Dal 2016 il mondo non è più lo stesso. La Brexit, la vittoria di Trump negli USA, il No al referendum in Italia hanno inviato ai poteri occidentali un forte segnale di protesta. Se per i media e i vertici politici questi eventi sono stati del tutto imprevisti, per chi aveva compreso gli errori commessi dalla classe dirigente degli ultimi 40 anni il destino era già scritto. Dopo aver anticipato il successo di Donald Trump con il libro Perché vince Trump (quasi seimila copie vendute in sei mesi), l’analista americano Andrew Spannaus volge lo sguardo al 2017, con le elezioni nei più influenti Paesi europei.
Questo libro pone delle domande apparentemente banali, come sempre appaiono le grandi questioni: viviamo davvero in una democrazia? I politici ci rappresentano davvero? Lo Stato pensa davvero al bene dei cittadini? La risposta degli autori è sempre no, il cittadino non possiede, in realtà, nessun potere, per cui l'intero progetto della vita sociale deve essere ripensato da un "laboratorio per la rivoluzione" composto da studiosi che sostituiscano i politici. Pubblicato per la prima volta nel 1996, questo dialogo si mostra oggi in tutta la sua preveggenza, anticipando fatti come la nascita del Movimento 5 Stelle, spronandoci a ripensare questioni cruciali come la cultura, i flussi migratori, la scuola e i mass media attraverso una difficile ma necessaria operazione di "dissolvimento dell'ovvio".
La democrazia non si trova in natura: è un prodotto artificiale, frutto della ragione e del desiderio di libertà. Se non è curata, alimentata e potenziata, appare inevitabile la sua crisi di fronte all'apparente maggiore efficacia del dispotismo: oggi solo il 40 per cento della popolazione mondiale, una minoranza, vive in democrazia. Inoltre, stiamo vivendo un cambiamento d'epoca, segnato dalla crescita della globalizzazione e dalla digitalizzazione: le politiche pubbliche dei diversi Stati sono interdipendenti; l'infosfera ha compresso il tempo e lo spazio; le grandi migrazioni hanno messo in crisi il senso di identità di milioni di persone; la quarta rivoluzione industriale cambierà i processi produttivi e le relazioni sindacali; crescono le diseguaglianze; la sfiducia nelle élites esperte anima populismi e nazionalismi etnici. È dunque necessaria una nuova cultura politica per sostenere la democrazia.
Un filo resistente lega gli uni agli altri i racconti di questa antologia: un'agenda rossa. Si affaccia dalla pagina declinata in diversi modi, una volta ha i fogli strappati, un'altra è gonfia di biglietti di teatro, ma sempre intende ricordare quella appartenuta a Paolo Borsellino - che conteneva appunti, nomi e forse rivelazioni sulla strage di Capaci, scomparsa immediatamente dopo l'attentato mafioso del 19 luglio 1992 e mai più riapparsa. Sette autori, ciascuno con la propria storia, la propria sensibilità e la propria voce, riattualizzano con altrettanti racconti inediti, scritti appositamente per "L'agenda ritrovata", il nucleo dell'impegno di Paolo Borsellino e gli interrogativi ancora aperti a venticinque anni dalla strage di via D'Amelio - la verità negata, il bisogno di giustizia, la sottrazione indebita, il mancato ritrovamento, la resistenza della politica... Ci riescono senza il bisogno della cronaca dei fatti: ci riescono inventando storie. "Uno scrittore che fa il suo dovere," sottolinea Marco Balzano nell'introduzione, "è prima di tutto uno scrittore che scrive bene e che sa consegnare agli altri una storia. Volevamo un libro vivo, completamente calato nell'oggi, senza ulteriori mitizzazioni, senza altre ipocrite santificazioni, che sono servite soltanto a collocare in un olimpo inaccessibile chi apparteneva alla collettività e solo per questa si è sacrificato. La letteratura, invece, quando è letteratura, compie sempre un'operazione di avvicinamento". Un avvicinamento che è anche un viaggio da Nord a Sud - Helena Janeczek (Lombardia), Carlo Lucarelli (Emilia-Romagna), Vanni Santoni (Toscana), Alessandro Leogrande (Lazio), Diego De Silva (Campania), Gioacchino Criaco (Calabria) ed Evelina Santangelo (Sicilia) -, "un passaggio di testimone", scrive Gianni Biondillo ricordando com'è nato il libro, "per raccontare non tanto dov'eravamo alla morte dei due magistrati, ma dove forse siamo stati in questi anni, tutti noi: chi silente, chi indifferente, chi deluso, chi vigliacco, chi sempre e comunque, ostinatamente contrario, in prima fila".
Il Novecento è stato segnato dalla lotta della democrazia contro i regimi totalitari: nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, è stato sconfitto il nazifascismo; con la caduta del muro di Berlino nel 1989 si è sgretolato il comunismo. Oggi, per molti osservatori, la sfida alla democrazia arriverebbe dai fondamentalismi religiosi e dal terrorismo, oltre che dalle brutali dittature che li proteggono. Per Todorov questa visione è sbagliata, fuorviante e pericolosa. Oggi la democrazia non ha più nemici esterni in grado di metterla in pericolo. I rischi per la democrazia ora arrivano invece dal suo interno: un individualismo spinto all'eccesso, un neoliberismo avido e senza più regole, la deriva populista. E proprio per questo che oggi la democrazia, per sopravvivere, ha bisogno di rinnovarsi: alla ricerca di un nuovo equilibrio tra i valori su cui è fondata.
Quali siano i poteri del Capo dello Stato o del Governo è scritto nella Costituzione ma, come tutti sanno, non esiste solo la Costituzione scritta, c'è anche quella non scritta (che i giuristi chiamano "Costituzione materiale") che è la vera architettura di potere di un paese. Accanto al potere politico, con i suoi ruoli e le sue sedi istituzionali, esistono molti altri soggetti "pesanti": la burocrazia, il potere finanziario, i sindacati, le grandi multinazionali, i media, l'intelligence, le influenze esterne, gli apparati militari... Questa architettura è molto cambiata negli ultimi venti anni, per effetto della globalizzazione e della crisi di legittimazione dei primi anni novanta, seguita a Mani Pulite. Una tempesta congiunta che ha distrutto vecchi soggetti e ne ha creati di nuovi, alterando rapporti di forza e spostando il potere decisionale da una sede ad un'altra. E dunque: "Chi comanda in Italia?". E come esercita questo potere? Questo libro cerca di descrivere la mappa dei nuovi poteri, i loro equilibri, i loro conflitti, i loro "casi celebri".
Il mondo contemporaneo celebra la "diversità": la pluralità della globalizzazione rende la vita più interessante, più libera. Ma c'è anche il rovescio della medaglia: l'esistenza di molteplici credenze religiose - e la consapevolezza che oggi ne abbiamo - solleva svariati problemi, al di là della retorica che circonda il fenomeno. Innanzitutto solleva delle questioni filosofiche cruciali riguardo alla natura e al senso della religione; per esempio: le singole religioni rivendicano le une di fronte alle altre una pretesa di verità. In secondo luogo solleva acute questioni di carattere politico; per esempio: si fa difficile la convivenza o viene persino minata alla base la coesione sociale. Questo libro intende affrontare di petto l'una e l'altra dimensione, facendo luce e suggerendo piste da percorrere. La linearità e la chiarezza delle argomentazioni di Trigg svela elementi utilissimi per capire la condizione nella quale oggi ci troviamo immersi e mette in discussione pregiudizi consolidati.
Capitalismo vs democrazia. Una battaglia che si combatte prima di tutto dentro ognuno di noi. Se la libertà individuale è un valore assoluto, altrettanto lo è la costruzione di un'identità sociale centrata su valori comuni nei quali tutti devono poter «essere» per autodeterminarsi. Ma fino a quando l'interesse individuale teso all'accumulazione illimitata prevarrà sui valori comuni le democrazie saranno fortemente a rischio. E in tale prospettiva che questo libro affronta la forte tensione esistente nelle società capitaliste animate da una competizione estrema e guidate da una logica razionale positivista, come una lotta tra lupi e agnelli. In tale scenario vengono individuate anche delle vie d'uscita, come un approccio fenomenologico all'economia per uscire dal positivismo economico, dove la relazione con la materialità è un concetto, un'idea, una funzione potenziale del nostro essere che si iscrive nella coscienza e definisce «la domanda di diritti umani e sociali». Per queste ragioni afferma che solo un cambio dell"«io» che si apre al mondo e costruisce il «noi», come flusso di coscienza comune, potrà permetterci di superare le società capitaliste che hanno ormai perduto ogni capacità di portare avanti una costruzione comunitaria.
Le distruzioni intenzionali di opere d'arte, l'incuria che affligge i monumenti e i paesaggi, il declino delle città storiche e il diffondersi dei ghetti urbani sono i multiformi segnali di una crisi che non è solo economica e politica, ma culturale. Stiamo disimparando a convivere con il nostro passato, a cui non sappiamo più guardare se non con nostalgia o con disagio. Per capire quel che sta accadendo, nessun osservatorio è più adatto di questa Europa sempre più disgregata, troppo spesso ridotta a progetto economico-politico in cui la cultura ha un ruolo gregario. Eppure, dall'eudaimonia di Aristotele al flourishing dell'odierna filosofia morale, la cultura è da sempre risorsa e motore dell'economia e della società, ma anche della democrazia, dell'uguaglianza, della giustizia. Partendo proprio dall'orizzonte europeo come intersezione fra opposti campi di forza (l'economia e la cultura, le identità nazionali e i flussi migratori, il passato e il futuro), Salvatore Settis affronta alcune idee vigenti di "cultura" e "culture", tra potenziali conflitti e possibili convergenze. Non soltanto quindi il lascito della civiltà greco-romana e della cultura rinascimentale, non soltanto la grande Mitteleuropa. È necessario un quadro più articolato e una maggiore consapevolezza delle "Europe" che compongono questa Europa. Una memoria culturale plurale è infatti il terreno di crescita di una creatività che non miri all'effimera felicità del successo: un sentimento che incardini l'individuo nella vasta comunità europea. A noi italiani va riconosciuto un merito, e spetta un compito. Riconoscendo ai cittadini il diritto alla cultura, la nostra Costituzione ha saputo guardare lontano: occorre farne tesoro ed espandere questa idea fino a contagiare l'Europa intera.
La democrazia diretta invocata dai populisti rischia di sfociare nella dittatura della maggioranza. Il peggiore nemico del populismo sono i corpi intermedi della cosiddetta società civile: associazioni, partiti, sindacati, autorità indipendenti, amministrazioni pubbliche. La lucida analisi di una questione essenziale per il futuro del nostro mondo, e una proposta concreta sul tema dell'immigrazione.
Un'Europa piccola, divisa, incerta. Senza un'idea che la tenga insieme ed esposta alle turbolenze che arrivano dagli altri continenti. La questione - con la nuova presidenza Trump - è più che mai aperta e urgente: siamo ancora protetti dall'ombrello militare americano? La risposta è in questo volume: la difesa comune europea non è più una scelta, piuttosto una necessità. Ma siamo in grado noi da soli di sostenerla? E come possiamo, garantendola, avanzare verso l'integrazione geopolitica del continente? Gli autori, ciascuno dal proprio punto di vista, offrono un'analisi indicando al contempo la direzione del percorso che dovrebbe portare a una vera integrazione. Da un'attenta rassegna degli strumenti militari europei oggi a disposizione, risulta di cruciale importanza lo sviluppo di un'industria militare più avanzata e diffusa per sopperire all'attuale situazione di grave debolezza. Il finanziamento di un esercito comune, oltre al forte valore simbolico, darebbe impulso a tutta l'economia e sarebbe l'unica condizione capace di garantire la creazione degli Stati Uniti d'Europa. Con una difesa forte e autonoma saremmo finalmente in grado di avere una politica estera comune, diversamente dovremo dipendere ancora dalla protezione americana e subire il nuovo ordine mondiale che si va profilando.
Mentre il profilo delle nostre società veniva profondamente modificato dall'impatto della tecnologia, della finanza e della globalizzazione, ci siamo dimenticati dell'uguaglianza. Ma senza uguaglianza la stessa crescita rallenta e le crepe nella coesione sociale alimentano i populismi, mettendo a rischio la stabilità democratica. Attribuendo alla politica economica nazionale un ruolo tuttora decisivo nella correzione degli squilibri che bloccano l'ascensore sociale e frenano lo sviluppo, Romano Prodi indica le principali aree di intervento sulle quali agire per una crescita inclusiva che inverta la rotta sin qui seguita.