George Foss è un uomo comune. Un lavoro come contabile in una rivista letteraria, una relazione sentimentale che arranca il locale preferito del venerdì, Ma George ha anche una storia pesante alle spalle. La donna che amava non era chi diceva di essere, e dopo averlo ingannato era scomparsa nel nulla, lasciandosi dietro una scia di delitti e misteri irrisolti. Adesso, però, eccola: Liana, bella e inquieta come quando si frequentavano al college e lui credeva si chiamasse Audrey. George se la ritrova davanti al bancone di un bar, e immediatamente sa che dovrebbe stare alla larga. Ma Liana ha bisogno di lui; per una volta soltanto, dice. E sebbene consapevole che lei lo ha già tradito e probabilmente lo tradirà ancora, George non può che dire di sì.
"L'invisibile ovunque" racconta quattro vite nella Grande guerra, saltando dal fronte italiano a quello francese e ritorno. Chi vive in queste pagine sa che "niente uccide un uomo come l'obbligo di rappresentare una nazione" (Jacques Vaché) e adotta strategie per evadere dall'orrore. Qualcuno sceglie la sfida all'istituzione psichiatrica, accettando il rischio che la follia simulata diventi reale. Qualcuno si arruola negli Arditi, scansando la vita di trincea, al prezzo di divenire un uomo-arma, pugnale con braccia e gambe che un potere futuro potrà usare a suo piacimento. Qualcuno cerca di nascondersi nelle pieghe della guerra, praticando l'umorismo e il paradosso, fantasticando piani grandiosi per assaltare il mondo che ha vomitato un tale abominio. Qualcuno coltiva l'utopia di un'invisibilità che renda impossibile agli uomini combattersi.
"I racconti sulle origini di Roma erano già antichi quando i primi autori della letteratura latina - storici come Fabio Pittore o poeti come Nevio provvidero a fissarli per la prima volta in forma scritta, nella seconda metà del III secolo a.C, e nei secoli successivi hanno continuato senza sosta a evolversi, modificarsi, arricchirsi. È solo il naufragio di questa amplissima produzione letteraria, della quale possediamo oggi soltanto una manciata di frammenti, ad aver artificialmente semplificato il quadro, inducendo l'erronea opinione che la variante infine affermatasi come standard fosse anche l'unica elaborata dalla cultura latina. In realtà, su quel segmento della propria vicenda più remota i Romani avevano lavorato per secoli: e come sempre accade nel caso del mito, questo lavoro aveva prodotto una miriade di varianti, di sviluppi rimasti isolati o invece di tradizioni parallele che convivevano fianco a fianco." (dall'introduzione di Mario Lentano)
Tutti gli amanti dei felini lo sanno: i nostri raffinati amici a quattro zampe adorano i libri. Non perdono occasione per accoccolarvisi sopra, per mordicchiarne la copertina, per sdraiarsi, se solo commettiamo l'errore di non dare loro le dovute attenzioni, tra il nostro sguardo e le pagine. Ma dentro i libri, altrettanto spesso, ci finiscono, grazie alla penna degli scrittori che decidono di farne i protagonisti o addirittura i narratori delle proprie storie. Dall'inquietante gatto musicale di Roald Dahl al ribelle a quattro zampe di Patricia Highsmith, dal randagio molto speciale di Doris Lessing agli affamati felini di Murakami Haruki (che nessuno vorrebbe avere la ventura di incontrare sul proprio cammino): una galleria dei racconti pili belli che la letteratura di ogni epoca e latitudine ha saputo regalarci.
A chi la attraversa con occhi attenti, New York racconta la storia di un secolo preciso, il Novecento: in quali idee credeva, di quali mali soffriva, che sogno di felicità inseguiva. Camminare tra il Lower East Side e il Greenwich Village, o pedalare su per Broadway fino a Times Square, o costeggiare l'isola in traghetto da Harlem alla Battery, è come assistere a un' epopea che nasce nell' età del transatlantico e delle grandi migrazioni, supera gli anni ruggenti, gli anni ribelli, gli anni dell' opulenza, e finisce una mattina di inizio millennio, il giorno del 2001 in cui qualcuno ha immaginato di poter distruggere New York. Ma una città non è fatta solo di luoghi: sono le persone con i loro sentimenti, le loro relazioni e desideri, a darle la sua anima. E New York - lo dice Fitzgerald nel racconto che apre questa raccolta - non è la città di chi ci è nato, ma quella di chi l'ha desiderata, e ha dovuto combattere per farne parte.
Il cibo è tutto ciò che si mangia e che serve per nutrire e per mantenere in vita un essere vivente: uomini, animali, piante. Il cibo è dono: della madre che ci nutre nell'utero e ci offre il seno, della nutrice che ci svezza. Poi, crescendo, l'uomo impara a procurarselo e a cucinarlo da solo. Ma il cibo è anche molto di piú: è il gesto sociale per eccellenza, il gesto della comunità nel suo ritrovarsi, nel fare memoria e fare festa. La tavola è il luogo, a volte silenzioso, a volte rumoroso, di comunicazione, scambio, comunione. Gioia. Ecco cos'è il cibo: nutrimento per la convivialità. Mangiare è molto piú che nutrirsi, cosí come bere è molto piú che dissetarsi, e l'arte del vivere, la sapienza del vivere, può essere simboleggiata dall'arte del mangiare e del bere. E se mangiare è un'azione al contempo naturale e culturale, l'azione del nutrirsi viene ad assumere un valore simbolico e un carattere sacro. Mangiare ritma il tempo, la giornata, la settimana. Di piú, mangiare celebra il tempo: la nascita, l'entrata nell'età adulta, l'epifania delle storie d'amore, la morte. Tra le tante rivoluzioni fatte da Gesú, ci dice Enzo Bianchi, c'è anche quella di aver rivoluzionato il modo di concepire il cibo. Anche a tavola Gesú ci ha insegnato a vivere in questo mondo e ci ha raccontato storie e parabole che parlano di cibo e tavola. Nella Bibbia la pienezza della vita è spesso espressa con il racconto di un banchetto, ricco o povero, comunque sempre condiviso. Gesú amava la tavola come luogo di incontro con gli uomini e con le donne, amava la tavola come occasione di lode, benedizione e ringraziamento a Dio. E soprattutto amava la tavola come promessa di vita e di pace per tutti. C'è un insegnamento di Gesú a tavola che dobbiamo conoscere per scoprire, o riscoprire, la sapienza e la gioia del vivere e del convivere. E per diventare piú umani.
Perché per un cinquantennio le pareti della Basilica superiore rimasero bianche nonostante Francesco riposasse, in quella inferiore, dal 1230? Occorreva lodare il fondatore ma nello stesso tempo raccordare i suoi ideali di povertà assoluta agli stridenti cambiamenti avvenuti nel frattempo: i frati rifiutavano ormai il lavoro manuale, studiavano e volevano essere mantenuti dai fedeli. Secondo l'autrice, gli affreschi, legati l'uno all'altro, dipendono da un unico e coerente programma; fu realizzato però in tempi diversi, da Cimabue in poi, fino al ciclo dedicato al santo, dipinto sotto Nicola IV (1288-92), il primo papa francescano, ciclo che si basa sulla "Legenda maior" di Bonaventura. Ma un'altra sua opera è da tenere presente: le "Collationes in Hexaëmeron", Accettando in modo prudente ma deciso le previsioni di Gioacchino da Fiore e dello pseudo-Gioachino, si attua il raccordo fra posizioni inconciliabili. Francesco ha anticipato, come un prototipo, l'Ordine perfetto dei contemplativi che si concretizzerà solo in futuro, Ordine che non è ancora quello di Bonaventura. I suoi frati, preparandosi attraverso lo studio e la dotta predicazione, concorrono perciò attivamente a realizzare il progetto divino. In un volume illustrato, Chiara Frugoni, studiosa di Francesco e di iconologia francescana, offre un'inedita chiave interpretativa dell'intera Basilica superiore.
Il cibo sognato e desiderato come un'utopia dalle "pance vuote" della civiltà contadina è diventato la fonte di ossessioni, squilibri e nuove paure. Nel passaggio dal mondo della fame a quello del troppo pieno il senso del mangiare è mutato di pari passo al contenuto dei cibi, ai metodi produttivi e alle pratiche alimentari. Una trasformazione che riguarda la salute, il corpo, lo stare assieme, il rapporto con i luoghi, la costruzione dell'identità, il sacro. La perdita della frugalità è anche perdita di strumenti per comprendere il mondo di oggi. Un altro universo ancora affamato chiede di partecipare alla nostra tavola, aspirando a un paradiso che i nostri migranti tentavano di fabbricarsi, con dolore e nostalgia, partendo per l'America. Il Mediterraneo di oggi è l'oceano di un secolo fa. In gioco non c'è solo il cibo, la possibilità di nutrirsi e di placare la fame - il tema di un'Expo che appare troppo distante da questa sofferenza - ma la nostra idea di convivenza. Un universo che ci interroga, chiedendo risposte a un Occidente smarrito.
Ma si può davvero, e così in tanti, morire per niente, si chiede, stupefatto, il capitano Colaprico, che indaga con il carabiniere indigeno Ogbà - scrigno di sapienza e ironia - sulla improvvisa epidemia di morti più che sospette che colpisce la Colonia Eritrea; Certo che è possibile, se quel niente vale molto più dell'oro, in quella sorta di Far West che è diventata la colonia negli anni subito dopo la sconfitta di Adua, quando l'Italia non sa bene che fare del suo sogno africano. Un sogno che forse cova un incubo sconcertante, e attualissimo più che mai, ancora oggi. Benvenuti nel tempo delle iene. Tra miraggi di arricchimento e concretissime speculazioni di borsa, sogni d'amore perduti e follie omicide, monelle meravigliose e donne orgogliose vestite di bianco, tra bambine meticce cui è affidato il futuro, reduci dello Yukon e avventurieri bianchi che hanno conosciuto Arthur Rimbaud, la storia si dispiega scintillante, come le anse di un grande fiume sotto il sole africano. E attenti al catard, l'insetto che ti entra dentro l'anima, e te la divora piano piano.
"Memorie d'oltretomba" racconta una vita, quella dell'autore, che coincide con una parte decisiva della storia della Francia, la fine dell'ancien regime, passando attraverso la rivoluzione e la parabola di Napoleone. Nelle pagine di Chateaubriand la storia diventa memoria, i ritratti dei grandi nomi sono filtrati dallo sguardo dell'autore: i protagonisti dell'odiata rivoluzione, che aveva mandato sulla ghigliottina il suo mondo, sono tutti, da Danton a Robespierre passando per Mirabeau e Marat, belve mostruose, a volte dotate di zampe unghiute e spesso assetate di sangue; Napoleone, detestato e ammirato allo stesso tempo, dà vita a pagine di straordinaria eloquenza e leggibilità. La pietà di Chateaubriand per il corpo morente di Bonaparte è un esempio di quella che l'autore dimostra per i vinti, dopo averli spesso odiati come vincitori. L'opera di Chateaubriand ha influenzato non solo il romanticismo francese, di cui è unanimemente considerato il caposcuola, ma l'intera letteratura francese, da Marcel Proust a Jean-Paul Sartre fino a Louis-Ferdinand Celine, che in fuga a Baden-Baden prima dell'esilio in Danimarca chiese a Karl Epting se fosse possibile fargli recapitare proprio le Memorie d'oltretomba. Introduzione di Cesare Garboli.