storia comune, Elena fa costruire un'imponente basilica sul Golgota, il 'Martyrium', emblema della passione di Cristo. Ma un luogo non è abbastanza. La basilica non può restare un guscio vuoto, bisogna dotarla di un cuore vivo, una reliquia. I Vangeli, però, lo dicono con chiarezza: non è possibile cercare il corpo di Gesù, i cristiani sono destinati ad adorare un sepolcro vuoto. La Croce, allora, può diventare il miglior surrogato di quel corpo. Quel legno intriso prima dal suo sudore, durante l'ascesa al monte Calvario, e poi dal suo sangue, durante le lunghe ore dell'agonia, può cambiare di segno e da patibolo diventare il fondamento della fede cristiana. L'imperatrice cerca, scava e infine trova: da quel momento la reliquia diviene l'emblema della Gerusalemme cristiana e la protagonista di una complessa serie di vicende, sempre al confine tra storia e leggenda, tra realtà e immaginazione.
Il vero volto di Papa Alessandro VI dopo secoli di propaganda negativa che ne hanno infangato la memoria.
Sacrilego, simoniaco, incestuoso, avvelenatore, nepotista. La storia ha sempre presentato così Papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, secondo una vera e propria “leggenda nera” che resiste tutt’oggi nell’imaginario collettivo. Nel corso del Novecento, però, non pochi storici e storiografi si sono interrogati sulla fondatezza di quelle accuse, domandandosi se esse non siano piuttosto il risultato della propaganda di molti nemici politici, primo fra tutti il Guicciardini. Questo saggio scandaglia da vicino il pensiero e l’azione del più controverso Papa della storia, dimostrando come questi in realtà fosse tollerante, frugale e liberale, attento ai movimenti monastici, devoto alla Madonna, sostenitore della pratica del rosario e dell’adorazione eucaristica.
Lorenzo Pingiotti (Teramo, 1970) è laureato in economia ed è funzionario di un Ente pubblico. Appassionato di ricerca storica, è giornalista pubblicista e collaboratore del settimanale della Diocesi di Teramo-Atri “L’Araldo Abruzzese”. È stato co-autore del Piccolo Manuale di Apologetica 2 (2006) curato da Rino Cammilleri.
Per esperienza, elaborazione teologica ed espressione letteraria, Giovanni della Croce è considerato al vertice della mistica cristiana e la sua opera risveglia ancora oggi vivo interesse anche nei campi della filosofia, della psicologia e della letteratura.I temi centrali del suo pensiero sono divenuti familiari anche ai lettori di oggi: un Dio intimo e trascendente, la fede e l’amore, la contemplazione e la preghiera semplificata, la notte oscura, il duro cammino della trasformazione.
Le caratteristiche della spiritualità spagnola del XVI secolo offrono un clima favorevole alla sua creazione originale: vita spirituale intensa, importanza dell’orazione mentale,spirito pratico e realista, mistica accompagnata da una profonda preparazione teologica, espressione letteraria di grande valore.
Agli inizi del Seicento gli scritti di Giovanni della Croce vengono letti con interesse negli ambienti degli illuminati e dei quietisti e la sua condizione di mistico di frontiera lo espone al rischio di fraintendimenti e alle denunce dell’Inquisizione. Nel 1926riceve il titolo ufficiale di dottore della Chiesa.
Teresa di Gesù, della quale si è celebrato nel 2015 il V centenario della nascita, fu una pioniera della Chiesa; una donna straordinaria che ruppe gli schemi del suo tempo per diventare un archetipo di mistica e scrittrice. Pioniera in tante cose, lo fu anche nell'essere la prima donna dichiarata Dottore della Chiesa. Donna gioiosa, che chiedeva a Dio di liberarla dai santi "incappottati", piena di tenerezza, discrezione, madre e santa in un corpo tormentato da infermità per tutta la vita, prima di morire esclamò con gioia: "Finalmente, Signore, muoio figlia della Chiesa". Questa biografia, rivolta al grande pubblico, ne ricostruisce la vita e si sofferma in particolare sulla riforma carmelitana avviata da Teresa e promossa da personaggi del calibro di Giovanni della Croce e di Jerónimo Gracián, quest'ultimo il carmelitano che le fu più vicino in vita.
Il volume prende in esame il dialogo dell’autore con i gesuiti sul Santo (1905) di Antonio Fogazzaro. Contestualizzati il romanziere e la sua opera, vengono commentati gli articoli della «Civiltà Cattolica» sul Santo. Si scopre così che la confutazione del romanzo fu imposta da Pio X e che i gesuiti cercarono di squalificare Fogazzaro, ritenendolo ignorante in teologia e accusandolo di gravi errori. Il protagonista, Benedetto, venne descritto come un paranoico e Il Santo considerata un’opera funesta. Dopo questa ultradecennale polemica, i gesuiti (e la Chiesa) intendono ora, invece, riconsiderare il Fogazzaro alla luce delle idee innovative del Concilio Vaticano II, alcune delle quali erano presenti in nuce nel Santo.
A cinquant'anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II il contributo del Card. G. Siri (1906-1989), Arcivescovo di Genova per quarantun anni, resta significativo ed originale. Fin dall'annuncio dato da San Giovanni XXIII, egli colse nell'evento conciliare, non solo l'occasione per il necessario aggiornamento in ordine al servizio della Chiesa, ma anche l'impulso che sarebbe stato dato alla missionarietà, alla crescita della vita cristiana, alla fraternità, all'ecumenismo. Fu in sintonia con i Papi del Concilio, ma anticipò anche qualche aspetto dei loro successori. Spiegò sempre che la riforma del Vaticano II non era da intendersi come una rottura con la Tradizione della Chiesa e la sua applicazione non doveva imporsi come tale. Sostenne che l'aggiornamento della Chiesa, il suo ringiovanimento consisteva nel continuo ritorno a Cristo e nella lotta contro ogni forma di mondanità. Elaborò in modo originale un percorso di rinnovamento nella prospettiva della giovinezza della Chiesa.
Come ogni dramma teatrale, ciò che manteneva alta la tensione degli spettatori era l'incertezza dell'esito. Erano in gioco due vite, quella del corpo e quella dell'anima e tutte e due rimanevano in pericolo fino alla fine: una fine che si prolungava oltre l'esecuzione, quando il corpo rimaneva esposto alla folla, talvolta squartato e infilzato sulle picche talvolta pendente dalla forca, talvolta ancora "sparato" dai chirurghi nel rito della "notomia" pubblica. La sorte del corpo e quella dell'anima entrarono a far parte dei dialoghi che si svolsero tra il condannato e la folla per incanalarsi poi all'interno del confronto tra il condannato e gli esperti nell'arte del conforto, i membri di confraternite che si specializzarono in questa funzione e che, fiorite inizialmente nell'Italia centrosettentrionale fra Trecento e Quattrocento, si diffusero in seguito in tutta Europa.
Le madri del deserto tramandateci dalla tradizione, come Sincletica, Melania, Maria Egiziaca, Teodora, Sarrha o la amma di san Benedetto, sono state a lungo e volutamente dimenticate. Attraverso questo volume, Gabriele Ziegler, le sottrae all'oblio adeguando il loro messaggio ai nostri tempi. Le madri del deserto - come afferma Anselm Grün nella Prefazione - "ci mostrano di che cosa sono capaci le donne che aderiscono a Dio e tentano di scoprire il mistero dell'uomo e del suo divenire. Possano le loro esperienze portare frutto per noi anche oggi, e indicarci le strade del nostro diventare uomini di fronte e in Dio".
Velato di drappi di seta e d'oro l'ambone, ove erano saliti il Presule Romano coi padri e tenuto un discorso alla turba, viene infine dichiarata la lettera, dalle bolle appese a fili di seta, magnifico dono di letizia. Conteneva essa in verità, da principio, la data del Laterano ma il Presule volle che invece nella sua lettera fosse annotata la data in San Pietro: e il dono fu deposto sull'altare. Di testo non dissimile fu quella inviata alla basilica del Dottore delle Genti . Il 22 febbraio 1300 Bonifacio inaugurava con solennità il primo Giubileo della storia della Chiesa, soddisfacendo le richieste dei fedeli giunti a Roma "molto più numerosi del solito, in folte schiere". In circa un mese, tra il 17 gennaio e il 16 febbraio, Bonifacio fu in grado di far elaborare un nuovo concetto di Giubileo che superava quello della tradizione ebraica, che cadeva ogni 50 anni, e che innovava quello dell'indulgenza introdotto da Celestino V nel 1294. In questo mese fu stesa una prima versione della bolla - in forma epistolare -, poi trasformata nella versione definitiva. Quella versione, apparentemente scomparsa, come spesso accade agli scartafacci, viene ora pubblicata da Federico Canaccini in questo volume in cui ne illustra le vicende, mostrandoci anche la Roma delle taverne e dei pellegrini, conducendo il lettore lungo un appassionante viaggio nel primo giubileo della storia. Una postilla dantesca del prof. S. Marchesi (Princeton University), impreziosisce il volume.