I figli dei bancari ereditano il posto del padre. Le mogli dei ferrovieri viaggiano in treno gratis. I sindacalisti sono esentati dai contributi pensionistici. I giornalisti non pagano nei musei. Piccole cose, rispetto agli scandali dei nostri conti pubblici? Tutt'altro: sono i segni rivelatori di una rete di privilegi e ingiustizie, in gran parte sommersa, che copre l'intero Paese e blocca ogni riforma. Così paghiamo conti salatissimi imposti dai cartelli delle varie categorie. Così lo Stato foraggia - con le nostre tasse notai, giornalisti, farmacisti e mille altre lobby. Così uno spaventoso 53 per cento degli italiani rimane intrappolato nel suo ceto d'origine e dagli anni Ottanta la disuguaglianza sociale è cresciuta del 33 per cento. E l'Italia si disgrega in mille rivoli di interessi privati. In questo libro documentato e appassionato, Michele Ainis individua il ganglio fondamentale su cui si gioca la prossima, decisiva, partita dell'Italia: liberarci dalla dittatura degli interessi privati per diventare un Paese dinamico e competitivo. Come? Grazie a una vera liberalizzazione, con leggi ferree e senza eccezioni. Come scrive Ainis, "Non resta che la rivoluzione. Pacifica, ordinata; ma senza dispense né indulgenze, senza salvacondotti per i vecchi vassalli e valvassori. Di eccezioni, fin qui, ne abbiamo sperimentate troppe. Ora è il tempo della regola".
Che cosa è la moralità? Si può forse portare la legge morale nella vita sociale, applicarla alle relazioni internazionali? E ammettendo che vi trovi posto, questo posto sarà il primo? Quando c'è conflitto tra la legge morale e la politica forse che la legge morale non deve dire l'ultima parola? Ecco il problema". Dal pensiero di Sturzo emerge fortemente il concetto della necessità di limitare il potere politico e la sua etica, per opporvi il perseguimento del bene comune e la difesa del valore della persona. Tutto ciò è indispensabile per evitare la crisi della democrazia: la crisi dell'identità unitaria dello spinto collettivo e l'abbandono di una finalità etica dello Stato. Apre questa raccolta di scritti di Sturzo, curata da Cecilia Dau Novelli, il celebre appello "Ai liberi e forti", scritto all'indomani della Grande Guerra, in un momento di grave incertezza politica. Non fu - come ha scritto Gabriele De Rosa, un documento ideologico di partito che parlava ai soli militanti, né segui le logiche interne alla vecchia opposizione cattolica, ma piuttosto un documento nuovo che venne rivolto ai cittadini dello Stato italiano - anche se sulla carta ancora sudditi del Regno - che avevano consolidato il diritto di cittadinanza e di voto con il sangue versato nelle trincee del Carso.
"Oggi c'è un forte risentimento contro la classe politica per i suoi troppi privilegi, per il malcostume diffuso, per i costi, l'arroganza, l'inefficienza, la corruzione. Ma in realtà esiste una questione molto più profonda, che questo libro intende affrontare, e che riguarda il ruolo stesso della politica nella società. È radicata l'idea che sia la politica a determinare il benessere di un paese. E che, cambiando maggioranza, o cambiando leader, si possano ottenere cose che in realtà non dipendono dalla politica. E che non dipendono neppure dalla capacità di lottare per ottenerle. Questo non significa che la politica non sia importante, anzi. Ma soltanto se riesce a stimolare e a far crescere in modo prioritario quei "software", quei motori dello sviluppo che sono i veri produttori di ricchezza. E anche i veri attrattori di investimenti. Ma è così che funziona la politica in Italia?" Andando al di là delle polemiche quotidiane, Piero Angela ci offre un punto di vista diverso e illuminante per mettere a fuoco il vero problema del nostro paese.
Da sindacalista della Cgil, poi da ricercatore, professore di diritto del lavoro, avvocato, editorialista del "Corriere della Sera", e per qualche tratto anche come politico in Parlamento, Pietro Ichino ha spesso sostenuto tesi scomode per l'establishment, di sinistra e di destra, contribuendo in modo incisivo all'evoluzione del sistema italiano delle relazioni industriali e raccogliendo tanto consensi ed entusiasmo quanto critiche e contestazioni. Per via delle sue proposte è stato accusato di eresia e addirittura di "intelligenza con il nemico", di essere cioè un portatore di idee liberiste infiltrato nel centrosinistra. Attraverso un'avvincente inchiesta, un vero e proprio interrogatorio senza esclusione di colpi, Ichino risponde a tutte le obiezioni e le accuse ricevute in questi ultimi anni, messe in bocca a un immaginario interlocutore-inquisitore, affrontando i temi fondamentali del lavoro in Italia. E grazie ad analisi precise ed esempi concreti mette a nudo i meccanismi segreti di un sistema drammaticamente ingessato, prigioniero dei propri tabù e delle proprie caste. Un paese in cui vige un regime di vero apartheid tra lavoratori protetti e non protetti, dove agli stabili regolari è riconosciuta una sorta di job property, mentre agli outsiders e ai new entrants, ben che vada, si offrono soltanto i posti di serie B, C e D, con un futuro pensionistico misero, destinato a maturare soltanto dopo i settant'anni. Un sistema chiuso da un tacito accordo protezionistico...
Nel XX secolo il movimento dei lavoratori e le sue istituzioni di riferimento erano associati alla speranza. Oggi questo sguardo rivolto al futuro sembra scomparso, soprattutto nel nostro paese. La politica è in crisi e i partiti non hanno più la forza di attrazione che avevano nel Novecento. Accanto a loro perde credibilità anche la rappresentanza delle forze sociali e i sindacati non godono di molta popolarità. Si è infatti diffusa, in questi ultimi decenni, l'immagine che il sindacato difenda solo strati limitati di lavoratori, che non si faccia carico delle nuove generazioni e del mondo del precariato. È davvero così o il sindacato può offrire una spinta verso il cambiamento? Ha realmente esaurito le sue energie e il suo operato si rivolge soprattutto a chi è in pensione e ha già vissuto gran parte della propria vita? Oppure è in grado di raccogliere la sfida che gli pone il nuovo millennio, con la rivoluzione informatica, la globalizzazione e un mercato. E ancora, da almeno un ventennio il sindacato rivendica di occuparsi di "diritti" e non soltanto di condizioni materiali di lavoro: ma i diritti che rapporto hanno con le condizioni materiali? Quali sono inalienabili e quali no? E perché da questi diritti sono sempre escluse le donne, che pagano il prezzo più alto in termini di disoccupazione e squilibri salariali? Susanna Camusso, Segretario generale della Cgil, risponde a questi interrogativi.
Nel mondo di oggi il disordine internazionale corrisponde a una distribuzione non univoca del potere politico ed economico. Ma come si è formato questo quadro, e quali sviluppi lascia intravvedere? Tecnologia, strutture economico-sociali, norme giuridiche, globalizzazione sono concetti che rientrano nel linguaggio corrente, senza che ne siano chiare le origini e la valenza. Interpretare tali questioni è l'intento di questo volume, che si propone di individuare i modelli che, a partire dalla nascita dello stato moderno e delle rivoluzioni industriali, sono alla base della visione globale dei problemi internazionali. Di Nolfo ripercorre secoli di storia e si sofferma sugli anni della Guerra fredda, con l'affermazione della pax americana nei suoi aspetti politici e finanziari. La fine della Guerra fredda appare come la conferma storica dell'egemonia americana ma ne mostra anche tutti i limiti. L'emergere di altri soggetti, pur non scalzando gli Stati Uniti dalla loro posizione di superpotenza, li obbliga a misurarsi con dinamiche sempre più complesse e ad affrontare la sfida costituita dal pluralismo del mondo contemporaneo. Quali scenari ci aspettano nel futuro?
Ilvo Diamanti ha pubblicato qualche anno fa un "Sillabario dei tempi tristi": si augurava allora che il vento cambiasse, ed è certamente cambiato. Ma invece di sospingerci verso porti sicuri, ci ha lasciato in mezzo al mare. Senza certezze e senza destinazioni precise. In questi "tempi strani", la politica è governata dai tecnici e dai mercati, mentre i valori si quotano in Borsa. È dunque lecito sentirsi un po' sperduti. Così dobbiamo ingegnarci a leggere la realtà che ci sta intorno e i mutamenti che la attraversano cercando parole nuove. Talora mute. Attraverso definizioni indefinite e riferimenti privi di significato preciso. Semmai, caricati di molti, diversi significati. È ciò che si propone questo nuovo "Sillabario", che si snoda attraverso trentasei voci. Da "Autobus" a "Val di Susa", da "Bamboccioni" a "Hedge fund", da "Multitask" a "Tardivo digitale". Bussole e mappe che servono a orientare i perplessi e gli spaesati. Categorie di cui lo stesso Diamanti ammette di fare parte: "A me, almeno, capita di sentirmi così. A mia volta, un po' strano. E sperduto. È per questo, anche per questo, che cerco sempre di dare un nome, un cognome, e a volte anche un soprannome, agli eventi che si succedono. In politica e nella società. Per dare un senso alle cose. Per situarle. Per situarmi. Anche se non è detto che tutti gli eventi abbiano un senso oppure una posizione. Ma attribuirlo aiuta". Perché viviamo "tempi strani" ma aperti. Nei quali non bisogna rassegnarsi. Ma capire e (re)agire.
La crescita della Cina è destinata a scalzare gli Stati Uniti dalla loro posizione dominante? Probabilmente no. La logica della strategia dei grandi imperi finirà infatti per imporre la propria legge, fermando la corsa cinese verso la supremazia. Il problema è come ciò potrà accadere. Una rapidissima crescita economica, che continua nonostante la crisi, combinata con ambizioni di influenza politica planetaria e con il rafforzamento militare, non può che destare preoccupazioni, e scatenare l'opposizione delle altre potenze. La peculiare storia della Cina, Paese grande e a lungo isolato, circondato da territori scarsamente popolati, ha prodotto intere generazioni di leader con una debole propensione alle relazioni internazionali. Ma questi stessi leader ora sono chiamati a una sfida cruciale: accettare una crescita sbilanciata, economica ma non militare, o aprire a una vera democrazia. Solo così la loro nazione potrà espandere pacificamente la sua influenza liberandosi dai conflitti che premono ai suoi confini. In caso contrario, la resistenza globale colpirà anche la crescita economica cinese, scatenando una pericolosa instabilità. Edward N. Luttwak racconta in questo libro il presente e il futuro di una terra ancora misteriosa ma ormai centrale per le sorti del mondo. "Non guardo a questo Paese e alla sua gente da osservatore distaccato, ma da persona che ne condivide speranze e preoccupazioni" scrive. Tra queste ultime, la principale è la rotta di collisione tra Cina e America.
C'è il re delle cliniche romane che compra un ospedale da don Verzè e pochi mesi dopo lo rivende allo Stato guadagnandoci quasi il 20 per cento. C'è il "very powerful executive chairman" che fa precipitare le azioni della Telecom appena privatizzata e una decina d'anni dopo torna alla carica per rilanciare un marchio automobilistico decotto grazie a improbabili investitori indiani, o forse cinesi, risultato: fallimento. C'è il finanziere amico dei politici che fa crac dopo aver intascato per sé e regalato ai figli decine di milioni della società quotata in borsa. C'è l'imprenditore turistico che ricicla i soldi dei boss, il faccendiere che era iscritto alla P2 in affari con un ex assessore di Cl... Insomma, la razza padrona degli anni Settanta si è trasformata nella razza stracciona di oggi. Intrecci pericolosi tra banche, fondazioni, assicurazioni e poteri pubblici locali e nazionali, connivenze tra controllori e controllati, meccanismi di selezione che premiano familiari e amici indipendentemente da meriti e capacità, una concezione distorta dell'impresa, incompatibile con le regole del capitalismo evoluto e moderno: sono solo alcuni dei vizi della nostra economia e della nostra società che Sergio Rizzo analizza in questo romanzo horror in forma di inchiesta. Non ci è rimasto molto tempo, per evitare che a finire in liquidazione sia tutta l'Italia.
Il mondo intorno a noi ha smesso di esserci familiare. Molte certezze, sulle quali avevamo costruito la nostra esistenza personale e la nostra identità sociale, sono venute meno. Guardiamo al futuro con preoccupazione. Le vecchie ricette per la soluzione dei problemi non funzionano più. I politici (ma anche gli studiosi) sembrano brancolare nel buio. Questo libro nasce per cercare di capire, e di spiegare, quello che è successo. Capire, naturalmente, è il primo passo per poter decidere, per agire in modo tale da aprire il cammino alla speranza. Ci muoviamo dunque fra uno sforzo di comprensione ed un tentativo di formulare un programma politico. L'autore, del resto, dopo avere passato la prima metà della vita da professore nello sforzo di capire il mondo sta consumando adesso la seconda metà nel tentativo di cambiarlo.
"Avevo il dovere di scrivere questo libro. Perché ho due figli ventenni che affrontano, come tutti i loro coetanei, il mercato del lavoro più difficile dai tempi della Grande Depressione. Perché devo rispondere delle mie responsabilità: appartengo a una certa generazione della sinistra occidentale che ha creduto di poter migliorare la società usando il mercato e la globalizzazione. Ho voluto sfogliare il mio album di famiglia, la storia che ho vissuto con un pezzo della sinistra italiana, per capire le ragioni delle nostre sconfitte, quindi aprire una pagina nuova. Plutocrazia, tecnocrazia, populismo, autoritarismo sono i mali che minacciano le nostre democrazie. L'Italia è un piccolo laboratorio mostruoso di queste patologie. Avendo vissuto un'esperienza pluridecennale da nomade della globalizzazione - in Europa, in America, in Asia - ho il dovere di dire ciò che è accaduto all'immagine del nostro paese nel mondo. Devo raccontare dal mio osservatorio attuale nell'Estremo Occidente" quali sono i costi dell'era Berlusconi, e anche le radici profonde del berlusconismo, che gli sopravvivranno, i vizi di un'Italia "volgare e gaudente" con cui dovremo fare i conti anche dopo. Che cosa farà questa Italia "da grande"? C'è ancora speranza? Alla sinistra indico le possibili vie d'uscita attingendo alle mie esperienze nelle nazioni emergenti, dall'Asia al Brasile: perché non possiamo farci risucchiare in una sindrome del declino tutta interna all'Occidente."
Mai un intero paradigma produttivo, il nostro, era stato così fortemente messo in discussione come oggi, squassato dallo spostamento dell'asse mondiale della ricchezza. Enormi diseguaglianze e una guerra su scala mondiale per il lavoro ci hanno portato a una situazione peggiore rispetto agli anni Settanta. È doveroso, tuttavia, non arrendersi e cercare strade nuove, avere una capacità di visione. Possiamo farlo se dedicheremo ogni risorsa verso ambiziose opere di ricostruzione del futuro. Come in una partita a scacchi, dovremo poter contare su due buone torri d'attacco, un alfiere attento, e una regina che si svegli dal suo torpore: giovani, imprenditori, opinione pubblica e soprattutto una buona politica. Una visione del mondo e del proprio Paese, in nome di quella che Piero Gobetti chiamava "una certa idea dell'Italia".