Ripartire, ricostruire, rinascere. Ne abbiamo gran bisogno. La buona notizia è questa: siamo capaci di farlo. Civiltà intere sono sopravvissute a eventi terribili. Dopo ogni guerra c'è una ricostruzione. Dopo ogni depressione arriva un'età dell'ottimismo e del progresso. Federico Rampini racconta storie di tragedie collettive, sconfitte, decadenze, seguite da «miracoli». Successi costruiti partendo dalle macerie, quando tutto sembrava perduto, e invece stava per sorgere una nuova luce all'orizzonte. I cantieri dove si sono raccolte le energie e le idee, per costruire un futuro migliore. Il crollo dell'Impero romano è l'archetipo di ogni decadenza. Ogni altro impero o superpotenza ha paura di fare quella fine, cerca di capire come accadde, tenta di evitare quel destino. Nuove interpretazioni dell'antichità rivelano gli eventi fatali che possono portare una civiltà a soccombere. E quali speranze sopravvivono a quei disastri epocali. A metà dell'Ottocento l'America dello schiavismo, della guerra civile, periodo tragico in cui un popolo si è diviso a morte, lascia tracce profonde nell'America di oggi, segnata dalla questione razziale. Anche nei suoi fallimenti, quel periodo ha molto da insegnarci. La Grande Depressione degli anni Trenta è la madre di tutte le crisi nell'era contemporanea. In mezzo all'impoverimento di massa, genera uno degli esperimenti più audaci di innovazione politica al servizio dei cittadini, il New Deal. Il Piano Marshall del 1947 è un altro cantiere: con quegli aiuti l'Europa cominciò la ripresa dopo il più distruttivo dei conflitti. Ma chi ricorda oggi come funzionò? Esplorarne la storia reale illumina il dibattito attuale sul Recovery Fund nell'Unione europea post-pandemia. Dei «miracoli» nel dopoguerra quello francese era il più improbabile. La Francia subisce tre sconfitte ravvicinate - il secondo conflitto mondiale, l'Indocina, l'Algeria - e ha un sistema politico a pezzi. Il Giappone è un caso unico nella storia, dopo la guerra i giapponesi importano la liberaldemocrazia come la prescrive l'America. Le rinascite non sono mai finite: dall'incidente nucleare di Fukushima alla gestione della pandemia. Della Cina è memorabile il riscatto dopo due abissi: la Rivoluzione culturale nella seconda metà degli anni Sessanta, il massacro di Piazza Tienanmen nel 1989. È andata ben oltre le aspettative, fino ad avverare in buona parte le previsioni di un «secolo cinese». È la reazione collettiva alla sciagura a stabilire se una comunità ne esce fiaccata oppure purificata e rinvigorita.
"Un epistolario telematico su deliri populisti, incubi fondamentalisti, prodigi della rete e altre ombre della contemporaneità (novembre 2013-luglio 2014). Rapaccini e Raffaelli dimostrano che prima di tutto viene la capacità e la possibilità di far conto anche su altri mezzi formativi. Sventando il primo pericolo che la Rete propone e che è quello di essere prigionieri della palla di vetro soli, isolati e solitari, pur stando in contatto con una folla e col mondo intero. Ne nasce un colloquio che spazia dalla filosofia alle concezioni politiche e sociali; dalla conoscenza tecnologica dello strumento alla più particolare delle esperienze personali. Perdendosi anche loro in un mare magnum da cui si sentono in alcuni momenti quasi travolti, mai dimenticando, però, in nessuno di quei momenti, che la forza, quella vera, sta nel cervello dell'uomo e non in quello di un mezzo." (dalla Prefazione di Walter Patalocco)
Donne e uomini. Giovani e adulti del Nord, del Centro e del Sud Italia. Dieci volti per dieci storie. Personalità impegnate a vari livelli in politica si raccontano nelle interviste raccolte in questo libro. Dagli amministratori attivi nelle realtà di periferia ai ministri della Repubblica, fino a membri di istituzioni internazionali: un viaggio tra sogni e paure, ambizioni e fatiche di chi ha scelto di mettersi in gioco in prima persona.
Il mondo cambia rapidamente, le sfide della nostra società sono sempre più complesse. In questo contesto, è ancora possibile spendersi per «la grande politica, quella con la P maiuscola» di cui parla papa Francesco?
Questo libro racconta la storia di due dittature, quella di Benito Mussolini e quella del signor Covid (come lo chiama l'autore). Si apre con una passeggiata a piazza Venezia: stracolma per i grandi proclami del Duce negli anni del consenso (1925-1936), deserta durante il drammatico lockdown della primavera 2020. Entrambe le dittature hanno soppresso o limitato la libertà degli italiani (il Covid-19, a 2 miliardi di persone), ma se allora Mussolini ebbe un'enorme popolarità interna e internazionale, l'Italia ha resistito al virus con un odio sordo, sconfiggendolo con la disciplina in primavera e rivitalizzandolo con la confusione in autunno. Nella parte sul fascismo, Bruno Vespa mostra come, superato il trauma dell'opinione pubblica per il delitto Matteotti, Mussolini abbia conquistato il consenso mondiale per aver annientato il socialismo filosovietico in Occidente, ma anche perché i treni arrivavano in orario e per la bonifica pontina, che ispirò alcune iniziative del presidente americano Roosevelt. Gli italiani apprezzarono le grandi opere urbanistiche, la messa in sicurezza dell'economia dopo la crisi del 1929 e, soprattutto, le iniziative sociali: settimana lavorativa di 40 ore, dopolavoro, sostegno alla maternità, colonie marine. La guerra d'Etiopia e la nascita dell'impero guadagnarono poi al Duce perfino il plauso degli antifascisti. Ma il Vespa storico racconta anche la vita privata di Mussolini, dalla condizione di separato in casa a villa Torlonia alle innumerevoli amanti frequentate anche durante la lunga relazione con Claretta Petacci. Nella parte sul Covid ritroviamo il grande cronista, che ha voluto osservare con i propri occhi lo strazio di Codogno, Nembro, Alzano, le terapie intensive e il cimitero di Bergamo, parlando con sindaci, medici, sacerdoti, cittadini che hanno visto sconvolta la loro vita. Vespa mette a confronto le opinioni di eminenti scienziati, ironizza sui virologi da talkshow e prova a distinguere tra allarme e allarmismo, che nell'autunno 2020 ha davvero rischiato di mettere in ginocchio il paese. Negli ultimi capitoli, incontra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e tutti i leader politici, testandone la capacità di utilizzare l'enorme quantità di denaro messo a disposizione dall'Europa per rilanciare un'Italia che non cresce da vent'anni. Conte illustra a Vespa i timori per la ripresa dell'epidemia, la speranza di un vaccino ormai prossimo, i suoi rapporti con il potere e la strategia per rilanciare il paese. Segue un'analisi dei mutati rapporti di forza tra un Pd rinvigorito dalle elezioni regionali e amministrative d'autunno e un M5S che rischia di perdere Casaleggio e Di Battista. L'imprevedibile movimentismo di Renzi e la corsa di Calenda a sindaco di Roma. La svolta europeista di Salvini, la crescita costante di Giorgia Meloni e la fermezza di Berlusconi, uscito dal Covid, nel rivendicare il ruolo determinante di Forza Italia, seppure elettoralmente ridimensionata.
Il problema del potere riproduce le dispense del corso di "Scienza della politica" che Norberto Bobbio tenne nell'Università di Torino nel 1966. Un nuovo (e pionieristico) campo di indagine per il filosofo del diritto, che tuttavia rappresenta per certi versi un approdo quasi naturale nel suo itinerario: non solo per gli studi sui teorici dell'elitismo che egli aveva avviato già dalla fine degli anni Cinquanta, ma anche per gli esiti della sua teoria giuridica, giunta a mettere in discussione la chiusura del sistema kelseniano e a guardare, oltre la Norma fondamentale, verso il territorio in cui il diritto incontra il potere. Da questo momento in poi Bobbio ripeterà numerose volte la fortunata formula secondo la quale «diritto e potere sono due facce della stessa medaglia», sintetizzando efficacemente la convinzione che ispirerà tutta la sua successiva riflessione giuridica e politica: lo studio del diritto non può non implicare la riflessione sul potere, e viceversa.
Meritiamo un Paese sano. Meritiamo un'Italia libera dalle disuguaglianze economiche, sociali e territoriali, in cui nessuno resti indietro. Meritiamo una nuova stagione di riforme senza tagli, ma al contrario con una decisa politica di investimenti. Questa è la lezione del Covid, appresa lungo i mesi durissimi di una pandemia che continua a imporci attenzione, regole, sacrifici. In un mondo in cui le tragedie non hanno confini, non devono averne neanche la solidarietà, la determinazione, la capacità di incidere sul reale. Dal fronte di una battaglia che continua e che cambierà la nostra vita per sempre, il ministro della Salute non solo racconta, ma spiega la tempesta che abbiamo attraversato, e che, in realtà, viene da molto lontano: dalle troppe e miopi politiche al risparmio che hanno indebolito il Servizio Sanitario Nazionale. Trent'anni di un'ideologia del mercato senza regole, dimostratasi fallimentare; trent'anni di scelte sbagliate che hanno messo a repentaglio la nostra salute. Quella stagione è finita. Dai giorni delle scelte più difficili alle prospettive su vaccini e cure; dallo scenario internazionale alle scelte sul territorio, quello di Speranza è un punto di vista inedito su ciò che insieme abbiamo vissuto. Ma è soprattutto un libro di attualità e di impegno civile, uno sguardo spalancato sul nostro futuro. Perché le possibilità aperte dalla nuova programmazione europea rendono oggi possibile la rivoluzione copernicana di una nuova "sanità circolare", davvero vicina al cittadino: semplice, efficiente, integrata. Solo così la lezione non andrà sprecata.
La storia della sinistra italiana è anche una storia di famiglia. È il caso della famiglia Foa, dai nonni al padre Vittorio e alla madre Lisa, fino ai figli Anna, Renzo e Bettina. Una famiglia in cui la passione politica e l'impegno civile si sono intrecciati così fortemente con lo svolgimento della vita quotidiana da educare e governare anche le relazioni, i sentimenti. Si aprono vecchie scatole con dentro foto e carte di famiglia: un trasloco può far riemergere il passato di tante vite. È quello che è successo ad Anna Foa. Storie di bisnonni, prozii e cugini, fino a quelle dei genitori, Vittorio e Lisa, ricordi a lungo accantonati. Avvocati mazziniani e 'internazionalisti', 'suffragette' e rabbini lasciano il passo ai primi socialisti, agli antifascisti di Giustizia e Libertà, ai comunisti. Come sfogliando un vecchio album, vediamo rievocati il fascismo, il carcere, la Resistenza, la Shoah, il dopoguerra, il 1968, gli anni di piombo, l'impegno di Lisa in Lotta Continua, il suo anticonformismo, la lunga saggia vecchiaia di Vittorio. Come in ogni storia di famiglia, le case sono centrali: le stanze delle case di vacanza, quelle dei nonni disperse per la Penisola, quelle dei genitori frequentate da amici d'eccezione. E poi il racconto dei luoghi e le città: Torino, la Valle d'Aosta, Roma, ma anche la Spagna della guerra civile, il Vietnam, l'Africa, la Cina. Quella che si viene a comporre, pagina dopo pagina, è una storia 'intima' della sinistra italiana. I libri che si leggevano, le percezioni politiche, il modo in cui il mondo esterno veniva filtrato da quello familiare. È anche la storia della fine di un'illusione, quella del comunismo, della sua lenta fine. Una storia familiare e autobiografica aperta a tutte quelle remissioni della memoria e a quelle percezioni personali che la rendono dichiaratamente parziale e non definitiva. Un esperimento storiografico condotto "sul vivo" per riscoprire le passioni del Novecento.
Questo volume ripercorre la vicenda politica di Luigi Sturzo (Caltagirone 1871 - Roma 1959). E si offre quale contributo per recuperare il senso del popolarismo sturziano, che torna a essere invocato da alcuni osservatori come l'antidoto più efficace contro i populismi di varia matrice che oggi fanno capolino un po' in tutti i luoghi del confronto politico, dalle piazze ai salotti televisivi, dai social network ai media che plasmano l'opinione pubblica nel mondo ormai globalizzato. Il titolo pone in sequenza alcuni termini che si ritrovano disseminati nel discorso sui «Problemi della vita nazionale dei cattolici italiani» pronunciato nel 1905 da Sturzo quand'era pro-sindaco della sua città di nascita: «popolo, democrazia, libertà». Sono le parole chiave di quello che potremmo considerare un vero e proprio lessico sturziano.
Negli ultimi decenni abbiamo più volte sentito dire che il mondo «non sarà mai più lo stesso». È accaduto all'indomani dell'11 settembre, dopo la recessione del 2008-2009 e la crisi dei rifugiati nel 2015. Tuttavia le cose cambiano non perché ci sia una volontà di cambiamento, ma «perché non si può tornare indietro». Mentre trascorreva il lockdown nella sua nativa campagna bulgara, Ivan Krastev, politologo e opinionista del «New York Times», ha cominciato a interrogarsi sugli effetti della pandemia da Covid-19 e su come sarebbe cambiato il futuro. Benché tracciare la storia di una trasformazione ancora in atto renda difficile avanzare delle ipotesi, è innegabile che l'esperimento sociale della quarantena abbia scoperto nodi politici ed economici irrisolti, che accomunano le singole realtà nazionali. In poche settimane, il «cigno grigio» della pandemia ha catapultato Stati e continenti nell'incertezza. Dalla Cina all'Italia, dalla Svezia agli Stati Uniti. Tanto nelle democrazie liberali quanto nei regimi autoritari, però, i governanti si sono dimostrati sprovvisti degli strumenti interpretativi necessari per fronteggiare una crisi inedita rispetto a quelle più recenti e si sono ingenuamente ostinati a operare attraverso leggi d'emergenza. Eppure, la pandemia produrrà cambiamenti irreversibili, e a farne le spese potrebbe essere soprattutto l'Unione Europea, insieme a uno dei fondamentali assunti comunitari, ovvero che l'interdipendenza generi sicurezza e prosperità. Attraverso sette paradossi, Krastev analizza questo incerto presente, teatro tra gli altri del «fallimento dei leader politici mondiali nel mobilitare una risposta collettiva» a una crisi che non potrà essere superata senza un progetto politico responsabile e condiviso.
Nadia Urbinati esplora il cuore del meccanismo democratico: la scossa conflittuale tra i ‘pochi’ e i ‘molti’, le élites e il popolo.
Il XXI secolo è punteggiato da una serie ininterrotta di manifestazioni popolari che hanno portato in piazza un diffuso scontento: le primavere arabe, Occupy Wall Street, gli indignados, i Vaffa Days, i gilet gialli, le manifestazioni sul clima, le rivolte in Cile, a Hong Kong, in Libano. Quello a cui assistiamo è un conflitto nuovo rispetto a quello rappresentato e organizzato da partiti e sindacati: è contrapposizione tra pochi e molti, tra chi detiene il potere e chi sente di non contare nulla. La frattura sociale profonda che questi antagonismi evidenziano mette in crisi l’idea stessa di democrazia e la espone al rischio di pulsioni autoritarie. Ma questo non è un esito scontato: come scriveva Machiavelli, il conflitto tra pochi e molti può essere anche un lievito di libertà, se il nuovo ordine che ne può risultare riequilibra il potere nella società.
Ormai è raro che il potere venga conquistato attraverso un golpe militare o comunque con la forza. Quasi tutti i paesi tengono regolarmente elezioni. Le democrazie muoiono ancora, ma con altri mezzi. Dalla fine della Guerra Fredda a oggi, a determinare la morte di una democrazia non sono quasi mai generali e soldati, ma gli stessi governi eletti. Leader eletti hanno sovvertito le istituzioni democratiche in Venezuela, Georgia, Filippine, Nicaragua, Perù, Polonia, Russia, Sri Lanka, Turchia, Ucraina e Ungheria. Oggi il tracollo di una democrazia comincia nelle urne. Steven Levitsky e Daniel Ziblatt attraversano la storia recente per identificare i passaggi cruciali e le condizioni che si ripropongono, seppure in diverse declinazioni, ogni volta che una democrazia viene gradualmente trasformata in regime autoritario da un leader eletto Un processo messo in atto dall'interno delle istituzioni e con mezzi legali. Introduzione di Sergio Fabbrini.
Chi sono i sovranisti e che cos'è davvero il sovranismo, l'ideologia alla quale dicono di ispirarsi? Come hanno fatto a diventare così importanti tanto che in Paesi come l'Italia o la Francia non si può accendere la televisione o leggere un giornale senza sentir parlare di loro? Di solito la risposta cambia moltissimo a seconda delle persone a cui si fa questa domanda. Per i suoi sostenitori, il sovranismo è un movimento politico che rivendica l'importanza di tornare a pensare agli «affari di casa propria» in un mondo che è diventato sempre più globale e interconnesso e che rischia di dimenticare le sue radici. Per i suoi avversari, il sovranismo è soltanto un elegante sinonimo di nazionalismo e i sovranisti non sono altro che politici cinici e spregiudicati che alimentano la xenofobia e sfruttano la paura del diverso per ammassare facile consenso. In questo libro si spiega perché tutti questi aspetti sono legati, andando a fondo, punto per punto, nella verità storica e nell'analisi dell'attualità politica. Per capire cosa c'è di vero in quel che dicono i sovranisti e i loro nemici e cosa invece è soltanto propaganda politica.