Mille anni orsono l'Italia rinasce come "regno". La monarchia stentò tuttavia ad assumere identità propria nell'ambito dell'Impero, come poi si vide tra liberi Comuni e Signorie e nel pensiero di quanti, da Dante a Machiavelli, si affannarono a individuare i caratteri dell'Italia. Sulla scorta di vaste ricerche d'archivio, Aldo Mola traccia in questo libro un profilo inedito della monarchia in Italia dalle origini all'avvento della Repubblica, evidenzia la continuità tra la Costituzione del 1948 e lo Statuto Albertino di un secolo prima, e ci racconta come si dispersero sino a scomparire i quasi undici milioni di consensi ottenuti dalla Corona il 2 giugno 1946.
Un libro che condensa in un volume mille anni di storia: la verità assai più affascinante della leggenda, gli episodi rimossi o alterati, riportati nella loro giusta luce attraverso l'obiettività dell'analisi, i modi di vita, l'ambiente e le correnti culturali, tornano a occupare un ruolo centrale nella narrazione storica. Per merito delle fonti consultate, non solo austriache ma anche provenienti da tutti quei popoli che ebbero il non sempre felice privilegio di essere sudditi austriaci, la storia di questa grande nazione è vista attraverso i problemi politico-sociali ed economici, non più sacrificati a favore di una oleografica visione di una "Austria felix".
Attraverso un'ampia sequenza di inserti fotografici, il volume ripercorre le vicende più significative del nostro Paese in uno dei periodi cruciali della sua storia. Un periodo caratterizzato dalle traversie politiche dei governi di centro-sinistra, da ricorrenti crisi economiche, dalle istanze radicali della contestazione studentesca e dei movimenti extraparlamentari, da grandi conquiste sociali, da sanguinosi eventi terroristici. Introdotto da un saggio di Valerio Castronovo, il volume offre una serie di annotazioni firmate da Guido Vergani e un'antologia di circa 250 immagini.
Il secolo appena trascorso è stato definito in molti modi: "breve", delle "idee assassine", dell'era atomica, degli "ismi", della nascita del villaggio globale. Enzo Biagi ha riversato in questo dizionario (che spazia da Thomas Mann a Marlene Dietrich, dall'Aids alla mafia, da Mike Bongiorno a Fausto Coppi) le esperienze di cui è stato spettatore, facendo parlare i fatti e i protagonisti. Storie di vite generose e infami, di giganti della storia e di semplici comparse che, però hanno anch'esse il diritto di dire la loro; storie di ideologie che hanno travolto il destino di milioni di persone; storie di esseri eccezionali che hanno votato la loro vita al bene dell'umanità.
Nicola Labanca ripercorre le vicende politiche e militari che portarono gli italiani a stabilirsi in Eritrea, in Somalia, in Libia e poi in Etiopia. Ma l'espansione coloniale non fu, anche nel caso italiano, solo politica e guerra. Il volume smonta quindi i messaggi della propaganda colonialista che affascinarono generazioni di italiani al suono di "Tripoli bel suol d'amore" e mostra i pochi reali vantaggi economici che l'Italia trasse dai suoi domini africani. Inoltre descrive la società coloniale d'oltremare, i suoi tratti razzisti, la sua composizione sociale e demografica, le sue istituzioni.
Quando si parla di Asburgo la mente corre subito a Vienna, all'imperatrice Sissi, alle glorie di un grande impero, ai fasti della sua corte e alla sua fine con Francesco Giuseppe. Ma la disnastia degli Asburgo, che dura tutt'ora, ha occupato mille anni di storia e di storie. Imperatori e imperatrici, donne stravaganti e uomini d'ordine, cardinali e politici, fedeltà incrollabili e intrighi di corridoio. E tanti paesi, dalla Spagna all'Ungheria, dalla Germania all'Austria all'Italia.
Pochi periodi storici hanno avuto un rapporto così quotidiano con la guerra come il Medioevo. Guerra di saccheggio, in cui distruggere e depredare il nemico era in cima ai pensieri di ogni soldato. Aldo Angelo Settia conduce il lettore sui campi di battaglia e ricostruisce la mentalità del soldato medioevale, la sua vita fatta di privazioni, di fame, di terrore della morte e delle mutilazioni. Un'indagine sugli aspetti più distintivi della guerra medievale che offre al lettore un contatto diretto con le fonti utilizzate, soprattutto quelle cronachistiche.
Giovanni Rasori (Parma, 1766-Milano, 1837) fu un personaggio scomodo: lo fu anzitutto per l'accademia, di cui contestò le posizioni conservatrici e retrive arroccate nella difesa di antichi privilegi; lo fu per il mondo medico, a cui indicò l'accidentata via di ricerca di una medicina nuova, forse avventata e certamente utopica, ma a suo avviso adeguata alla società egualitaria nata dalla Rivoluzione. Rasori fu scomodo per i francesi, incalzandoli con un giacobinismo scientifico nutrito delle idee rivoluzionarie da loro stessi esportate e poi messe a tacere; e lo fu per gli austriaci, durante la Restaurazione, cospirando contro di essi.
Il volume di Gabriele Turi si concentra sui nodi problematici del rapporto tra politica e cultura nel periodo fra le due guerre mondiali, sul controllo esercitato sulla scuola o sulle accademie, e su alcuni protagonisti dell'opera di organizzazione culturale (come Giovanni Gentile). Ma evidenzia anche le contraddizioni del regime e i dissensi che esso registra per merito dell'insegnamento di Croce e delle forze antifasciste.