Un magistrato che rimane vittima del proprio riflesso. Una partita di droga da ritrovare tra le nevi di Courmayeur. Uno scherzo di Halloween che si trasforma nel piú efferato dei giochi. Un rapimento annunciato per l'esatta metà della notte, quando il vecchio giorno non può che diventare un nuovo incubo. Undici maestri del giallo esplorano il territorio misterioso che si estende dal tramonto all'alba, attraverso tutte le sfumature del buio. Perché gli incubi più neri, e più veri, sono quelli che accadono quando non riusciamo a chiudere occhio. I racconti: Gilbert K. Chesterton, Lo specchio del magistrato; Agatha Christie, A mezzanotte in punto; Giancarlo De Cataldo, Neve sporca; Arthur Conan Doyle, L'avventura del pollice dell'ingegnere; Ellery Queen, L'avventura del gatto morto; Erckmann-Chatrian, L'occhio invisibile, o la locanda dei tre impiccati; Joe R. Lansdale, Veil in visita; Edgar Allan Poe, Gli omicidi della Rue Morgue; Melville Davisson Post, La notte oscura; Fred Vargas, Cinque franchi l'una; Edgar Wallace, Il poliziotto poeta.
L'intreccio di correnti filosofiche e di percorsi religiosi diversi è andato costituendo nei secoli una tradizione spirituale profonda, originale, luminosa, capace di rinnovarsi con estrema libertà, che caratterizza ancora oggi la cultura del Giappone nei suoi tratti salienti e più affascinanti. Il libro di Massimo Raveri indaga la dimensione complessiva di tale tradizione spirituale seguendo due prospettive che si intersecano, quella storica e quella antropologica. Alle concezioni dello shintoismo, del buddhismo, del daoismo e del confucianesimo, tramandate dai testi dei grandi maestri e dai trattati di meditazione, si affiancano visioni più complesse, sul corpo, sullo spirito, sulla purezza, sulla morte e l'immortalità, sui paradisi e sugli inferni, espresse attraverso altri "linguaggi", come i riti comunitari dei villaggi, i miti o le pratiche ascetiche dell'estasi svolte in segreto sulle montagne sacre. Un'analisi in profondità che non trascura neppure le forme artistiche, con una riflessione sul senso, profondamente religioso, che illumina talune arti "tradizionali", come i giardini di pietra, la cerimonia del tè e Yikebana.
Il 14 aprile del 1802 il "Génie du Christianisme" appare per la prima volta in libreria. Quattro giorni dopo, nella cattedrale parigina di Notre-Dame sono unitamente celebrate con un solenne "Te Deum" la recente pace con l'Inghilterra - la Pace di Amiens - e l'entrata in vigore del Concordato tra Santa Sede e Repubblica francese. Un'opera concepita allo scadere del secolo dei Lumi col principale intento di dare un'articolata illustrazione del mondo cristiano - soprattutto cattolico - a correzione dell'entusiasmo rivoluzionario che ha tentato di cancellarlo, dimostrandone la superiorità morale ed estetica. Un libro vessillo, che avrebbe sostituito in tutta Europa i gusti neoclassici dell'illuminismo con il "nuovo" immaginario romantico. Col suo "Génie", Chateaubriand pone le basi di un rinnovato umanesimo, insieme cattolico e popolare, sintesi di ragione e fede, di storia e poesia: un umanesimo sottratto alla presunzione di ogni forma di razionalismo e umilmente aperto all'accoglienza di una "religione rivelata", capace di rendere efficace la potenza creatrice della parola. Opera "faziosa", colonna portante del romanticismo, il "Génie" non ha mai smesso di dividere gli animi e di suscitare, talvolta, reazioni virulente ed estreme. Specchio di un'età di transizione particolarmente complessa e drammatica, non molto dissimile dalla nostra attuale.
Imogen Soames-Andersson e Ashley Walsingham si sono conosciuti a Londra nel 1916. Il loro tempo insieme è durato un battito d'ali, travolto dalla guerra e dalle convenzioni di un mondo al crepuscolo. I frammenti di questo amore, che ha resistito al distacco, sono sparsi ovunque, nascosti fra l'Inghilterra e le pendici dell'Himalaya, Parigi, Berlino e la Svezia. Molti anni dopo uno studente americano li cerca per trovare il filo che lo lega a Imogen e Ashley, e all'immenso patrimonio custodito da uno studio legale in attesa che qualcuno dimostri di esserne il legittimo erede. Per riuscirci ha soltanto due mesi.
Non c'è filosofo, tra gli antichi e i moderni, che non abbia parlato di felicità. Dare ragione della vita e del modo di renderla migliore è stato parte essenziale di una competenza sui generis, dichiaratamente fondata sulla conoscenza dell'uomo, che ha mantenuto alto per secoli il prestigio di questa figura intellettuale. Medici dell'anima, o del disordine della mente, i filosofi hanno dispensato diagnosi e prescrizioni per rendersi felici con cognizione, indagando ogni piega del rapporto dell'individuo con se stesso, con gli altri, con la precarietà dell'esistenza. Il libro intende presentare al lettore, introducendoli e commentandoli, testi che esprimono con particolare forza la pretesa strategica che ha accompagnato a lungo la ricerca filosofica, dialogando spesso con gli altri saperi a disposizione di ciascuna epoca. Questo primo volume risale alle origini stesse della storia del pensiero, riconoscendo a queste voci un indiscutibile primato nel configurare una gamma di alternative poi sempre rivisitate. Il secondo volume, "Tra i moderni", ne presenta importanti sviluppi in alcune aree di discussione dell'età moderna, dove la questione si rinnova e diventa più complessa, rispetto all'universalismo fiducioso degli antichi, imponendo di superare alcuni parametri di implicita esclusione: il genere, la classe, la fede religiosa.
Con il maldestro, coraggioso, contraddittorio Emiliano di Saint-Just, chiamato a investigare su efferate uccisioni, opera di uno sfuggente criminale che somiglia a un diavolo, Giancarlo De Cataldo ci trasporta in una Torino divisa tra slancio progressista e reazione, nuove tecnologie e vecchi pregiudizi, inconsueta per l'occhio di oggi, ma nella quale è facile ambientarsi per la naturalezza e la precisione dei dettagli: da una nuova grande piazza appena costruita alla mefitica paludosa Vanchiglia, a un gran ballo a Palazzo Carignano, a un dinamicissimo Ghetto dove gli ebrei combattono per non diventare il capro espiatorio della rabbia e della paura di tutti. E sotto i nostri occhi, mentre un Cavour infuriato rischia di esser preso a bastonate dal reazionario duca di Pasquier, e le alte sfere consigliano al giovane carabiniere di cercare il colpevole preferibilmente negli strati più bassi e "infami" della città, impartendogli una lezione di modernissimo controllo sociale, si svolge una vorticosa, molto attuale commedia umana. Le opposizioni private e pubbliche di gelosia e amore, obbedienza e libertà, viltà e coraggio, politica e crimine, tipiche del futuro carattere nazionale degli italiani, fanno qui le prove generali, come a teatro. E il Diaul, che sia un mostro malvagio, un assassino seriale o la pedina di un complotto politico, diventa la cifra, il luogo geometrico delle contraddizioni di tutti. Senza smettere di far paura, tutt'altro.
In Francia il romanico si è sviluppato con un incomparabile grado di coesione e grandiosità: per lo storico Henri Focillon, nella storia dell'arte europea esso rappresenta la prima compiuta definizione dell'Occidente. L'austera bellezza e la profonda armonia delle chiese romaniche seduce il nostro sguardo moderno forse ancor più di quelle gotiche. Tuttavia, questa predilezione non sempre è accompagnata da conoscenze che permettono di comprenderne appieno il significato. Concentrando il loro interesse sui timpani e sui portali, gli autori dimostrano che la decorazione scultorea non ha nulla di esoterico. Ha piuttosto un ruolo educativo, teologico e morale al contempo, da mettere anche in relazione con i rituali liturgici che si svolgevano sulla porta delle chiese. Le fotografie di Vincent Cunillère rendono possibile un incontro ravvicinato con queste bibbie di pietra che hanno saputo fondere l'immagine di Dio con quella dell'uomo. I dettagli più spettacolari si succedono: dal Giudizio Universale sui portali dell'imponente abbazia di Sainte-Foy di Conques e della cattedrale di Saint-Trophime di Arles ai capitelli istoriati della cattedrale di Autun, dalla conversione delle genti sul timpano della basilica di Sainte-Marie-Madeleine a Vézelay agli atlanti della chiesa di Saint-Pierre a Beaulieu-sur-Dordogne, e ancora le chiese intitolate anch'esse a san Pietro a Moissac e a Aulnay-de-Saintonge, l'abbazia di sant'Egidio a Saint-Gilles du Gard, la chiesa parrocchiale di Saint-Julien-de-Jonzy.
A volte anche una visita inattesa e poco gradita - quella di un amico cieco della moglie, per esempio - può smuovere emozioni dimenticate. E cosi, infatti, che il narratore del racconto che dà il titolo alla raccolta - forse il più celebre di Carver e uno dei più amati dall'autore - finisce per passare quasi senza rendersene conto dall'iniziale ostilità condita di gelosia al momento di una piccola rivelazione. È un personaggio carveriano a tutti gli effetti, l'anonimo protagonista del racconto: sottilmente alla deriva, privo di amici, inchiodato in un lavoro che detesta, con una moglie da cui forse si sente un po' trascurato. Eppure, è proprio la presenza ingombrante del cieco Robert a costringerlo a uscire dalla sua corazza e abbozzare un rapporto umano, una condivisione che gli permetterà di recuperare, forse, una parte di sé dimenticata. Carver ne segue l'impercettibile evoluzione con naturalezza, con uno stile maturo e consapevole dei propri mezzi, da lui stesso definito "più pieno e generoso". Se "Cattedrale" chiude la raccolta su una tenue nota positiva, nel resto del libro prevalgono i toni desolati, i fragili equilibri pronti a spezzarsi in conseguenza di eventi all'apparenza secondari: un nuovo trasloco in "La casa di Chef", l'atto mancato di una riconciliazione impossibile in "Lo scompartimento", l'inizio di una crisi senza apparenti vie d'uscita in "Vitamine", in cui nella deriva personale fa irruzione la violenza della storia.
Sappiamo bene che la cicala rimpiangerà di aver passato l'estate a far baldoria, che la tartaruga avrà la sua rivincita sulla lepre, e che il leone si salverà grazie al topo riconoscente. Ma le favole di Esopo è bello raccontarle ancora e ancora e ancora. Età di lettura: da 6 anni.
In casa olivieri c'è un ospite eccezionale: Mo, un bambino del pianeta Deneb. Bambino o bambina? La piccola differenza tra terrestri e denebiani, infatti, è che non si scopre il loro sesso prima dei vent'anni! Ma questa piccola differenza crea grandi difficoltà: pare che, sulla terra, essere maschi o femmine determini ogni aspetto della vita, anche di quella dei piccoli... In questo romanzo, capace a un tempo di far ridere e far pensare, Bianca Pitzorno mostra quante contraddizioni e quanti pregiudizi si annidano nell'educazione delle bambine e dei bambini, e quante volte sia difficile scegliere ciò che si vuole diventare quando tutti ti dicono chi sei. Età di lettura: da 10 anni.