Il mistero di Pietro, pescatore, primo apostolo, pietra angolare della Chiesa cristiana: un uomo mite, illetterato, di umana debolezza, eppure, alla morte di Gesù, capace di prendere le redini di una comunità che individuerà nel suo magistero la più alta carica, quella di pontefice. Un uomo la cui biografia è costellata di momenti oscuri: chi era realmente Pietro? L'archeologia offre notevoli contributi alla ricostruzione di una storia cominciata a Cafarnao, fra gli imperi di Augusto e Nerone, e non ancora terminata: dall'ampia casa di Pietro in Galilea, dove Gesù fu ospitato, fino alla sua tomba, rinvenuta sotto l'altare maggiore della basilica di San Pietro, mai adeguatamente analizzata e valorizzata, e coincidente con il "trofeo di Pietro" descritto dal presbitero Gaio.
Le vicende che tutti abbiamo studiato sui banchi di scuola - la leggenda di Romolo e Remo, i sette re di Roma, l'apologo di Menenio Agrippa, le oche del Campidoglio, l'umiliazione delle Forche Caudine, i tribuni della plebe Gaio e Tiberio Gracco, Mario, Silla e la prima guerra civile, il primo triumvirato e le Idi di marzo - rivivono in un appassionante racconto, dove ha pieno risalto la maestria di Anthony Everitt. In una Roma che si trasforma da semplice villaggio agricolo a capitale di un immenso impero l'autore tratteggia gli scontri tra patrizi e plebei, le guerre di espansione per annettere territori sempre più lontani e la politica di inclusione nell'offrire la cittadinanza romana ai popoli conquistati. Col tempo le leggi costituzionali su cui si reggeva la Repubblica vengono accantonate e l'abitudine al compromesso politico lascia la strada alla violenza e, infine, alla guerra civile. Pertanto, quando nasce l'Impero, Roma ha sì conquistato il mondo, ma ha anche minato al suo interno le tradizionali virtù che avevano accompagnato lo sviluppo della società repubblicana. Il volume è affollato di ritratti di personaggi storici come Cincinnato, Scipione l'Africano, Annibale, ma anche di grandi intellettuali che diverranno esemplari nella storia del pensiero politico occidentale: Catone il Censore, lo statista che si scaglia contro la decadenza dei suoi tempi, piuttosto che Cicerone, il grande oratore, campione delle virtù repubblicane.
Livia Drusilla Claudia fu moglie dell'imperatore Augusto e visse negli anni della trasformazione di Roma da repubblica a impero, testimone sia dei trionfi di Augusto che dell'epoca d'instabilità politica aperta dalla lotta per la successione. Deificata postuma nel 41 d.C., in vita Livia rappresentò per le matrone romane un modello di austerità e dedizione ai valori tradizionali. Ciononostante, i posteri non sono stati teneri con lei: autorevoli commentatori come Tacito, infatti, ne hanno restituito un'immagine di donna maligna e prepotente, votata all'intrigo e pronta a uccidere subdolamente uno a uno i suoi stessi familiari pur di spianare la strada verso il trono al figlio Tiberio, così da assicurarsi il controllo su Roma attraverso di lui. Matthew Dennison supera lacune e faziosità delle fonti, e in questa attenta ricostruzione biografica prova finalmente a rendere giustizia a una grande figura storica, dipingendone un ritratto appassionante ed equilibrato. In una società conservatrice e maschilista, nella quale le donne potevano essere ricordate solo quali esempi di virtù o vizio estremo, Livia seppe affermarsi come personaggio pubblico, gestì il proprio circolo di clientes e mantenne negli anni una sua sfera d'influenza riconosciuta: l'unico vero «crimine» di Livia non fu l'assassinio, dunque, ma l'esercizio del potere.
Il volume, proposto in una nuova edizione riveduta e corretta, è il frutto di una ricerca innovativa, nella quale vengono valorizzate anche le fonti non letterarie. Questa scelta fa sì che la trattazione non si concentri, come spesso accade, solamente sull'età classica e sui grandi momenti della storia ateniese, ma spazi adeguatamente dalle origini nel III-II millennio all'epoca romana. Non viene trascurata inoltre la storia sociale ed economica, nonché quella culturale: l'obiettivo è dare della storia greca una visione che eviti ogni facile anacronismo, nella consapevolezza della distanza che ci separa dal mondo antico.
Tre generali, tre vite dedicate al combattimento, dieci chiavi per il successo. Alessandro, un astro senza paragoni; Annibale, l'eroe delle cause perdute e delle battaglie perfette; Cesare, il più grande dei comandanti del mondo antico. Tre generali prodigio in campo militare, tre giocatori d'azzardo. Affrontarono imperi: nemici con eserciti molto più grandi dei loro; nemici che avevano il comando strategico del mare; e nemici che avevano il vantaggio di giocare in casa. Eppure rischiarono tutto per la vittoria. La ragione principale del loro successo stava in ciò che li accomunava: l'ambizione, l'intuito, l'attitudine al comando, l'adattabilità, l'abilità logistica, la strategia, l'uso del terrore, l'opportunismo. Ultima, dalla loro, la buona sorte. Tutte le guerre che combatterono seguivano lo stesso schema. Tutte cominciavano con una combinazione di attacco e difesa, cui seguiva una grande vittoria in una battaglia campale. L'ultimo passo sarebbe dovuto essere quello di cogliere i frutti con un accordo di pace per il mondo del dopoguerra ma nessuno dei tre vi riuscì. Cambiano le tattiche, cambiano le armi, ma nel corso dei secoli la guerra di per sé non muta. Capire in cosa riuscirono o dove fallirono questi tre grandi, ma non perfetti comandanti può essere utile a chiunque desideri sviluppare una strategia o debba dimostrare una capacità di leadership. "L'arte del comando" è una rara combinazione di perfetta cultura classica e consigli sapienti.
"Ripercorrere la storia delle donne nell'antichità greca e romana non è semplice curiosità erudita. I radicali mutamenti intervenuti nelle condizioni della vita femminile, il riconoscimento della piena capacità delle donne di essere titolari di diritti soggettivi e di esercitarli, la conquista della parità formale con gli uomini non hanno ancora interamente cancellato il retaggio di una plurimillenaria ideologia discriminatoria, di cui solo la storia può aiutare a comprendere le matrici e individuare le cause. Osservare la vita e seguire le vicende di organizzazioni sociali come quella greca e quella romana aiuta a svelare, se non il momento nel quale nacque la divisione dei ruoli sociali, il momento nel quale questa divisione venne codificata e teorizzata: e cominciò quindi a essere vista, invece che come un fatto culturale, come la conseguenza di una differenza biologica, automaticamente tradotta in inferiorità delle donne". (Dall'introduzione)
Leader carismatico, seduttore privo di scrupoli, stratega lucido e volitivo, Gaio Giulio Cesare è stato al contempo brillante politico e genio militare, protagonista di un'ascesa vertiginosa e di alcune delle più spettacolari vittorie della Storia. Nel corso dei secoli, numerosi sono stati i suoi commentatori e biografi, quasi mai imparziali. In questo libro monumentale, che ha ottenuto nel 2007 il Distinguished Book Awarddella Society for Military History, Adrian Goldsworthy colloca Cesare nel contesto del mondo mediterraneo e della ricca e turbolenta società tardo-repubblicana: dalla difficile esperienza del consolato alla relazione con Cleopatra, dalle campagne in Gallia e Britannia fino all'affermarsi della dittatura. Ricomponendo i pezzi di un grande mosaico, lo storico disegna la figura di un "colosso", un ritratto ineguagliato per precisione documentale e fluidità letteraria che ci ricorda perché, dopo duemila anni, il nome di Cesare continua a esercitare un fascino assoluto.
Morto Pericle, la guerra del Peloponneso in corso, una nuova generazione di politici irrompe sulla scena pubblica di Atene. Uomini come Alcibiade, la cui volontà di primeggiare e di promuovere le proprie personali ambizioni fa di lui, secondo Tucidide, uno dei primi responsabili della crisi della democrazia che sfocia nei colpi di Stato oligarchici del 411 e del 404 e poi nella sconfitta in guerra di Atene. O come Antifonte, Pisandro, Frinico, Teramene, protagonisti di una nuova e sconcertante stagione politica. Lo scopo è quello di assumere il potere per affermare i propri interessi personali. Alla perenne ricerca del consenso, costretta a compiacere il popolo, quella classe politica da una parte gli concede un potere eccessivo e incontrollabile, dall'altra ne manipola la volontà eccitandone le passioni. Nella gestione dello Stato, il tema dell'interesse comune passa così in secondo piano; al politico democratico si sostituisce il demagogo, nel senso moderno del termine. I colpi di Stato oligarchici sono dunque la degna conclusione di questo processo degenerativo e sono realizzati attraverso raffinate tecniche di controllo del consenso. Ma la democrazia riesce a mostrare capacità di reazione e gli esperiemnti oligarchici rientrano con rapidità: restava da affrontare la ricostruzione, non solo sul piano istituzionale ma anche e soprattutto su quello ideologico ed etico. Si trattava di tornare a porsi come obiettivo, e come limite alle ambizioni dei singoli, "la giustizia e l'ultile della città".
Il volume è il catalogo della mostra di Aquileia (5 luglio - 3 novembre 2013). Il percorso espositivo si snoda tra Palazzo Meizlik, la Basilica e il Museo Archeologico Nazionale e si articola in sezioni che approfondiscono con oltre 200 preziosi reperti la vita pubblica e privata di Aquileia nel IV secolo e testimoniano la nuova fase monumentale della città, legata al suo nuovo ruolo politico e amministrativo, punto nodale delle vie tra Oriente e occidente.
Fu un uomo di potere egoista e indifferente alla religione oppure il sovrano che illuminato da una visione ("in hoc signo vinces") si pose al servizio di Dio? I giudizi sull'imperatore Costantino (274-337) variano. Come che sia, fu lui a fare la mossa decisiva per la definitiva ascesa del cristianesimo, con la promulgazione dell'Editto di Milano nel 313 che pose fine alle persecuzioni dei cristiani. E fu ancora lui con la fondazione di Costantinopoli a dare origine all'impero bizantino, che durò mille anni: la vita e l'opera di Costantino erano destinate a lasciare un segno decisivo e duraturo.
Pompei è la città più viva delle città morte. Dal Settecento, quando cominciarono gli scavi, ha continuato a parlare, a svelare segreti, a dire l'ingegno, la bellezza, la florida grandezza della civiltà romana. Eva Cantarella e Luciana Jacobelli le hanno già dedicato un libro illustrato, una "guida" intelligente che è anche alla base di questa nuova avventura. Qui, senza rinunciare a un corredo essenziale di immagini, Pompei diventa soprattutto racconto: racconto delle vestigia, dei costumi (i modelli abitativi, i servizi pubblici, gli svaghi), della vita famigliare, dei culti religiosi. Ma non solo: complici le testimonianze e i documenti rinvenuti, le autrici risalgono a storie di vita vissuta, di legami amorosi, di relazioni nell'ambito della politica. Se Jacobelli indaga sul reperto archeologico e da quello trae, con rigore e sapienza, informazioni che accendono l'attenzione, Cantarella esplora il tessuto civile, i miti, le leggende. Ne esce un libro decisamente "narrativo" - che attinge anche all'ampia tradizione di storie tramandate dalla "scoperta" della città in poi, una sorta di germinazione di racconti che è un'altra parte della ricchezza culturale di Pompei. Non manca inoltre il quadro (in verità drammatico) dello stato di conservazione dei reperti, delle losche vicende legate alla gestione del patrimonio, dei tentativi di trovare una soluzione per confermare l'effettiva vitalità di Pompei.