Le "virtù" di cui si parla in questo libro sono scelte, orientamenti, saperi, comportamenti e abitudini che nascono e si sviluppano solo in un ambito di condivisione e reciprocità e in contesti conflittuali nei confronti sia delle classi dominanti sia dell'isolamento, dell'individualismo e di quella competizione di tutti contro tutti. Sono anche percorsi di formazione di una nuova capacità di autogoverno necessaria per esautorare, con altri metodi e un diverso rapporto con le comunità, le attuali élite politiche, imprenditoriali, manageriali, amministrative e culturali incapaci di assicurare un futuro sia al nostro paese che al pianeta. Garantiscono a tutti un'apertura verso un "mondo diverso" e la possibilità di sottrarsi all'attesa impotente della catastrofe economica e ambientale che incombe. Ogni capitolo del libro, nel presentare una "virtù", fa in realtà riferimento a contesti di lotta e a processi organizzativi concreti in cui specifici atteggiamenti e comportamenti sono cresciuti e si sono rivelati determinanti nel promuovere un aumento sostanziale della solidarietà, della consapevolezza, dei saperi e della forza dei suoi protagonisti. L'elenco delle "virtù" prese in esame chiarisce il significato di questo approccio: dignità, accoglienza, empatia, sobrietà, conoscenza... Ovviamente non è una rassegna completa delle "virtù" necessarie a imboccare la strada che porta alla trasformazione del mondo, ma un buon bagaglio da cui partire.
A Paolo Borsellino, spazzato via venti anni fa da un'autobomba sotto casa di sua madre, in via D'Amelio a Palermo, piaceva citare dal Giulio Cesare di Shakespeare la frase secondo cui "è bello morire per ciò in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola". Il fatto è che l'omicidio di Borsellino è ormai diventato uno di quei buchi neri della storia italiana, simile in questo al rapimento Moro, in cui come in un gorgo si annodano e si raccolgono tutti i misteri, i protagonisti, le inconfessabili verità di un paese che ha sempre avuto molto da nascondere, in primo luogo a se stesso. "Questo è stato il destino del nostro eroe; e l'Italia non è un paese per eroi. La ricerca della verità sul suo assassinio implicava un contributo di onestà, che è stata soffocata. Difficile ormai che si possa recuperare il tempo perduto, perché ormai quella stessa ricerca della verità è strettamente connessa (i luoghi, i palazzi di giustizia, i contesti) con la ricerca delle ragioni della disonestà di chi doveva cercarla. E dunque, diventa un'impresa quasi impossibile." Ma quello che è possibile fare è mettere insieme tutti i pezzi, ripulirli a uno a uno e metterli nell'ordine giusto, per raccontarli a chi li ha dimenticati, o li ricorda solo confusamente. Questo è ciò che Enrico Deaglio ha fatto in questo libro. Con una nuova introduzione dell'autore.
Il grande slancio e i sogni generati dal miracolo economico ci hanno fatto credere che una crescita indefinita avrebbe permesso di garantire senza aggravi fiscali i diritti sociali ed economici. In realtà, dagli anni settanta in poi l'Italia ha pagato benessere e diritti anche ipotecando il proprio futuro. Secondo la stringente interpretazione proposta in questo volume, fenomeni come l'industria di stato, il crollo delle nascite, il Servizio sanitario nazionale hanno avuto un peso maggiore di quello del terrorismo o del compromesso storico nelle vicende di un paese che ha scelto di rinviare finché possibile il faccia a faccia con il declino demografico, il ristagno e ora la decrescita, la perdita di posizioni dell'Occidente. Appendice statistica a cura di Carlo d'Ippoliti.
È stato per più di mezzo secolo tra i protagonisti della storia italiana ed europea, accompagnando la ricostruzione e lo sviluppo del Paese dopo la seconda guerra mondiale e partecipando agli snodi decisivi del processo di integrazione europea. Dopo la militanza nelle file dell'associazionismo cattolico, l'elezione, a 26 anni, all'Assemblea costituente segna l'inizio di una vita politica vissuta, nei decenni della supremazia democristiana, ai vertici del partito e delle cariche dello Stato. Più volte ministro, dall'Agricoltura all'industria, dal Tesoro agli Esteri, è stato presidente del Consiglio dal 1970 al 1972 e presidente del Parlamento europeo dal 1977 al 1979. Dal 2003 è senatore a vita. In questa intervista con Arrigo Levi ha accettato di rivivere e raccontare per la prima volta i momenti cruciali della sua intensa vita politica. Dalla riforma agraria al piano di industrializzazione del Paese, dai negoziati europei ai rapporti atlantici, tra l'ascesa e il declino della DC.
Carlo Azeglio Ciampi per quasi quindici anni ha ricoperto diversi ambiti di responsabilità istituzionale: prima capo del governo, poi ministro del Tesoro, infine presidente della Repubblica. È possibile e forse utile provare a ragionare sul significato delle due decadi che abbiamo alle spalle e sul filo rosso della traiettoria di Ciampi all'interno del mare tempestoso che ha attraversato. Il volume nasce dalla ricerca di nuovi percorsi partendo da una selezione di temi emersi dai colloqui tra l'autore e il presidente Ciampi e dallo spoglio delle sue agende sulle quali era solito annotare appuntamenti, impegni, impressioni, talvolta commenti e giudizi. Dalla crisi finanziaria del 1992 alla caduta della prima Repubblica, da Tangentopoli alla 'discesa' in campo di Berlusconi, dall'ingresso dell'Italia nell'euro alla recente crisi economica e istituzionale: un contributo alla storia della Repubblica nel quindicennio compreso tra lo scorcio finale del Novecento e l'inizio del nuovo secolo. Ne emerge uno spaccato significativo, un punto di vista che permette di seguire alcuni snodi cruciali della transizione italiana: una griglia di interrogativi che si spingono fino a noi, alle inquietudini di un presente incerto e imprevedibile. Un'ipotesi interpretativa, uno sguardo che vuole anche essere uno stimolo per non disperdere un patrimonio prezioso di idee e di speranze.
Attraverso l'intreccio delle alterne vicende personali di Niccolò Machiavelli con la storia del suo tempo, Maurizio Viroli restituisce al lettore un'immagine inedita, complessa e inquieta dell'autore del Principe. Gli incontri con i potenti, le amicizie e gli amori, i viaggi, i successi e le sconfitte - ricostruiti anche attraverso gli studi più recenti - gettano luce sulla Firenze dei Medici, sul gioco politico degli Stati italiani del Cinquecento e sui profondi mutamenti dell'Europa all'inizio dell'età moderna. Un sorriso enigmatico "che non passa drento" accompagna sempre Machiavelli, da quando giovanissimo ascolta le prediche del "profeta disarmato" Savonarola e assiste alla cacciata dei Medici da Firenze, a quando diventa integerrimo e raffinato Segretario della Repubblica di Soderini. Quel sorriso che non si spegne né a seguito del ritorno al potere dei Medici, che destituiscono Machiavelli da ogni incarico pubblico e lo rinchiudono nelle carceri del Bargello, né quando, dopo aver quasi perso la vita, si ritira nelle campagne fiorentine e si dedica alla scrittura dei suoi capolavori della politica. I suoi consigli restano inascoltati e, ironia della sorte, la morte lo coglie mentre gli eserciti stranieri saccheggiano quella patria che ha amato più dell'anima. "Il sorriso di Niccolò" si rivela un gioco di specchi capace di illuminare, machiavellianamente, anche il nostro presente.
Non c'è sinistra senza cambiamento. Se appare conservatrice - e succede troppo spesso - la sinistra smette di assolvere il suo compito storico che è sempre stato quello di trasformare, innovare. Non si è sinistra se non si disegna, specie in un momento così drammatico, un'idea di società nuova, una visione capace di riaccendere entusiasmi. Walter Veltroni muove dal grave insuccesso elettorale e dal profondo disagio all'interno del Partito democratico nella recente fase politica per spingere a una svolta radicale. Indica tre parole chiave per dare senso a un progetto riformista: responsabilità, comunità, opportunità. Analizza la crisi della democrazia italiana e apre un dibattito sul sistema semipresidenziale e sulla ridefinizione del rapporto tra società e politica. Contro l'egoismo sociale dominante, formula la proposta, mai così esplicita, di un patto tra i produttori, tra i lavoratori senza lavoro e gli imprenditori senza impresa, un patto per una "crescita felice" fondata sulla qualità e su nuove forme di partecipazione dal basso. In questo senso vanno le proposte sull'immigrazione (con la cittadinanza ai figli degli immigrati) o quelle sui diritti civili (per il riconoscimento legale del matrimonio fra persone che si amano, a prescindere dal loro sesso). Il libro mette in discussione alcune parole d'ordine divenute luoghi comuni, da "senza se e senza ma" a "non nel mio giardino": parole d'ordine che hanno contribuito a indebolire proprio l'idea di una sinistra aperta e inclusiva.
Cosa possiamo fare noi - cittadini-attivi, consum-attori, società civile - per evitare gli sprechi di cibo, acqua, energia? Come possono le imprese prevenire perdite e inefficienze che comportano impatti economici, ambientali e anche sociali assai negativi per tutta la collettività? Cosa dovrebbero fare i nostri amministratori locali e la politica nazionale ed europea per promuovere una società che metta al bando gli sprechi a trecentosessanta gradi: non solo alimenti, acqua ed energia ma anche rifiuti, mobilità e logistica, acquisti e forniture, comunicazione... ? Come potrebbero intervenire le istituzioni internazionali per promuovere un modello di produzione e di consumo che consenta di risparmiare e rinnovare le risorse naturali limitate? Andrea Segrè tratteggia in questo libro un orizzonte che porta concretamente alla progressiva riduzione del consumo di risorse naturali e le emissioni nell'ambiente mediante il controllo e la prevenzione delle attività pubbliche e private. Una nuova visione nel rapporto fra ecologia ed economia, dove la seconda - letteralmente "l'amministrazione della casa" è parte integrante della prima: la nostra grande casa, il mondo. Ma anche una vetrina di buone pratiche - in parte già esistenti come il Last Minute Market - che se replicate su scala nazionale ed europea porteranno a una società più giusta e responsabile, equa e solidale e soprattutto sostenibile rispetto ai bisogni e ai diritti dell'umanità.
Questo libro è una scatolina che raccoglie le pillole più colorate e sottili dell'universo mentale di Giulio Andreotti. Sono istantanee dell' Italia papalina, democristiana, moderata, figlia della guerra fredda: il distillato della cultura e dell'esperienza di un professionista della politica. Ma chi le ha prescritte era convinto di regalare un vademecum della sopravvivenza a uso di tutti. Per questo sono pastiglie scritte che vanno «ingerite » con qualche precauzione: con le controindicazioni che accompagnano certe medicine leggere e innocue solo in apparenza, perché in realtà contengono impercettibili dosi di veleno.
D'altronde, Andreotti è sempre stato un teorico della «modica quantità» come garanzia della longevità. Non è stato solo un uomo di potere ma il più efficace divulgatore della cultura del potere che l'Italia abbia avuto nell'ultimo secolo.
Per decenni ha dispensato una sorta di «saggezza del cinismo» non confinata ai principi dell'arte di governo. Nell'ottica di questo «ministro a vita», prima che senatore a vita, ciò che valeva nei rapporti duri, spesso spietati della politica tendeva a impregnare la vita in generale. Per Andreotti, la separazione netta fra società civile e sacerdozio del potere sfumava quando dettava i suoi «comandamenti» esistenziali.
Le battute e gli aforismi scelti per questo volumetto ci consegnano un'Italia di «medi peccatori »; di potenti per i quali «il potere logora chi non ce l'ha»; di un'umanità per la quale «se non vuoi far sapere una cosa non devi dirla neanche a te stesso». Per Andreotti non esistono bugie ma solo «verità parziali», perché mentire, spiega nel suo pessimismo cosmico, non è solo una necessità di chi comanda ma di chi vive. È la filosofia di un personaggio che dalla fine della DC e della Prima Repubblica teorizzava: «Io sono postumo di me stesso». Ma riflette una mentalità che, senza rendersene conto fino in fondo, l'Italia - o almeno un'Italia - si tramanda da generazioni.
Forse da secoli.
Sappiamo che il potere si sta spostando: da Ovest a Est e da Nord a Sud, dai palazzi presidenziali alle piazze e al cyberspazio, dai formidabili colossi industriali alle agili start-up e, in modo lento ma inesorabile, dagli uomini alle donne. Chi oggi si trova in posizioni di potere è più vincolato, ha meno margini operativi e rischia di perdere il posto come mai prima d'ora. Il potere sta diventando più debole ed effimero: è divenuto più facile da conquistare, ma più difficile da esercitare e più semplice da perdere. Ne "La fine del potere", Moisés Naím, giornalista ed ex direttore di "Foreign Policy" illustra la lotta tra i grandi protagonisti un tempo dominanti e i nuovi micropoteri che li sfidano in ogni ambito dell'azione umana. Una contrapposizione, quella tra micropoteri ed establishment, che può sfociare nel rovesciamento dei tiranni o nell'eliminazione dei monopoli, ma anche condurre al caos e alla paralisi. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, nell'ambito degli affari come in quello della religione, dell'istruzione o della famiglia, in pace come in guerra: nel 1977, ottantanove paesi erano governati da autocrati, mentre oggi oltre la metà della popolazione mondiale vive in regimi democratici; nella seconda metà del 2010, i primi dieci fondi speculativi del mondo hanno registrato profitti superiori a quelli complessivi delle sei banche più importanti; gli amministratori delegati sono sottoposti a maggiori vincoli...
Governare una città come Roma, la Città Eterna, la Capitale, non è certo facile. Soprattutto se ti trovi a farlo durante la più grande crisi economica del dopoguerra e in un momento storico nel quale lo scontro politico va radicalizzandosi sempre più. Questo è ciò che sta facendo Gianni Alemanno che, in questo libro-intervista con il giornalista del "Corriere della Sera" Corrado Ruggeri, svela aspetti della sua personalità, dura e spigolosa ma anche schietta e autentica, le motivazioni del suo agire, i suoi sogni per una città e un Paese "migliori di quelli che ha trovato". Come scrive Ruggeri, "Gianni Alemanno ha, come tutti, un cassetto dei sogni dentro il quale custodisce una città dove l'uomo si possa riscoprire deus e non lupus nei confronti dell'altro, dove la solidarietà sia una ragione di vita, dove le idee siano coraggiose e il coraggio sia al servizio delle idee."
Il costituzionalismo ottocentesco, come dottrina politica nasce con un marchio classista che l'oppone alla democrazia. Ma basta aprire la nostra Costituzione all'articolo 1 per vedere quanto lungo sia stato il cammino che da allora è stato compiuto: "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro". A questo ha condotto l'ascesa delle masse popolari, cioè del mondo del lavoro, alla vita politica e l'accesso alle istituzioni. In una parola, c'è stata la diffusione della democrazia, sia nella sua dimensione politica che in quella sociale. Il riconoscimento del lavoro come fondamento della res publica, cioè della cosa o della casa comune, significa compimento di un processo storico d'inclusione nella piena cittadinanza. L'articolo 3 della Costituzione è uno svolgimento dell'articolo 1: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono [...] la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". È bene tenerlo a mente, nel momento in cui azioni diverse compromettono il significato costituzionale del lavoro, e al tempo stesso, la dignità del lavoratore.