Il mezzo millennio che sta tra la fine dell'impero romano e la rinascita cristiana è visto spesso come un'età di decadenza, i famosi «secoli bui». Secondo l'autrice si tratta di un periodo in realtà caratterizzato da grandi e importanti trasformazioni, oltreché da marcate differenziazioni locali. La sua indagine si appunta non tanto sulle vicende politico-istituzionali o economiche quanto su comportamenti e valori. La condizione dell'umanità, le dinamiche demografiche, le risposte alle calamità, ma anche le relazioni interpersonali come amicizia, parentela, rapporti fra i sessi, le gerarchie sociali, le concezioni del potere: il convincente ritratto di un'epoca multiforme per molti versi all'origine delle specificità culturali dell'Europa.
Prendendo le mosse dal declinare dell'impero ottomano, il libro mostra come già sul finire dell'800 il governo metta in opera un piano demografico-sociale per insediare in Anatolia i turchi espulsi dai territori perduti dall'impero. Nel corso della prima guerra mondiale il governo ultranazionalista dei Giovani Turchi compie la scelta di turchizzare totalmente l'Anatolia e decide di deportare e sterminare la minoranza armena che viveva lì da secoli. La nuova edizione va ancora più in profondità nella ricostruzione del processo che portò al genocidio, sul quale tuttora si combatte la battaglia della memoria, con la Turchia ferma su posizioni negazioniste.
Nella primavera del 1961 Hannah Arendt viene inviata dal settimanale «New Yorker» a seguire il processo ad Adolf Eichmann, il gerarca nazista rifugiato nel 1945 in Argentina, rapito dal Mossad nel 1960, processato per genocidio l'anno successivo e condannato a morte per impiccagione nel 1962. In quella circostanza Arendt diviene amica di Leni Yahil, storica di origine tedesca e studiosa della Shoah. Inizia così una corrispondenza che alterna questioni personali, filosofiche e politiche. Nel 1963, dopo la pubblicazione degli articoli sul processo Eichmann, riuniti poi nel volume «La banalità del male», il rapporto tra le due donne si interrompe bruscamente. Nella più controversa delle sue opere, Arendt sostiene che il male perpetrato da Eichmann sia da attribuire a una completa inconsapevolezza sul significato delle proprie azioni e solleva il tema della responsabilità dei capi delle comunità ebraiche nell'aver agevolato la politica di sterminio nazista. Il tentativo di Yahil di far rivivere la corrispondenza con Hannah Arendt otto anni più tardi è destinato a fallire. L'amicizia tra le due donne non riesce a reggere la polemica suscitata dal processo e dal libro.
Tra i meriti dello storico americano Rabinowitch vi è quello di restituire alla rivoluzione d'ottobre - di cui Pietrogrado è stato l'epicentro - la sua dimensione concreta, umana e politica, oltre a raccontare con penna sciolta le mobilitazioni che portarono i bolscevichi a rovesciare il governo Kerenski. Ovviamente, non si deve sottostimare il peso giocato nella vicenda personalmente da Lenin, ma questo libro mostra anche quanto il partito bolscevico, lungi dall'essere un'entità monolitica, fosse invece attraversato a ogni livello da contraddizioni e aspri dibattiti interni. I suoi diversi presidi territoriali difatti disponevano di una grande autonomia d'azione, anche su parole d'ordine apparentemente divergenti. Sarà questa duttilità d'azione a permettere loro poi di tradurre le aspirazioni popolari - la terra ai contadini, la fine della guerra - in programma politico generale fino alla conquista definitiva del potere. Si tratta di un approccio innovativo, questo di Rabinowitch, rispetto alla classica storiografia sulla rivoluzione d'ottobre, perché demolisce l'idea che la ragione del successo bolscevico fosse dovuta alla disciplina e all'obbedienza monocorde del partito alle indicazioni di Lenin. La ragione della sua forza era invece da ricercarsi nella sua diversità interna. Con una nuova prefazione dell'autore.
La tirannia rimane il fenomeno politico più antico e duraturo. E sembra che il suo spirito sopravviva rinvigorito fino ai nostri giorni: che si tratti del terrorismo jihadista, dell'imperialismo di Putin, o delle ambizioni espansionistiche cinesi. Waller R. Newell - dispiegando tutta la sua vasta conoscenza della filosofia e della storia antiche e moderne - mette a nudo la figura del tiranno, raccontando in modo articolato e coinvolgente la lunga scia di potere, ingiustizie e terrore che in oltre duemila anni despoti di ogni ordine e grado si sono lasciati alle spalle. Scopriamo così che Nerone, Francisco Franco e Mubarak sono i prototipi del tiranno «giardiniere», che dispone dello Stato e della società come di una personale proprietà, per il proprio piacere e beneficio e a favore esclusivo del proprio clan e dei propri sodali, e il cui potere sfocia spesso e volentieri nell'eccesso edonistico e nella crudeltà gratuita. Alessandro Magno, Napoleone e Atatürk sono invece tiranni «riformatori», animati - è vero - da un sincero desiderio di migliorare la società, ma altresì accecati dal perseguimento di fortuna e gloria a scapito di ogni legge e democrazia. Sono infine tirannie «millenariste» quelle di Robespierre, Stalin, Mao e degli odierni jihadismi, guidate dall'impulso di imporre un regime utopico a cui l'individuo deve sottostare per il bene collettivo e in cui ogni privilegio è sradicato fino a raggiungere l'eccesso in uno Stato di polizia attraverso l'omicidio di massa e il genocidio. Tiranni è una lezione di storia illuminante per chiunque sia interessato al pericolo rappresentato dalla tirannia e dal terrore nel mondo di oggi. Finché rimarremo vigili la democrazia è destinata a sconfiggere la tirannia, per il semplice fatto che è un'idea migliore.
Perché leggere la Costituzione italiana? E perché viene così spesso evocata nei dibattiti politici e citata sulle pagine dei giornali, a volte senza neanche essere ben conosciuta? Che cosa hanno di speciale i dodici articoli con cui si apre? I principi e i diritti fondamentali che vi sono enunciati sono viva realtà? Nel settantesimo anniversario della sua nascita, una serie di brevi volumi illustra la straordinaria ricchezza di motivi e implicazioni racchiusa nei principi fondamentali della nostra Costituzione ricostruendone la genesi ideale, ripercorrendo le tensioni del dibattito costituente, interrogandosi sulla loro effettiva applicazione e attualità. Perché l'articolo 1 si può considerare "rivoluzionario"? Come giunsero i costituenti alla sua formulazione? Il volume tratteggia le idee dei maggiori protagonisti, europei e statunitensi, riguardo alla concezione classica e moderna di democrazia, di libertà politica e di popolo, e al ruolo del lavoro. Gli argomenti con cui i costituenti difesero o si opposero alla scrittura di quell'incipit sono fatti dialogare tra loro e con i teorici e gli attori politici che hanno contribuito alla nascita della democrazia moderna. Come si è manifestata e come è cambiata nel tempo l'identità della nostra democrazia? Quali sfide l'hanno mutata e contestata? Quali trasformazioni ha registrato? Il libro si conclude invitando a continuare la riflessione critica delle condizioni attuali della nostra società alla luce della visione nobile di democrazia che ci consegnarono i costituenti.
Perché leggere la Costituzione italiana? E perché viene così spesso evocata nei dibattiti politici e citata sulle pagine dei giornali, a volte senza neanche essere ben conosciuta? Che cos'hanno di speciale i dodici articoli con cui si apre? I principi e i diritti fondamentali che vi sono enunciati sono viva realtà? Nel settantesimo anniversario della sua nascita, una serie di brevi volumi illustra la straordinaria ricchezza di motivi e implicazioni racchiusa nei principi fondamentali della nostra Costituzione ricostruendone la genesi ideale, ripercorrendo le tensioni del dibattito costituente, interrogandosi sulla loro effettiva applicazione e attualità. L'articolo 2 contiene le due grandi opzioni dei nostri padri costituenti. Esse sono in modo netto l'inviolabilità e la solidarietà. Nella seconda metà del Novecento le costituzioni vivono infatti entro questa tensione: da una parte pretendono di porre limiti inviolabili alla politica e allo stesso legislatore, dall'altra pretendono di generare esse stesse la politica "buona", quella che realizza la "società giusta" proprio attraverso l'attuazione solidale della Costituzione.
Perché leggere la costituzione italiana? E perché viene così spesso evocata nei dibattiti politici e citata sulle pagine dei giornali, a volte senza neanche essere ben conosciuta? Che cosa hanno di speciale i dodici articoli con cui si apre? I principi e i diritti fondamentali che vi sono enunciati sono viva realtà? Nel settantesimo anniversario della sua nascita, una serie di brevi volumi illustra la straordinaria ricchezza di motivi e implicazioni racchiusa nei principi fondamentali della nostra costituzione ricostruendone la genesi ideale, ripercorrendo le tensioni del dibattito costituente, interrogandosi sulla loro effettiva applicazione e attualità. Norma rivoluzionaria, l'articolo 3 prefigura un programma ad ampio raggio, i cui scopi richiedono una trasformazione materiale della realtà, non limitata alla sola innovazione giuridica. Lungi dal prospettare un'antitesi tra uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale, tra libertà e uguaglianza, l'articolo 3 influenza settori sempre più estesi della vita associata. La sfida contenuta nella sua istanza egualitaria resta a tutt'oggi capace di proiettarsi nel futuro, allo scopo di realizzare "il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese".
Perché leggere la costituzione italiana? E perché viene così spesso evocata nei dibattiti politici e citata sulle pagine dei giornali, a volte senza neanche essere ben conosciuta? Che cosa hanno di speciale i dodici articoli con cui si apre? I principi e i diritti fondamentali che vi sono enunciati sono viva realtà? Nel settantesimo anniversario della sua nascita, una serie di brevi volumi illustra la straordinaria ricchezza di motivi e implicazioni racchiusa nei principi fondamentali della nostra costituzione ricostruendone la genesi ideale, ripercorrendo le tensioni del dibattito costituente, interrogandosi sulla loro effettiva applicazione e attualità. Come mai il diritto al lavoro compare tra i principi fondamentali della nostra costituzione, mentre nelle altre costituzioni europee è posto nella sezione dei rapporti economici? La risposta a questa domanda va cercata ricostruendo il dibattito e il ruolo delle diverse personalità dei protagonisti dell'assemblea costituente, e analizzando le culture politiche che in essa hanno prevalso, sintesi delle battaglie per il diritto del lavoro che si sono combattute in Europa tra settecento e novecento. Di fronte alle difficoltà attuali appare quantomai utile conoscere la genesi di questo principio e il tentativo della sua attuazione nelle conquiste della giuslavoristica italiana in materia di diritti del cittadino-lavoratore.
Scorre molto sangue la notte del 2 gennaio 1547 quando, nel totale fallimento della congiura dei Fieschi, la morte stronca la giovinezza di Giannettino Doria e quella di Gian Luigi, l'erede della nobile famiglia che l'ha promossa. Sarà inesorabile Andrea Doria, il vecchio guerriero d'antica stirpe genovese, che dal 1528 è il Capitano generale della flotta imperiale nel Mediterraneo e nell'Adriatico. E inesorabili saranno l'Impero e la Repubblica verso chi si è reso colpevole del reato di tradimento contro il suo signore e contro la sua patria. Si inscrive nel nome dei Doria e dei Fieschi e si compie sul palcoscenico genovese l'atto che, incidendo profondamente nel cuore del grande scontro tra l'Impero spagnolo e la Corona francese, diventerà fin da subito un evento memorabile.
"Ricordo l'estate del 1968. Rientrai a New York dodici ore dopo l'assassinio di Robert Kennedy. In aprile Martin Luther King, in giugno Robert Kennedy. Le fotografie dei bambini che morivan di fame nel Biafra, i combattimenti fra gli arabi e gli israeliani, i carrarmati sovietici a Praga, i vandalismi degli studenti borghesi che osano invocare Che Guevara e a scuola ci vanno con la fuoriserie di papà." Ecco il 1968 di Oriana Fallaci, un momento cruciale della sua carriera in cui, secondo un ritratto che le dedica "Time" l'allora inviata dell'"Europeo" si consacra "la più importante giornalista italiana, con un seguito anche in molti altri Paesi". Gennaio inizia in Vietnam, dove racconta in presa diretta la guerra di un piccolo popolo contro la superpotenza USA. Più tardi, nell'America delle lotte razziali e per i diritti civili, traccia i ritratti dei protagonisti dell'epoca - da Bob Kennedy a Martin Luther King, fino a Nixon. Quindi, instancabile, racconta la Cina maoista, le filosofie orientali, i santoni indiani, la miseria in Perù. Fino ad arrivare in Messico, prima delle Olimpiadi, dove rimane ferita nel corso di una protesta studentesca, facendo trattenere il respiro a tutta Italia. Solo lei non ha paura e non si tira mai indietro, sa che "in guerra una buona ferita è una grossa fortuna perché è difficile venire colpiti due volte". E parte di nuovo per gli Stati uniti, per finire l'anno accanto agli astronauti che si preparano allo sbarco sulla Luna. È l'alba di una nuova era, la testimonianza di un momento di svolta che riguardò tutto il mondo, oltre la visione provinciale di quelli che poi chiamerà i "nostri sessantottini ultraborghesi".
La storia degli Stati Uniti non è solo la brillante vicenda di una democrazia aperta, di una società ricca e all'avanguardia del mondo contemporaneo. Accanto all'America come luogo della libertà che amiamo, c'è un lato oscuro, dove le paure e le ossessioni hanno dato corpo negli ultimi due secoli a movimenti politici e sociali capaci di segnare un risvolto dell'identità nazionale. La storia degli Stati Uniti, allora, è anche quella dei nativisti - ossessionati dalla «supremazia bianca» -, dei populisti - cantori dell'America profonda custode delle virtù tradizionali in declino -, degli isolazionisti - che tra le guerre mondiali si rinchiusero nel nazionalismo dell'«America First» contro la guerra a Hitler -, e degli autoritari - che fiorirono in tutte le stagioni fino al Red Scare degli anni venti e al maccartismo degli anni cinquanta. Massimo Teodori descrive come nel tempo gli americani tradizionalisti con le loro ossessioni abbiano trasformato il patriottismo in nazionalismo e l'amore per la propria comunità in razzismo. Il libro conclude che, quali che siano i tentativi autoritari, l'America resta una società aperta che rispetta la democrazia e i diritti civili perché il suo sistema politico e costituzionale possiede gli antidoti per reagire ad ogni abuso di potere presidenziale.