Le Storie Filippiche rappresentano uno dei perduti Graal della letteratura di Roma antica: una storia universale scritta in latino. Loro autore è un uomo di origine gallica, Pompeo Troppo: proprio mentre Tito Livio componeva la sua monumentale Storia di Roma, scelse invece di narrare ke vicende dei popoli più lontani, nel tempo e nello spazio. Al centro doveva spiccare la formidabile ascesa e caduta del regno macedone, da qui il titolo. Sfortunatamente, però, le Storie Filippiche sono andate perdute: tutto quello che ci resta è un Florilegio, composto qualche secolo dopo da un certo Giustino. La perdita è quindi parzialmente sanata? No: Giustino, pur limitandosi ad un'operazione apparentemente innocua come la selezione di brani, in realtà modifica nel profondo gli equilibri e le prospettive dell'originale. Il suo Florilegio, quindi, più che raccontarci la storia del mondo, rappresenta il biglietto di accesso a una camera delle meraviglie, in cui da ogni scaffale fa capolino qualcosa di stravagante: regine malvagie, sovrani obesi, bambini prodigio, fughe rocambolesche, passioni e enigmi.
Il mito della Sicilia tollerante sotto la dominazione araba, l’inquisizione criminale, le crociate portate dai cristiani cattivi, il Medioevo delle streghe e dei roghi: miti che fanno parte di una “leggenda nera” ormai radicata e diffusa e di cui gli stessi cattolici parlano con imbarazzo, cercando addirittura di evitare l’argomento, quasi vergognandosene. Ma l’ignoranza della storia non serve a niente, anzi, è controproducente, tanto più che molto spesso le cose non sono come ci vengono raccontate. In questo libro Rino Cammilleri racconta le cose come stanno, o come sono sempre state, al di là della vulgata dominante, nella convinzione che i cattolici di oggi abbiano bisogno di essere nuovamente istruiti, nella storia come nella fede.
Auschwitz e Hiroshima indicheranno per sempre, nella storia multimillennaria del nostro piccolo pianeta, una svolta decisiva, di cui gli storici futuri misureranno tutte le conseguenze oggi incalcolabili.
Due nomi, quelli ora fatti, del 1945, che possono essere assunti a simbolo della nostra epoca. Il primo, rivelatosi al mondo con estrema difficoltà, tra molti travestimenti, ipocrisia, indifferenza, viltà, di individui, governi, popoli, istituzioni profane e sacre, e apparsi in tutta la loro tragica luce solo col crollo della potenza nazista in Europa; il secondo, percepito nel bagliore infernale di un attimo, nei cieli del Giappone.
Ma visti nel profondo dei tempi, essi sono accomunati daila ferocia o dal la follia autodistruttiva dell'umanità. Eppure dobbiamo constatare che, nonostante tutto questo, gli uomini continuano a ridere, piangere, trastullarsi, uccidersi, come prima, come sempre" (dalla Prefazione di Alessandro Galante Garrone).
L’alloggio segreto di Anna Frank e la casa di Etty Hillesum si trovano a poca distanza l’uno dall’altra, tra i canali di Amsterdam. È qui che si incrocia la storia di due donne straordinarie, destinate ai campi di concentramento dagli occupanti tedeschi, ma decise a vivere fino in fondo il tempo che è loro concesso.Sia Anna che Etty fissano su un diario la quotidianità della propria esistenza gravata dalla barbarie nazista, ma ancor più delineano il percorso delle loro anime, affinate ogni giorno dalla prova, dal dolore, dal rischio. Scavando nel pozzo delle risorse interiori, preservano uno spazio di libertà e dignità che nessuno può rubare, neppure il più crudele delle SS.Questo libro mette a confronto i diari di Anna ed Etty, seguendo una traiettoria antologica suddivisa per temi.
Patrizi di Bellegra. Presbiteri al servizio della Curia Romana dal XVIII al XX secolo
di Davide Bracale
Il volume attraversa tre secoli di storia attraverso l’operato dei presbiteri della famiglia Patrizi che da Bellegra, feudo dell’Abbazia di Subiaco, volsero a Roma e qui, secondo una radicata tradizione familiare, prestarono servizio presso la Curia Romana.
Don Lorenzo Patrizi, archivista del Sant’Uffizio, affrontò la sottrazione di tutti i documenti della Santa Sede durante l’invasione napoleonica di Roma. I documenti furono trasportati a Parigi assieme a Pio VII, ormai prigioniero di Napoleone. Don Lorenzo, dopo la disfatta di Waterloo, fu incaricato di riformare tutto l’Archivio del Sant’Uffizio, in condizioni disastrate, con i documenti che man mano tornavano da Parigi, ritrovati sia nei palazzi nobiliari che tra i pizzicagnoli della capitale francese. Ad oggi, l’impegno di questo presbitero e dei suoi successori ha permesso che l’Archivio del Sant’Uffizio con tutta la sua storia continui ad esistere.
Don Giuseppe Patrizi, docente di diritto canonico all’Archiginnasio della Sapienza, all’epoca università papale, era il ciambellano del card. Angelo Mai, cui Leopardi intitolò il celebre canto “Ad Angelo Mai” quale ringraziamento delle sue scoperte filologiche.
Mons. Pietro Patrizi, ultimo prelato della famiglia vissuto nell’epoca dello Stato Pontificio, era avvocato della Curia Roma e officiale della Congregazione del Concilio. Dopo la breccia di Porta Pia del 1870 egli si pose in strenua difesa di Pio IX e con coraggio per dieci anni tentò di difendere il Beneficio della Madonna della Pace di Bellegra, per centocinquant’anni gestito dai Patrizi con notevoli frutti in favore dell’Abbazia di Subiaco e dell’Apostolica Sede; tuttavia egli dovette cedere alla liquidazione dell’asse ecclesiastico e arrendersi alla caduta dello Stato Pontificio.
L’ultimo esponente della famiglia al servizio della Sede Apostolica fu Mons. Nazareno Patrizi. Incardinato nella diocesi di Roma, insegnava nella scuola operaia di Testa Spaccata e l’estate partiva per le missioni nelle chiese della campagna romana. Canonico dei Ss. Celso e Giuliano ed avvocato rotale, era stato incaricato da Pio X di interessarsi alla questione della legge delle guarentigie dalla prospettiva della Sede Apostolica e secondo quanto determinava il diritto pubblico. Impiegato nel servizio diplomatico pontificio prima come segretario di ablegazione e poi quale incaricato d’affari dei vescovi argentini, da Benedetto XV fu indicato per una complessa nunziatura in America Latina. Pio XII, infine, gli conferì il titolo di Prelato Domestico, quale premio per il suo impegno pastorale e di curia. Con Mons. Nazareno Patrizi tramontò la tradizione di presbiteri della famiglia Patrizi, ma era ormai fissato nella storia il loro secolare operato.
Per la Giornata della Memoria la Domenica de Il Sole 24 ORE propone ai suoi lettori la raccolta di articoli della rubrica Giudaica scritti da Giulio Busi, un itinerario critico costruito attraverso episodi del presente e del passato che raccontano in retrospettiva un momento della storia da non dimenticare, oggi più attuale che mai, attraverso la narrazione intensa e puntuale del massimo ebraista italiano.
Sospetti, trattative, intrighi, spionaggio, soccorsi umanitari... di uno Stato da proteggere. Il Vaticano, si sa, è uno Stato molto particolare: pochi chilometri quadrati di chiese, palazzi, tesori d'arte e giardini. Nel momento in cui l'Europa è lacerata da contrapposizioni ideologiche violentissime, lo staterello è neutrale e potrebbe attendere, magari in preghiera, la fine della tempesta... Invece no. Il Vaticano è a Roma, nel cuore della capitale di un regime autoritario alleato con la Germania. I rapporti con il regime fascista sono di reciproco sospetto: Mussolini fa spiare i monsignori, i cardinali e il papa stesso. Hitler odia la Chiesa cattolica perché la considera un potere trasversale, che può sempre sfuggire al controllo assoluto dello Stato. Gli Alleati, invece, temono una Chiesa che acquisti troppa autorità morale in anni di sangue e acciaio. Ciascuno ha la sua posizione, e il Vaticano è in mezzo. Dunque, per prudenza, meglio porvi informatori, spie, doppiogiochisti. Meglio vigilare sui suoi confini, anche perché a volte ci scappano dentro prigionieri di guerra inglesi in fuga dai campi di prigionia, seguiti ben presto da giovani tedeschi sbandati. E nel lungo inverno del '43 il Vaticano, oramai circondato dal III Reich, deve affrontare la fase più dura della "tormenta". In questo contesto proprio da dentro le "Sacre Mura" la Legazione inglese, con il supporto del settore 9 del Military Intelligence, opera nell'ombra. A un certo punto abbiamo anche un piano di Hitler per rapire il papa e deportarlo in Germania o nel Liechtenstein e si elabora un contro-piano di "difesa passiva ma energica" che prevede anche il sacrificio di tutti i militari che faranno "scudo col proprio corpo alla Sacra ed Augusta Persona del Sommo Pontefice"... Prefazione di Andrea Riccardi.
C’è un evento chiave nella storia di Auschwitz. Il 12 maggio del 1942, un convoglio da Sosnowiec scarica 1500 ebrei che, per la prima volta, non vengono né internati, né selezionati per le squadre di lavoro, né picchiati o freddati con un colpo di pistola. Vengono inviati direttamente alle camere a gas.
Così si compie il destino di Auschwitz: non più un campo di concentramento né di lavoro coatto, ma una colossale macchina progettata per l’annientamento sistematico di esseri umani. Attraverso le testimonianze dei sopravvissuti e dei carnefici, Il regno di Auschwitz descrive questa tragica parabola, fino all’evacuazione del gennaio 1945.
Nessuno sa quanti abbiano perso la vita dietro quel filo spinato. E nessuno lo saprà mai, visto che i nazisti bruciarono tutti i documenti abbandonando Auschwitz, rendendo incalcolabile il numero effettivo delle vittime. Il comandante del campo Rudolf Höss, processato dopo la guerra, si dichiarò responsabile dell’eliminazione di due milioni e mezzo di persone, più «un altro mezzo milione di morti per fame e malattie». Poi però aggiunse: «Non ho mai saputo il numero complessivo e non ho modo nemmeno di stimarlo».
Ma, per quanto suoni terribile dirlo, il punto non è quanti ebrei siano stati uccisi. Il punto è che l’obiettivo era ucciderli tutti. È questo che definisce il genocidio. Vernichtung, annientamento. E Auschwitz ne è il simbolo, il più eloquente di tutti, perché più di tutti gli altri campi dette il suo spaventoso contributo alla Soluzione Finale. È per questo che la storia umana può solo dividersi in un prima e un dopo Auschwitz.
Tutti sanno chi era Paolo di Tarso, pochi invece conoscono il suo contemporaneo Yohanan ben Zakkai. Eppure entrambi, a modo loro, hanno dato l’avvio a una nuova religione, e entrambe queste religioni (cristianesimo e ebraismo moderno) sopravvivono ancora oggi. Nel I secolo d.C. Yohanan era nella Gerusalemme assediata dalle armate di Tito. Poco prima dell’attacco romano riuscì a scappare dalla città e a farsi ricevere dall’imperatore, al quale chiese il permesso di istituire una scuola nel “vigneto di Yavneh”. Tito glielo concesse, e fu così che iniziò a svilupparsi l’ebraismo dei rabbini, il quale, modificato nei secoli, è di fatto quello di oggi. Il nucleo di questa dottrina è una quasi infinita serie di discussioni tra saggi, durata cinque secoli, nella quale quasi sempre contano più le domande e le argomentazioni che le risposte. Quando questa immensa tradizione orale venne messa per iscritto, divenne il Talmud: 37 volumi di dispute serrate tra saggi rabbini praticamente su ogni cosa. Scritto in due lingue (ebraico e aramaico), con uno stile tutto meno che lineare, il Talmud (nelle sue due versioni, babilonese e palestinese) è oggi considerato una delle opere più complesse che esistano e il fondamento stesso dell’ebraismo. La sua storia è un tutt’uno con la storia degli ebrei. Harry Freedman ci regala una breve, efficace e godibile “biografia” di questo libro incredibile, che di vicissitudini ne ha passate davvero molte. Dalle sue origini mesopotamiche al rapporto con gli arabi, dall’incontro coi cristiani alle dispute medievali, dal commento di Rashi alla prima versione a stampa pubblicata a Venezia, passando attraverso i molti roghi che tentarono di arginarne l’insegnamento, le condanne papali, e poi l’Illuminismo, l’Ottocento e la Notte dei Cristalli. Il Talmud – questo libro sconosciuto – ne esce come uno dei più nascosti ma potenti punti di origine della modernità, nonostante sia stato a lungo temuto, bruciato, ostracizzato e ben poco studiato dai non ebrei. Eppure al Talmud, nelle diverse epoche, si sono ispirati in moltissimi, spesso senza saperlo.
“Bettino Craxi era antipatico perché incarnava la politica in un’epoca di crollo delle ideologie e di avversione ai partiti. Perché non temeva né di macchiarsi di una colpa né di affrontare l’odio. Perché era alto e grosso, ribelle e autoritario e anche se tendeva alla pace e sorrideva sembrava sempre in guerra. Perché diceva quel che pensava e faceva quel che diceva, anche le cose spiacevoli. Perché affascinava o irritava coi suoi proverbi popolari o mostrandoti l’altra faccia della luna; perché era sospettoso e coraggioso, razionale e realista fino al cinismo. Perché era sicuro, troppo sicuro di sé, e per dieci anni ha guidato la politica italiana e per quattro il governo coi migliori risultati. Perché sfidò gli USA di Reagan e l’URSS. Perché tenne in scacco la Dc e il PCI alternando coerenza e spregiudicatezza. Perché affrontò il partito del potere e del denaro. “Oggi, a distanza di vent’anni dalla sua morte, è possibile e anzi necessario ripensare Craxi e recuperare il suo lascito, per colmare il vuoto lasciato dal riformismo socialista e dal socialismo liberale. La sua figura suscita ancora tante domande e comprenderla può fornire tracce importanti per capire la crisi della sinistra, della democrazia liberale e l’irruzione del populismo e del nazionalismo in Italia e nel mondo. Questo libro non è una biografia, piuttosto il profilo umano e intellettuale di un leader e il manifesto politico che nel labirinto di intenzioni, di successi e di tracolli di un'’epoca appena passata districano i fili che la connettono alle contraddizioni e agli interrogativi dell'attualità." - Claudio Martelli
Una nuova storiografia che guarda alle grandi trasformazioni della mentalità collettiva, ai sistemi di credenza e alla comunicazione di massa, ha introdotto una nuova prospettiva "culturale" nella storia del fascismo. Il nuovo approccio, tuttavia, non è stato ancora applicato agli studi sul cattolicesimo italiano. Eppure, in tale prospettiva, il processo di nazionalizzazione degli italiani durante il "ventennio" sembra profondamente legato alla fede cattolica, e in una doppia maniera: il cattolicesimo divenne parte della nazione e, parallelamente, l'idea che gli italiani avevano della nazione incluse massicciamente il cattolicesimo. Alimentato in modo convergente e, assieme, sottilmente concorrenziale sia dal regime che dal mondo cattolico, il mito dell'"Italia cattolica" finì per imporsi, in alternativa a quello risorgimentale e laico della "Terza Roma". Sostenuto dal fascismo, in parte con sincera convinzione in parte per inglobare strumentalmente il cattolicesimo nella propria visione totalitaria del mondo, e promosso dai cattolici per realizzare i presupposti di una visione che puntava, in chiave anti-liberale e anti-laicista, a una confessionalizzazione dello Stato e della società, esso ha rappresentato la base dell'intesa e del compromesso tra il regime e la Chiesa ma anche, allo stesso tempo, il terreno principale del loro contrasto. Questo libro racconta dunque la storia di un mito, nella convinzione che esso sia stato un soggetto non secondario delle vicende di quegli anni, ma anche delle successive perché la sua eredità avrebbe continuato a pesare nella storia dell'Italia democratica.
Negli ultimi trent’anni l’Italia e gli italiani sono profondamente cambiati. Assetti demografici, lavoro, welfare, produzione, consumi, stili di vita, forme della partecipazione e della comunicazione, partiti, sistema politico: quasi nulla è più come prima. Il libro prova a ricostruire i più importanti tra questi mutamenti – lo choc migratorio, il declino economico, la metamorfosi dei valori e delle appartenenze, gli effetti della rivoluzione digitale – per concentrarsi quindi sulle trasformazioni del sistema politico tra Prima e Terza Repubblica. Riprendendo e aggiornando le tesi di Karl Polanyi sulla ‘grande trasformazione’, l’autore colloca al centro del quadro l’urto strisciante e poi frontale tra le forze sempre più invincibili della globalizzazione, in particolare del mercato e dell’economia globali, e un paese messo progressivamente in ginocchio dai suoi effetti distruttivi. Ne è derivata una confusa e disordinata ‘rivolta della società’, che ha voltato le spalle alle vecchie forze politiche della Seconda Repubblica, sempre più incapaci di proteggerla, e che ha ceduto infine alle velleitarie promesse di riscatto dei populismi. Una trappola insidiosa, dalla quale – almeno per un po’ di tempo – sarà assai difficile uscire. In Italia e in molte altre parti del mondo.