Obbligato per decenni ai margini del dibattito politico per il suo apparente anacronismo, il neofascismo, nelle sue diverse declinazioni storiche, ha invece riassunto oggi le vesti di uno scomodo convitato. Non è il ritorno a vecchie organizzazioni che si erano incaricate di raccogliere, in età repubblicana, il lascito mussoliniano. Men che meno degli spettri, mai del tutto dissoltisi, di quest'ultimo. Semmai assistiamo a una riformulazione culturale e antropologica della sua attualità in quanto sistema di rapporti e relazioni politiche per i tempi a venire. L'asticella non è rivolta al passato bensì al futuro. Se le società europee si trasformano dinanzi all'incalzare della globalizzazione, così come nella secca riconfigurazione della stratificazione sociale, il neofascismo del presente è in grigio: si propone come il soggetto che intende difendere la «differenza»: nazionale, etnica, in prospettiva razziale. Tanto più in età pandemica, nella crisi delle democrazie sociali.
La vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, figlia di due attivisti per i diritti civili immigrati in America, è cresciuta a Oakland, California, in una realtà molto attenta alla giustizia sociale. Mentre si affermava come uno dei leader politici più influenti del nostro tempo, la sua storia personale restava la fonte di ispirazione per affrontare problemi complessi prendendosi cura di chi non aveva mai ricevuto attenzione. In "Le nostre verità", Kamala Harris affronta le sfide del nostro tempo: attingendo agli insegnamenti e alle intuizioni conquistate durante la sua carriera, grazie all'esempio di coloro che l'hanno maggiormente ispirata, racconta la sua visione, un impegno quotidiano fondato sulla difesa di obiettivi e valori condivisi. La storia della vicepresidente americana Kamala Harris, un libro per guardare alle verità che ci uniscono, e imparare a difenderle.
Ottobre 2020: per la prima volta nella storia della magistratura un ex membro del Csm viene radiato dall'ordine giudiziario. Chi è Luca Palamara? Una carriera brillante avviata con la presidenza dell'Associazione nazionale magistrati a trentanove anni. A quarantacinque viene eletto nel Consiglio superiore della magistratura e, alla guida della corrente di centro, Unità per la Costituzione, contribuisce a determinare le decisioni dell'organo di autogoverno dei giudici. A fine maggio 2019, accusato di rapporti indebiti con imprenditori e politici e di aver lavorato illecitamente per orientare incarichi e nomine, diventa l'emblema del malcostume giudiziario. Incalzato dalle domande di Alessandro Sallusti, in questo libro Palamara racconta cosa sia il "Sistema" che ha pesantemente influenzato la politica italiana. "Tutti quelli - colleghi magistrati, importanti leader politici e uomini delle istituzioni molti dei quali tuttora al loro posto - che hanno partecipato con me a tessere questa tela erano pienamente consapevoli di ciò che stava accadendo." Il "Sistema" è il potere della magistratura, che non può essere scalfito: tutti coloro che ci hanno provato vengono abbattuti a colpi di sentenze, o magari attraverso un abile cecchino che, alla vigilia di una nomina, fa uscire notizie o intercettazioni sulla vita privata o i legami pericolosi di un magistrato. È quello che succede anche a Palamara: nel momento del suo massimo trionfo (l'elezione dei suoi candidati alle due più alte cariche della Corte di Cassazione), comincia la sua caduta. "Io non voglio portarmi segreti nella tomba, lo devo ai tanti magistrati che con queste storie nulla c'entrano."
Alcide De Gasperi che dismette i panni di statista e si rivela nell’insolita veste di fidanzato, marito e padre. Francesca Romani, sua moglie, che per la prima volta si presenta non solo come moglie, ma anche come donna intelligente, colta e coraggiosa. Sono semplicemente Alcide e Francesca: due vite intrecciate in una grande storia familiare capace di affrontare a viso aperto le onde alte del Novecento. Una vicenda che per la prima volta rivive grazie all’apporto di un’ampia documentazione epistolare inedita.
Paola De Gasperi è nata a Roma nel 1933 ed è la più giovane delle quattro figlie di Alcide De Gasperi e Francesca Romani. Da anni contribuisce alla memoria dei genitori portando la sua testimonianza in incontri e conferenze. Per la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi ha scritto L’Accordo De Gasperi-Gruber nell’opera e nel pensiero di mio padre (2011), e con la sorella Maria Romana ha curato il volume De Gasperi scrive (San Paolo, 2018).
Marco Odorizzi è nato a Trento nel 1987. Dal 2016 è direttore della Fondazione Trentina Alcide De Gasperi, che a Pieve Tesino gestisce il Museo della Casa natale dello statista. Laureato in storia, è autore di vari saggi e articoli su riviste.
«Il Pci ha saputo leggere e interpretare per decenni domande di libertà, uguaglianza, riscatto sociale, facendole vivere in battaglie democratiche in cui si sono riconosciuti milioni di italiani. Alla fine del secolo il suo tempo si è consumato, ed è stato atto di lucida saggezza andare oltre per costruire un futuro nuovo. È un cammino che deve continuare». Il Partito comunista italiano nasce il 21 gennaio 1921 con il Congresso di Livorno e cessa la sua attività il 3 febbraio 1991. Settanta anni nei quali il Pci è stato protagonista di ogni passaggio della vita politica e sociale dell'Italia. Nato sull'onda della Rivoluzione d'ottobre per realizzare una società sovietica anche in Italia, nell'arco di pochi anni è investito dalla bufera del fascismo. Costretto alla clandestinità, è il principale animatore prima del contrasto alla dittatura, poi della Resistenza. Matura così, nella lotta per la democrazia e la libertà, un'evoluzione culturale e politica che lo porta a essere partecipe essenziale della costruzione della Repubblica e della scrittura della Costituzione. Divenuto il più importante partito comunista dell'Occidente, forte del pensiero di Antonio Gramsci, intraprende un cammino politico che - prima con la «via italiana al socialismo» elaborata da Togliatti, poi con il «compromesso storico» proposto da Enrico Berlinguer - assume la democrazia come il regime politico entro cui far valere i valori e le lotte di emancipazione e giustizia, sottoponendo a dura critica il socialismo sovietico e ricollocandosi come uno dei principali partiti della sinistra democratica europea. Baluardo nella difesa della democrazia contro lo stragismo nero e il terrorismo rosso, acquisisce crescente consenso nella società fino a raccogliere oltre il 30 per cento dei voti degli italiani e a essere partecipe di una larga intesa democratica per il governo del paese. Un cammino che, di fronte alla caduta del Muro di Berlino e alla dissoluzione del campo sovietico, cui Piero Fassino - protagonista, fin dagli anni della Fgci torinese nel '68, della vicenda del Pci prima, del Pds e del Pd poi - ripercorre la lunga «traversata del deserto» dalla rivoluzione alla democrazia: un passaggio complesso, decisivo per la politica italiana che, se produsse lacerazioni non ricomposte a sinistra, consentì però l'avvio di una nuova stagione di impegno per dare all'Italia un partito progressista nell'alveo del riformismo socialista europeo.
Questo volume, già tradotto negli Stati Uniti, presenta una analisi del significato e delle possibili conseguenze dell'elezione di Biden per la storia del cattolicesimo e dal punto di vista dei rapporti tra la politica americana, il Vaticano e la Chiesa globale. Joe Biden è il secondo presidente cattolico, dopo John Fitzgerald Kennedy (1961- 1963), ed è stato il quarto a candidarsi (Al Smith nel 1928 e John Kerry nel 2004) per ricoprire quella carica politica, ma anche morale e in certo modo religiosa, che è la presidenza degli Stati Uniti. Biden rappresenta un Paese diviso al suo interno come non mai dai tempi della guerra civile, ma anche un mondo cattolico in crisi e polarizzato al suo interno su molti temi. Il nodo centrale resta la combattuta e controversa eredità del Concilio Vaticano II e le conseguenti scelte in merito alla giustizia sociale, ai modelli economici, all'ambiente, ai rapporti con culture e religioni diverse.
Tutto il mondo parla di Kamala Harris. Come ha fatto la figlia di due immigrati, nata nella California ancora segregata, a diventare la prima vicepresidente donna nera degli Stati Uniti? Se Kamala deve a qualcuno il suo posto nella storia, quel qualcuno è la donna che la mise al mondo a Oakland nel 1964, dandole il nome di una dea indù, perché «una cultura che venera divinità femminili produce donne forti». Sua madre era una ricercatrice indiana emigrata in California a 19 anni in cerca di una vita e un'istruzione migliori. Suo padre, un professore di economia giunto negli Stati Uniti dalla Giamaica per gli stessi motivi. Kamala assorbe in famiglia l'insofferenza per l'ingiustizia sociale e impara a non farsi spaventare dalle porte chiuse. Al pari dei suoi compagni della Howard University, l'ateneo nero di Toni Morrison, sente di poter diventare qualunque cosa. «Eravamo giovani, talentuosi e neri, e non avremmo permesso a niente e nessuno di sbarrarci la strada.» Etica del lavoro, determinazione, volontà di ferro sono le sue armi. E con queste sfonda molti muri e inaugura la sua collezione di prime volte: nel 2003 procuratrice distrettuale di San Francisco, nel 2010 prima procuratrice generale nera nella storia della California. Nel 2016 è eletta senatrice: è la prima afro-asio-americana. E se con queste stesse armi ha perso una battaglia, le primarie presidenziali, ha vinto però la guerra: la vicepresidenza degli Stati Uniti. Da procuratrice, si batte contro gli abusi sui minori, i crimini d'odio, la dispersione scolastica. Da candidata in lizza per la nomination democratica contesta a Joe Biden la sua antica collaborazione con due senatori contrari agli scuolabus per l'integrazione razziale: «C'era una bambina, in California, che ogni mattina prendeva uno di quegli autobus. Quella bambina ero io». Parole che hanno fatto il giro del mondo, utilizzate dai suoi sostenitori quanto dai suoi detrattori. Certo è che quello stesso Joe Biden l'avrebbe poi scelta come numero due della Casa Bianca. Kamala si era fatta notare. Ancora una volta, a modo suo.
Il volume della Fondazione Lazzati è frutto di un lavoro di incontri di studio, approfondimento e confronto realizzati con un gruppo di giovani, per rileggere l'insegnamento di Giuseppe Lazzati e riflettere su come il messaggio del professore fosse ancora attuale. In particolare, ci si è interrogati sul senso dell'impegno socio-politico, per non lasciare che tale ricchezza andasse perduta, provando a ragionare in modo comunitario su come potrebbe essere una formazione socio-politica. Pensare insieme comporta la fatica dell'ascolto, l'umiltà di confrontarsi e perfezionare il proprio ragionamento, la pazienza per i tempi che si allungano. Ma questa modalità produce contributi ben radicati nel terreno, non costruiti sulla sabbia dell'emozione del momento, in grado di affrontare la temperie della discussione e di concorrere stabilmente all'edificazione della città dell'uomo. «La formazione all'impegno socio-politico non è nella top ten del gradimento dei giovani o tra le priorità del mondo cattolico. Ma se si riveste della capacità profetica richiamata da papa Francesco in Laudato si' e Fratelli Tutti essa appare un modo per abitare il mondo. Impegnarsi è mettersi in gioco perché le scelte quotidiane si trasformino in responsabilità per i fratelli e per le creature dono di Dio creatore. Un giovane ha bisogno di scoprire non solo chi è, ma "per chi è". Nello spendersi trova risposte agli interrogativi profondi della sua vita. Allora si capisce che la sfida da giocare è a livello intergenerazionale. Un investimento sui giovani è un segno che il vento dello Spirito sta soffiando sulla Chiesa e sul mondo».
La cronaca e l'analisi politica, le ricerche degli esperti e le previsioni sul futuro della potenza americana. Questo libro mostra il volto degli USA dal punto di vista di chi ha già vissuto la transizione da Barack Obama Trump ed ora spera che la presidenza di Joe Biden possa salvare il sogno americano.
Luca Ricolfi, dal suo osservatorio della Fondazione Hume, fin dallo scorso febbraio sta studiando i dati relativi alla pandemia e alla sua gestione. Analisi non circoscritta alla sola Italia, bensì allargata sempre all'insieme delle società avanzate, a partire dai paesi europei. Sulla base dei dati - che sono il faro della sua attività - raccolti in questo libro in modo sintetico, ordinato e leggibilissimo, Ricolfi smaschera gli errori italiani nella gestione della pandemia e le conseguenti bugie, volte a nasconderli, di governanti, politici e amministratori. E giunge a conclusioni che in pochi hanno avuto finora l'attenzione di cogliere: la seconda ondata era evitabile, tanto è vero che più di un terzo delle società avanzate l'ha evitata; le omissioni, i ritardi e le incertezze dei governanti ci sono costati decine di migliaia di morti, e decine di miliardi di PIL; se non facciamo subito quel che avremmo dovuto fare da tempo, altre ondate saranno inevitabili, e il disastro economico completo e difficilmente reversibile. Luca Ricolfi, libero da ogni ideologia, non guarda in faccia nessuno, uscendo fuori dalla assurda e ideologica alternativa fra negazionisti e rigoristi, fra aperturisti e paladini dei lockdown. L'arrivo del virus e la tragedia che ci ha colpito avrebbero meritato ben altra gestione e Ricolfi, implacabilmente, dimostra che questo era possibile, e altrove è stato fatto. " Come andranno le cose? L'ottimismo della volontà mi fa sperare che, finalmente, si cambierà strada, e si guarderà con più attenzione al modello dei paesi che hanno avuto successo nella lotta al virus. Ma il pessimismo della ragione mi avverte: l'attesa messianica del vaccino avvolgerà tutto e tutti, quasi niente cambierà davvero, nessuno sarà chiamato a rispondere delle sue azioni. Né ora né mai".
Il periodo tra il XV e il XVIII secolo vede la nascita e il consolidamento degli stati moderni: monarchie ambiziose espandono il proprio dominio sul continente, eserciti sempre più numerosi combattono guerre feroci, si rafforzano gli apparati statali necessari a controllare il territorio e a riscuotere le tasse, la società cerca di trovare un equilibrio tra i privilegi della nobiltà e le ambizioni delle classi mercantili e urbane in ascesa. Lo storico Perry Anderson si immerge in questo periodo fecondo e convulso ed esamina le origini e l'organizzazione sociale e politica degli stati assoluti che si affermarono in Europa occidentale. Ripercorre le traiettorie di Spagna, Francia, Inghilterra e Svezia e il caso particolare dell'Italia - unico paese a non aver sviluppato una forma di governo assolutistico --spiegando le ragioni politiche ed economiche di questa diversità. Parallelamente Anderson volge lo sguardo all'Europa orientale: passa in rassegna le monarchie di Russia, Prussia, Austria e Polonia e delinea quanto siano state influenzate o abbiano differito dal modello occidentale, specialmente nei rapporti con la nobiltà e nel diffuso asservimento della massa dei contadini. Per comprendere meglio la specificità dell'assolutismo europeo, Anderson lo confronta prima con l'Impero ottomano nei Balcani, caratterizzato da un forte apparato burocratico e dall'assenza della proprietà fondiaria e di una classe nobiliare, poi con il feudalesimo in Giappone, che presenta una serie di curiose analogie con gli sviluppi delle nazioni occidentali. Lo stato assoluto è un testo fondamentale, un classico della storia comparata che attraversa continenti, guerre, dinastie e rivoluzioni, trascinando il lettore nei secoli tumultuosi che hanno portato alla nascita del mondo per come lo conosciamo.
Dal 1990 a oggi un'ondata di guerre civili si è abbattuta su singoli paesi e intere aree regionali: la Jugoslavia all'indomani della fine della guerra fredda, la Somalia, l'Africa occidentale e la regione dei Grandi Laghi nei dieci anni immediatamente successivi, il Medio Oriente, l'Africa settentrionale e l'Ucraina nel periodo più vicino a noi. Questa proliferazione di guerre civili ha attirato l'attenzione di decisori politici, operatori umanitari, giornalisti e, naturalmente, studiosi. Ma, allo stesso tempo, li ha convinti sempre di più a vedere nella guerra civile un fenomeno marginale, confinato una volta per tutte fuori degli spazi 'centrali' del sistema internazionale e associato a qualche forma di arretratezza economica, politica o persino culturale. Allargando la prospettiva oltre l'ultimo trentennio, il libro rovescia questa immagine. È sufficiente attingere all'esperienza storica, infatti, per constatare che la guerra civile costituisce un'esperienza centrale nella storia europea (e italiana). Attorno a essa ruotano alcune delle determinanti fondamentali dell'ordine politico: l'edificazione e la successiva implosione della distinzione tra 'noi' e gli 'altri'; la conseguente separazione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori dall'unità politica e, quindi, tra politica 'interna' e politica 'estera'; la distinzione ancora più capitale tra violenza 'buona' e violenza 'cattiva', 'legittima' e 'illegittima', 'legale' e 'criminale'.