Pubblicato per la prima volta nel 1969, Io so perché canta l’uccello in gabbia è uno dei libri fondamentali del Novecento, uno tra i migliori mille libri di sempre, secondo larga parte della stampa e delle riviste letterarie americane.
Descrivendo i primi anni della sua straordinaria esistenza, Maya Angelou vi celebra la voglia di vivere, la bellezza del pensiero e la disarmante sensibilità di una bambina e poi di un’adolescente nera nell’America razzista del secolo scorso.
Il libro muove dall’arrivo di Maya, tre anni, e di suo fratello Bailey, quattro anni, a Stamps, nell’Arkansas. Spediti nel profondo Sud a casa della nonna, dopo la separazione dei genitori. È la stagione in cui i luoghi appaiono ancora sotto la luce magica dell’infanzia. Maya vive con la nonna e lo zio nel retro dell’Emporio di cui Momma (così viene chiamata la nonna) è proprietaria da tempo e, tra granaglie per i polli, cherosene, lampadine, stringhe, lozioni, palloncini e semi di fiori, gioca ininterrottamente con Bailey, come in un luna park senza guardiano.
Nell’America degli anni Trenta, tuttavia, eroi e orchi, incanti e orrori accompagnano inevitabilmente l’esistenza di una bambina di colore. Eroi, per Maya, sono i raccoglitori di cotone che scendono dal retro de gli autocarri, si piegano giù fino a terra e, stanchissimi, le dita tagliate, le schiene, le spalle, le braccia, le gambe sfinite, si assembrano nell’Emporio. Orchi sono i «ragazzi» bianchi del Ku Klux Klan che, con gli occhi pieni di odio e le facce di pietra, calano a Stamps e costringono lo zio di Maya e gli altri neri a nascondersi tra gli escrementi del le galline. Orco è Mr. Freeman, l’amico della mamma, un uomo grande, grosso e flaccido che a St. Louis, in Missouri, una sera di primavera l’attira a sé.
Opera magnifica, fatta di urla, suoni, passioni, crudeltà e coraggio senza limiti, Io so perché canta l’uccello in gabbia è la storia di una ragazzina afroamericana capace di lasciarsi alle spalle la sofferenza costruendo con orgoglio e ostinazione la propria vita. Una storia che, a quasi cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione, conserva tutta la sua bruciante attualità.
È il 1644 in Inghilterra. La guerra civile tra i seguaci del re Carlo I e i sostenitori del Parlamento infuria, e divide contee, contrade e famiglie, distruggendo antichi patti e legami secolari. Judith Marsh, figlia di Lord William, nobile fanciulla innamorata e incinta di John Mainwaring, è costretta ad abbandonare il suo illustre casato e a rifugiarsi in un villaggio di umili contadini. Per Lord William, schierato anima e corpo dalla parte del re, una figlia che reca in grembo un Mainwaring, un discendente del conte di Rosswood che ha osato abbracciare la causa dei ribelli del Parlamento, sarebbe, infatti, un autentico disonore. Privata dei suoi averi, del suo rango e persino del suo nome, lontana da John, perso da qualche parte nella guerra contro i realisti, in una misera stanza umida della casa dei paesani cui si è presentata come Judith St. Clare, la figlia dei Marsh, antichissima famiglia di origine normanna, partorisce la sua creatura. Judith fa appena in tempo a udire il pianto della sua bambina e a decidere di chiamarla Amber, che, tra bacinelle di peltro, vasetti di unguenti e cordicelle scure, esala il suo ultimo respiro. Amber St. Clare cresce così da sola, in uno sperduto villaggio di contadini. Sarebbe probabilmente destinata a vivere lì il resto dei suoi giorni se, a diciassette anni, non emanasse dalla sua figura una rigogliosa e aristocratica esuberanza e una bellezza senza pari. Postfazione di Barbara Taylor Bradford.
Firenze, giugno 1441: nei pressi della locanda dell'Orso, Lorenzo Ghiberti, celebre scultore e pittore, si accascia al suolo con una daga piantata tra le scapole. Poco lontano, un uomo fugge in direzione dell'Arno. Anversa e Tournai, durante lo stesso anno: due giovani apprendisti di Van Eyck, il grande artista delle Fiandre cui si deve l'invenzione della pittura a olio, vengono trovati cadaveri con la gola tagliata e della Terra di Verona in bocca. Bruges, ancora nel 1441: Jan, il giovane figlio adottivo di Van Eyck, di ritorno a casa verso sera, si imbatte nel corpo di un uomo con gli occhi strappati, la gola squarciata e una polvere verdastra che gli cola dalle labbra... "Si sta avvicinando. Anversa e Tournai, oggi Bruges": è l'amaro commento di Van Eyck. A che cosa alludono realmente queste parole? Perché l'assassino dovrebbe avvicinarsi alla città del riverito pittore? Tra le brume delle Fiandre e il cielo luminoso della Toscana, si snoda un thriller carico di suspense e di avventura, oltre che un romanzo storico che ci riporta all'epoca d'oro della pittura.
Sacco di Roma, 1527: tra le fiamme del saccheggio, la bellissima cortigiana Fiammetta Bianchini pensa di ingraziarsi gli invasori mettendo a disposizione la sua casa, ma due megere luterane la sfregiano orribilmente e le rasano i capelli. E così, insieme al fedele servitore nano Bucino, Fiammetta ingoia una manciata di gioielli e fugge dalla città eterna, riparando a Venezia, meta cosmopolita di mercanti, viaggiatori e avventurieri. Ritrovato il suo splendore con l'aiuto di una guaritrice cieca dai misteriosi poteri, la giovane donna inaugura con Bucino un bordello dove offre le proprie grazie a facoltosi clienti appartenenti alla nobiltà cittadina. Ma l'amore di Fiammetta per un aristocratico diciassettenne farà vacillare il bizzarro sodalizio con il servitore, mettendo a rischio la fortuna faticosamente ricostruita. Sullo sfondo della Venezia del Cinquecento, dove poeti licenziosi e grandi artisti, aristocratici lussuriosi e spietati avventurieri si danno convegno, si snoda una storia avvincente in compagnia di un indimenticabile personaggio femminile e di illustri figure della storia dell'arte e della letteratura, come Tiziano e Pietro Aretino.
È il 1859 a Londra, e sir Jocelyn Knightley coltiva il sogno di liberare la società dalle "pastoie del ritegno" e della morale, collezionando i libri che i puritani dell'epoca vorrebbero bruciare tra le fiamme dell'inferno: il Decamerone, il Satyricon di Petronio, l'Ars Amatoria di Ovidio... A rilegare quei libri con preziose pelli e fodere scarlatte è, in barba a tutte le leggi della corporazione dei legatori che vietano il lavoro alle donne, Dora Damage, la giovane moglie di Peter Damage. Le sue originali rilegature, così morbide e seducenti, suscitano l'entusiasmo di sir Knightley, della filantropica e ambigua Lady Sylvia e della cerchia dei suoi amici: i "Sauvages Nobles". Ma non finisce forse puntualmente nei guai chi entra in una "società del vizio"? Romanzo storico, che ci restituisce impeccabilmente i conflitti di sesso, razza e classe dell'età vittoriana. "La rilegatrice dei libri proibiti" ci offre, con Dora Damage, un'eroina moderna che non esita a infrangere le regole e i tabù della Londra del XIX secolo, la città più grande del mondo, in cui gli ideali più nobili si accompagnano alle miserie più sordide.
"Il Piccolo Principe" fu pubblicato per la prima volta il 6 aprile del 1943 in inglese presso l'editore Reynal & Hitchcock di New York. Qualche giorno dopo, precisamente il 13 aprile del 1943, Saint-Exupéry salutò l'America per raggiungere le forze francesi in Algeria. Un viaggio da cui non fece mai ritorno. L'idea del libro nacque probabilmente a tavola, in uno dei ristoranti che l'autore frequentava in compagnia di Elisabeth, sua moglie, e di Reynal, l'editore. Saint-Exupéry disegnava spesso sui tovaglioli un piccolo saltimbanco che, avvolto in una sciarpa svolazzante al vento, poggiava i piedi nell'aria. Forse fu Reynal a suggerire di trasportare in un libro per bambini quel "ragazzino nomade", o forse fu Elisabeth. Fatto sta che, nell'estate e nell'autunno del 1942, Saint-Exupéry lavorò alacremente al progetto "con una dedizione quasi pazza, stando sveglio intere notti, ingurgitando caffè nero e fumando un numero smodato di sigarette condite dal gin". Il libro ha l'aspetto di una favola, ma è in realtà un "romanzo filosofico" che affronta i temi eterni della condizione umana: la solitudine, il senso della vita, il significato dell'amore e dell'amicizia. Tradotto in più di duecento lingue e dialetti (tra cui l'esperanto), viene riproposto in una nuova accurata traduzione integrale, condotta sulla base dell'edizione originale dell'opera e illustrata dagli acquerelli di Saint-Exupéry.
A Kalaw, una tranquilla città annidata tra le montagne birmane, vi è una piccola casa da tè dall'aspetto modesto, che un ricco viaggiatore occidentale non esiterebbe a giudicare miserabile. Il caldo poi è soffocante, così come gli sguardi degli avventori che scrutano ogni volto a loro poco familiare con fare indagatorio. Julia Win, giovane newyorchese appena sbarcata a Kalaw, se ne tornerebbe volentieri in America, se un compito ineludibile non la trattenesse lì, in quella piccola sala da tè birmana. Suo padre è scomparso. La polizia ha fatto le sue indagini e tratto le sue conclusioni. Tin Win, arrivato negli Stati Uniti dalla Birmania con un visto concesso per motivi di studio nel 1942, diventato cittadino americano nel 1959 e poi avvocato newyorchese di grido... un uomo sicuramente dalla doppia vita se le sue tracce si perdono nella capitale del vizio, a Bangkok. L'atroce sospetto che una simile ricostruzione della vita di suo padre potesse in qualche modo corrispondere al vero si è fatto strada nella mente e nel cuore di Julia fino al giorno in cui sua madre, riordinando la soffitta, non ha trovato una lettera di suo padre. La lettera era indirizzata a una certa Mi Mi residente a Kalaw, in Birmania, e cominciava con queste struggenti parole: "Mia amata Mi Mi, sono passati cinquemilaottocentosessantaquattro giorni da quando ho sentito battere il tuo cuore per l'ultima volta".
Sebastian Croll ha undici anni, grandi occhi verdi, lineamenti delicati ed è sospettato di aver brutalmente ucciso Ben Stoker, suo compagno di giochi, fracassandogli il cranio con un mattone e nascondendone il cadavere in un angolo di fitta vegetazione di Barnard Park. Il ragazzo è alla stazione di polizia di Islington quando viene raggiunto da Daniel Hunter, il legale che ha l'incarico di difenderlo, e che ha alle spalle una vita intera dedicata a occuparsi di minori: quindicenni accusati di aver sparato a compagni di gang, adolescenti dediti al crimine per qualche grammo di droga. Mai, però, un ragazzino cosi giovane, praticamente un bambino. Sebastian sembra tutto fuorché l'autore di un omicidio tanto atroce: è eccezionalmente bello, ha uno sguardo intelligente e i modi rispettosi e beneducati. Gli indizi, tuttavia, sono tanti, i testimoni anche e l'atteggiamento di Sebastian non aiuta certo a fugare i dubbi. Incalzato dalle domande della polizia, il bambino muta abilmente versione ogni qual volta viene messo di fronte a nuove evidenze. Con l'aria più innocente riesce a trarsi fuori dalle trappole tese dagli inquirenti durante il lungo interrogatorio. E la domanda rimane aperta: è l'assenza di malizia, propria solo dell'età dell'innocenza, che lo guida o la lucidità di chi è già capace di mentire, rielaborare e manipolare senza rimorsi e sentimenti? Un thriller psicologico che trascina il lettore nella zona d'ombra che non risparmia nemmeno l'età dell'innocenza.
Non vi è forse popolo, tra le genti che affollano lo stivale, che più dei siciliani abbia dato alla storia patria grandi geni e, insieme, grandi criminali, sublimi scrittori e altrettanto eccelsi malfattori, sofisticate menti politiche ed efferati attentatori del bene pubblico. Questo libro perciò si guarda bene dall'avanzare una qualsiasi tesi sulla loro impenetrabile identità. Esso narra piuttosto di alcuni personaggi che hanno il pregio di esporre in maniera esemplare il "mistero della sicilitudine". Da Federico stupor mundi a Tomasi di Lampedusa che, in ossequio alla ferrea regola dell'odio vigilante, scrisse il suo capolavoro per dare una lezione a De Roberto, accusato di aver raccontato, con "I viceré", la nobiltà spiata dal buco della serratura; da Telesio Interlandi improbabile cantore del razzismo mussoliniano con tanto di prezzario degli aggettivi a Luigi Pirandello che della sicilianità esprime al massimo grado la goduria di farsi la guerra da solo ("Il fu Mattia Pascal"), e la consapevolezza che il manicomio sia il nostro habitat naturale ("Sei personaggi in cerca d'autore"); Ettore Majorana convinto estimatore del nazismo a Giuseppe Peri oscuro vicequestore angariato, insultato e fatto morire di crepacuore per aver denunciato in grande anticipo la strategia della tensione; dai fratelli Lanza di Trabia saltellanti fra i Ciano, Eisenhower e Togliatti per difendere feudi e privilegi a Vito Guarrasi signore incontrastato e sconosciuto di cinquant'anni di potere in Italia.
Dagli infimi night club di Fox trot al sordido ambiente delle foto per i rotocalchi, all'ineguagliabile glamour del cinema berlinese, tutto il mondo della capitale tedesca del breve periodo d'oro tra le due guerre scorre in queste pagine. E accompagna la vita luminosa di Lilly Afrodite fino a quando diventerà una stella del cinema e si innamorerà perdutamente di un regista russo, fino a mettere in discussione la sua stessa esistenza dorata. "La vita luminosa di Lilly Afrodite" è la storia di una donna che ha vissuto fino in fondo la sua vita, una storia fatta di sfarzo e miseria, di luce e ombra, di dissolutezza e amore, di salvezza e perdizione, una storia che illumina un periodo straordinario del secolo scorso.