Nel "Disegno delle tre regioni storiche d'Europa" lo storico ungherese Jeno Szucs offre un quadro - dei secoli che vanno dall'inizio del medioevo all'età contemporanea - dei vari sviluppi che hanno interessato l'Europa. Tali sviluppi riguardano sia i confini, gli assetti politici, economici e sociali, sia la "civiltà". L'autore divide questo arco di tempo in circa cinque parti che permettono una visione chiara dei cambiamenti strutturali che hanno portato al disegno dell'Europa contemporanea e a ciò che egli chiama le tre Europa, con particolare attenzione all'area dell'Europa centro-orientale. "Se Anthony Smith, Ernest Gellner, Eric Hobsbawm, Benedict Anderson - ha affermato Peter Hanak - avessero scritto conoscendo i lavori di Szucs, le loro opere sul nazionalismo sarebbero state più complete". Presentazione di Giulio Sapelli.
Il rapporto tra religione cattolica e ’ndrangheta è qui ricostruito in base a un’analisi propriamente storica, condotta su fonti d’archivio e su diversi organi di stampa. Il volume indaga su aspetti istituzionali, sociali e politici della storia del cattolicesimo, individuando una pluralità di campi e condizioni di sue compromissioni con la mafia nell’area meridionale della Calabria: il ruolo esercitato dal clero nelle comunità locali; lo stato delle confraternite; i riti sacramentali; le manifestazioni popolari della religiosità; l’esposizione politicoelettorale della gerarchia ecclesiastica e la stessa azione di assistenza e di cura dei bisogni sociali. Sotto il silenzio pubblico dell’episcopato, non erano mancate, però, alcune reazioni alla presenza delle organizzazioni mafiose. Hanno influito, poi, sui mutamenti della linea della Chiesa verso la mafia gli orientamenti generali dei pontificati, il Concilio Vaticano II, un nuovo atteggiamento dei vescovi e il contributo di una serie di preti, di movimenti e di gruppi di credenti, sensibili ai valori della cittadinanza.
Luigi Sturzo non è stato un “costituzionalista di professione” bensì un uomo politico con vasti interessi culturali che ha avuto la ventura di vivere in una posizione pubblica preminente non solo come Segretario nazionale del Partito Popolare negli anni della crisi dello Stato liberale, ma anche, come senatore a vita, nella stagione della affermazione della democrazia costituzionale. La ricognizione critica delle sue posizioni sulla Costituzione repubblicana è stata affrontata da Nicola Antonetti richiamando la profonda concezione sturziana dei nessi tra etica e politica e le ragioni specifiche della lunga polemica contro la «partitocrazia», riprendendo, infine, le sue prospettive per le riforme costituzionali da quella del sistema bicamerale a quella per lo sviluppo di un modello politico degli assetti regionali. Diviene possibile, rivisitando tali posizioni, risalire al costituzionalismo di Sturzo e comprendere l’innovazione apportata alla tradizione del cattolicesimo politico anche attraverso la ripresa di modelli istituzionali propri della cultura anglo-americana.
Dopo aver vinto la sua secolare lotta contro l'assolutismo dell'Antico Regime, il liberalismo, lungo tutto il Novecento, ha dovuto fronteggiare una terrificante minaccia: quella dei movimenti rivoluzionari di massa – bolscevismo, fascismo, nazismo – determinati a radere al suolo la civiltà dei diritti e delle libertà. Questo fu il contesto ideologico, dominato da una sfrenata e inquietante passione nichilista, in cui condussero le loro battaglie quegli intellettuali che seppero resistere alla tentazione totalitaria e che, precisamente per questo, furono gli strenui difensori della libertà.
Egeria la pellegrina, Baudonivia la biografa, Dhuoda la madre, Rosvita la poetessa, Trotula il medico, Eloisa l'intellettuale, Ildegarda la profetessa, Caterina la mistica: otto ritratti biografici e letterari tanto più avvincenti in quanto rappresentativi ciascuno di un diverso itinerario umano e sociale. Mai come in questo volume è stato messo in luce così chiara il molteplice, enigmatico, affascinante volto della donna medievale.
Eventi straordinari, quali un'epidemia di peste, potevano ripetersi con una certa frequenza in una società di antico regime. Essi mettevano a dura prova le autorità di governo, costringendole ad assumere provvedimenti drastici ma, nella maggior parte dei casi, scarsamente risolutivi. Per combattere la peste bisognava infatti prevenirla, bloccarla alle porte di un centro, impedire che essa dilagasse. Era soprattutto la prevenzione alla base della lotta impari contro la malattia. Una prevenzione che le autorità erano tenute ad adottare in maniera rigorosa, senza eccezioni di sorta; tuttavia, nella realtà altre erano le logiche che spesso prevalevano. Con conseguenze disastrose per intere popolazioni. Alla luce di tali osservazioni, il ruolo delle istituzioni, le scelte e le "politiche" da esse adottate, a livello centrale e locale, emergono quali fattori chiave per leggere la storia delle epidemie di età moderna e, non ultima, della terribile pandemia scoppiata nel 1656 nel regno di Napoli. Fattori in grado di chiarirci successi e insuccessi, diffusione e controllo.
In occasione della ricorrenza dei 1900 anni dalla morte dell'imperatore Traiano, Roma gli rende omaggio con la mostra "Traiano. Costruire l'Impero, creare l'Europa", ospitata ai Mercati di Traiano Museo dei Fori Imperiali. Il volume è caratterizzato dal racconto della vita 'eccezionale' di Traiano che, primo imperatore adottivo e non romano ma ispanico, si impose al mondo allora conosciuto non solo come grande condottiero ma, soprattutto, "costruttore a 360°": dalle infrastrutture al programma di welfare, agli incentivi economici e alle opere architettoniche. Non manca un focus sulla figura e sugli spazi privati di Traiano, con uno sguardo al ruolo speciale delle donne di casa imperiale. La narrazione si snoda attraverso una ricca selezione di reperti archeologici provenienti da musei della Sovrintendenza Capitolina, da musei e spazi archeologici italiani e stranieri - tra cui statue, ritratti, decorazioni architettoniche, calchi della Colonna Traiana, monete - e installazioni multimediali e interattive, come modelli in scala, rielaborazioni tridimensionali e filmati. Una sfida a immergersi e rivivere la grande storia dell'impero e nelle storie dei tanti che l'hanno resa possibile.
Il Diario del capitano dei bersaglieri Giuseppe De Carli inizia il 10 luglio 1943, il giorno dello sbarco in Sicilia delle truppe alleate. L’«Operazione Husky» fu colossale: circa 1.400 navi con migliaia di mezzi da sbarco e circa 150mila uomini. Contrariamente a quanto si pensa, sia lo sbarco sia l’avanzata anglo-americana non furono agevoli. Le forze tedesche e i reparti italiani opposero una tenace resistenza, impegnando gli Alleati in duri combattimenti con notevole spargimento di sangue. Questo Diario inedito racconta con cruda verità il dramma di quei giorni, manifesta con impressionante evidenza lo sconvolgimento della coscienza di un capitano dopo l’8 settembre 1943 e, estendendosi il testo sin quasi alla fine della guerra, descrive la difficile con­dizione dei militari italiani nelle mani degli angloamericani dopo l’Armistizio e la dichiarazione italiana di guerra alla Germania.
Enrico Cattaneo è un ragazzo di 19 anni chiamato a portare le armi e spedito in Grecia quando lo Stato fascista aveva già arruolato tutte le classi militari idonee e da ultimo si era visto costretto a richiamare dei ragazzi che non avevano fatto il servizio militare e la cui istruzione fu rabberciata in pochi giorni. Disperso con altri pochi nella lotta coi partigiani greci, spinto dalla fame si consegna a un reparto tedesco. Poi dopo l’otto settembre, rifiutatosi di combattere con loro come militare dell’esercito fascista della Repubblica di Salò, viene fatto prigioniero e deportato in Russia ove attraversa vicende di ogni genere fino a che, miracolosamente, riesce a tornare a casa.
L’Introduzione è di Edoardo Bressan, storico, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università degli studi di Macerata.
La Presentazione del Diario di Enrico Cattaneo è di Luigi Trezzi, storico economico, professore ordinario presso l’Università degli studi di Milano Bicocca.
Le Note storiche sono di Paolo De Carli, giurista pubblicista, professore ordinario presso l’Università degli studi di Milano.
L'occupazione nazista dei Paesi Bassi, nel 1942, rende folle la banalità. In breve diventa troppo pericoloso per gli ebrei restare in città. Umiliati da una stella gialla sul petto, devono consegnare le biciclette e rinunciare a frequentare le scuole e i locali pubblici. Senza contare le temute convocazioni per la Polonia, che gli ebrei cominciano a ricevere. Ufficialmente per andare a lavorare, ma nessuno ci crede. I genitori di Ellis decidono di nascondersi in una località sperduta nella brughiera. Bernie invece resta per aiutare la sua gente. I due ragazzi si promettono di tenere ciascuno un diario, da consegnare all'altro alla fine della guerra. Si danno inoltre appuntamento per ritrovarsi, di martedì alle quattro del pomeriggio, sulla panchina del loro primo bacio. Passato il pericolo, Ellis si presenta più volte all'appuntamento, ma di Bernie nessuna traccia. Finché tre anni dopo la loro separazione, proprio nel giorno del suo matrimonio, Ellis riceve un pacchetto che, a giudicare dall'aspetto logoro, deve aver fatto molta strada. Quando lo apre, si sente mancare. Sono i diari di Bernie. Ci vorranno più di sessant'anni prima che Ellis abbia il coraggio di leggerli e di unirli ai suoi. E finalmente il loro abbraccio vincerà la storia.
“Ma poi, cosa è Auschwitz? Per me, prima di tutto Auschwitz è un cimitero. Il mio cimitero di famiglia”
Cos’è la memoria? Cos’è il passato? Cosa resta delle vite e delle morti di chi abbiamo amato, di chi ci ha preceduto? Riflessioni universali, che diventano lancinanti quando si applicano al passato di un ebreo, polacco e comunista, cresciuto nel dopoguerra in una patria che l’ha poi rinnegato.
Wlodek Goldkorn è da molti anni una voce conosciuta della cultura italiana, ha intervistato grandi scrittori, premi Nobel, e raccontato molte storie – mai la sua personale. Quella di un bambino nato da genitori scampati agli orrori della seconda guerra mondiale, che abitava in una casa abbandonata dai tedeschi in fuga, ancora piena di piatti e mobili adornati di svastiche, cresciuto nel vuoto di una memoria familiare impossibile da raccontare e da dimenticare, impossibile da vivere. “Poi, capita che nascano i nipotini. E arriva il momento in cui ci si pone la domanda: come dire loro l’indicibile? Come trasmettere la memoria?” Ecco allora un viaggio di ritorno: a Cracovia, a Varsavia, ad Auschwitz, a Sobibór, a Treblinka. E un viaggio nella memoria, da ricostruire, da inventare, da proiettare nel futuro. Un viaggio che non ha paura di spingersi nel buio più profondo del Novecento, senza perdere la chiarezza dello sguardo, il disincanto di chi sa che ogni ricordo è anche fantasia, che essere figlio dell’Olocausto non significa immedesimarsi nelle vittime ma deve portare alla rivolta.
«Nella luce limpida del mattino si disegnava chiaramente il fumo scuro che usciva dai camini dei forni crematori». Con una prosa concisa e stringata, il diario inedito dell’ebreo olandese Jo Koopman giunge direttamente da Auschwitz. Scritto quasi in presa diretta, tra il 1945 e il 1946, questa testimonianza restituisce la vita quotidiana nel campo di sterminio nazista, le paure, le vessazioni, l’incombere della morte. Ma anche la liberazione ad opera dei russi e il lungo viaggio attraverso l’Europa orientale che ricorda quello descritto da Primo Levi nel libro La tregua. «Non fu toccante – scrive Koopman - ma ben deludente, dopo un viaggio così lungo e pieno di emozioni, il nostro arrivo in Olanda», esperienza purtroppo comune a molti dei sopravvissuti alla notte del Novecento.
Nel contesto delle guerre di religione cinquecentesche maturò un progetto missionario rivolto ai soldati, con la stesura di catechismi destinati agli uomini in armi e l'introduzione delle prime cappellate stabili a fianco delle truppe. Guardando alla teologia, alla giustizia, al lessico della violenza religiosa e alla tradizione neo-stoica, ma anche al concreto dispiegarsi del modello del «soldato cristiano» negli eserciti cattolici, il volume ricostruisce il profilo dei protagonisti di un progetto disciplinare inedito che accompagnò la lenta formazione degli eserciti professionali dopo la rivoluzione militare della prima età moderna; e, comparando lo sforzo religioso del clero cattolico e dei predicatori protestanti, ripercorre la storia della cura castrense dal XVI secolo fino alla Grande Guerra, quando il morire per la Patria sostituì l'appello a combattere nel nome di Dio.