Nelle tradizioni religiose l'esperienza mistica assume nomi diversi: unio mystica per i cristiani, satori per i maestri zen, samadhi per gli induisti, fana per i sufi. Questo «sentimento oceanico», come lo definiva Freud, viene spesso descritto dai mistici con un linguaggio nuziale e un frasario espressamente erotico. Analogamente, gli psicotici tendono a rivestire i loro deliri paranoici di contenuti religiosi. Cosa può dire la psicoanalisi su questo intreccio di santità e disagio? E come distinguere un'autentica esperienza mistica da un disturbo della mente?
La questione del gender, emersa in Italia negli ultimi anni, sta occupando dibattiti pubblici e discussioni tra soggetti educativi, con toni spesso accesi. La contrapposizione rischia però di evitare la presa in carico della questione antropologica: misurarsi pienamente con il tema della differenza sessuale. Diventa quindi indispensabile chiarire i termini in gioco per poter approfondire il rapporto tra uomo e donna a partire dalla considerazione della dimensione corporea dell'essere umano. In un contesto culturale che presenta una pluralità di modelli possibili per pensare la propria vita emerge in modo particolare il compito educativo come introduzione all'ampiezza della realtà.
Come deve agire la Chiesa in una stagione attraversata da una profonda crisi religiosa? Come va intesa e vissuta la missione evangelizzatrice nelle parrocchie? Questo libro rientra in un progetto che si propone di aiutare le comunità cristiane a dare impulso, in modo lucido e responsabile, a processi di rinnovamento.Fare una «nuova esperienza di Dio», avvicinandosi in modo più autentico al suo mistero, richiede una fiducia assoluta nella sua azione salvatrice, la capacità «di accogliere il Vangelo prima di annunciarlo agli altri», la costruzione di una Chiesa che può essere anche oggi «segno di salvezza» per tutti. Alla fine di ogni capitolo l'autore suggerisce alcuni temi e alcune domande per stimolare la riflessione pastorale.
Gennaro Matino riprende, uno a uno, i cenni che il Vangelo dedica a Maria e li trasforma in momenti di meditazione e di preghiera.«Teologi, storici, esegeti, poeti, scrittori, registi, asceti hanno cercato la Madre e molti davvero l'hanno trovata; tanti con il loro genio e la loro arte hanno saputo raccontarla, raffigurarla, pregarla. Tuttavia il rischio di farla diventare ingombrante, quasi a nascondere la missione del Figlio, è stato ed è sempre presente nella vicenda cristiana. Non una colpa, ma una tentazione che certo non descrive la vertigine biblica che attraversa la sacra storia per consegnare il frutto del suo grembo. Un profumo accarezza, stordisce, ammalia, inebria e provoca felicità quando è capace di attirarti alla fonte del suo mistero. Un fiore spande il suo profumo per accogliere api, una pietanza per augurare mensa, la pelle per stringere contatti».
Nel luglio 2013, a poco più di tre mesi dall'elezione, un sobrio comunicato della Santa Sede annuncia la prima visita di papa Francesco fuori Roma. Il pontefice, «profondamente toccato» dal naufragio di un'imbarcazione che trasportava migranti provenienti dall'Africa, ultimo di una serie di analoghe tragedie, si reca a Lampedusa. Il significato e l'impatto simbolico dell'evento sono inequivocabili: Bergoglio si lascia interrogare e provocare in prima persona dal dramma dei migranti, che spesso diventa tragedia della «globalizzazione dell'indifferenza». Francesco indica con forza la necessità di una presa di coscienza e di una presa di posizione di fronte a un «segno dei tempi» che interpella con urgenza la Chiesa e la società. Questo fenomeno di portata e connessione mondiale, che prende forma nei distinti teatri principali del Mediterraneo, del confine tra Messico e Stati Uniti, della regione dei Grandi Laghi africani e del sud-est asiatico, viene richiamato insistentemente da Bergoglio. Nel suo insegnamento egli non distingue tra i migranti che sfuggono alla guerra e quelli che cercano di allontanarsi dalla povertà, ma ribadisce la connessione tra i grandi flussi migratori e quella che denuncia come «terza guerra mondiale a pezzi».
Un'immagine può uccidere? Può rendere assassini? Può essere considerata responsabile di crimini e di delitti?Dall'attacco alle Torri gemelle dell'11 settembre 2001 alle stragi dell'Isis il terrorismo si è impossessato dello spazio mediatico. La morte distribuita ciecamente e l'esibizione dei gesti più selvaggi vengono proposti, come in una performance, non solo ai governi e ai vertici militari, ma anche al pubblico inorridito e affascinato che guarda la televisione e naviga su YouTube. Le battaglie che si svolgono sugli schermi orientano i cittadini a pensare il visibile e l'invisibile come legami determinanti nell'analisi politica. Per questo è necessario prendere sul serio la formazione degli sguardi, comprendere che cos'è un'immagine, quali rapporti intrattiene con la violenza e quali possibilità le restano di offrire libertà a una comunità non criminale.
«Supponiamo di riuscire un giorno a spiegare meccanicamente l'insieme dei nostri comportamenti e delle scelte che riteniamo libere. Significherebbe la fine della moralità, della responsabilità e della vita sociale?». Fino alla seconda metà del secolo scorso eravamo convinti che i nostri atti fossero la conseguenza di libere decisioni. Biologia e neuroscienze dimostrano invece che alcuni dei nostri comportamenti, dei nostri sentimenti e delle nostre passioni sono determinati da fenomeni biologici oltre che da meccanismi sociali, psicologici e linguistici. Quando si scopre che una decisione è condizionata da uno scompenso ormonale, una disposizione genetica, un particolare contesto sociale o culturale l'idea che possiamo liberamente decidere dei nostri atti viene drasticamente rovesciata. Ma in un mondo interamente determinato possono ancora esistere libertà, vita sociale e morale? La tradizione etica di cui siamo eredi afferma che in assenza di libero arbitrio, non c'è nemmeno libertà, responsabilità e morale. È dunque possibile concepire una libertà diversa dal libero arbitrio? E pensare una diversa responsabilità e una diversa morale a partire dagli scenari e dai meccanismi che la scienza ci rivela?
La Bibbia è tra i libri più venduti nel mondo, è il più presente nelle case degli italiani, ma anche il meno letto nella sua interezza. Le lunghe successioni di nomi, le minuziose prescrizioni liturgiche, le dettagliate e culturalmente lontane norme di comportamento rappresentano, per i più, difficoltà insormontabili. In effetti, leggere dall'inizio alla fine l'Antico e il Nuovo Testamento è un'impresa.Questa Bibbia in breve, che si distingue intenzionalmente dalle introduzioni e dai commenti ai testi, riassume tutti i libri, dalla Genesi all'Apocalisse, in una scala di riduzione di 1 a 20, secondo un modello già sperimentato da san Giovanni Bosco. Per avere un'idea, non esaustiva ma nemmeno superficiale, di una delle opere fondamentali della cultura occidentale.
Il volume intende offrire alle famiglie e a coloro che si accingono al matrimonio, una guida ai centri di spiritualità dedicati specificatamente a chi ha abbracciato questo stato di vita. Con una introduzione di Luciano Moia, giornalista del quotidiano Avvenire ed esperto di tematiche familiari, il volume si presenta agile e di facile lettura. Suddiviso in tre sezioni, seguendo un criterio geografico: Nord Italia, Centro, Sud, più una breve sezione dedicata ai movimenti che organizzano incontri, corsi, esercizi spirituali, periodi di vacanza e una mappa geografica, per facilitare l'individuazione delle strutture di spiritualità. Ciascuna sezione presenta una breve introduzione, che evidenza le caratteristiche specifiche delle offerte dell'area.
L'immagine di un orso competitivo e invincibile che spicca da un cartellone pubblicitario si intreccia con il delicato ricordo di una suora che canta nel buio davanti a un cero pasquale. Un insolito accostamento che offre lo spunto per una riflessione sul senso della vita religiosa e sulla sua potenziale capacità di suggerire una storia alternativa al mercato e alla sopraffazione dei potenti sui deboli. «Esistono ferite così profonde che soltanto la bellezza può guarire», afferma il domenicano Timothy Radcliffe. «Di fronte a certe sofferenze, la speranza può essere espressa soltanto dall'arte».