Le opere di Arthur Rimbaud (Poesie, Ultimi versi, Una stagione all'inferno, Illuminazioni, scritti minori) sono qui inquadrate storicamente da un'ampia introduzione e accompagnate da un commento sia linguistico sia esegetico. Il testo francese è quello dell'edizione critica di Bouillane de Lacoste. A ciò si aggiunge una scelta delle lettere più importanti del poeta di Charleville, un succinto schema biografico e alcune indicazioni bibliografiche. Il lettore italiano dispone di uno strumento di avvicinamento e di studio di uno dei poeti più importanti, affascinanti e difficili della moderna letteratura europea, la cui opera ha esercitato un'influenza profonda e talora determinante su tanta parte dell'arte contemporanea
Settimo pannello del ciclo dei Rougon-Macquart, iniziato nel 1871 con "La fortuna dei Rougon" e che si concluderà venti anni più tardi con il "Dottor Pascal", "Lo scannatoio" (1877) è il primo "romanzo sul popolo che non menta, e che abbia lo stesso odore del popolo". Quando inizia a uscire sulle pagine del "Bien publique", nell'aprile del 1876, il romanzo viene immediatamente accusato di oscenità. Il successo è enorme, senza precedenti: trentotto ristampe nel 1877, altre dodici l'anno seguente. Inizia l'era dei bestseller. Per Stéphane Mallarmé, il libro non è solo lo specchio di un'epoca di ricerca e rinnovamento, in cui l'arte si ritrova incapace di rappresentare e assecondare le convenzioni e le ipocrisie della gente perbene, ma è anche "un eccezionale esperimento letterario", in cui la "verità diviene la forma popolare della bellezza".
«Questa scelta di liriche hölderliniane, dopo tante traduzioni illustri e imprese critiche tedesche e italiane di eccezionale portata interpretativa, non ha altra ambizione che proporsi come un'edizione di avvicinamento, ovvero come una presentazione quanto più limpida possibile del percorso esistenziale e di pensiero del poeta e dei problemi sorti alle prese con la sua arte. Si è cercato di offrire un primo passo verso Hölderlin, proposito che comporta tra l'altro l'estrema semplificazione delle intricatissime questioni filologiche relative ai sempre incompiuti e tormentati testi del poeta. Ogni selezione presuppone una certa dose di arbitrarietà e il rischio di una scelta autoriale. Ad esempio qui sono state sacrificate le poesie giovanili (compresi gli inni d'ispirazione schilleriana) e gran parte delle 'poesie della torre'. Del resto, l'immagine del poeta che volevamo restituire si situa proprio in mezzo a questi due estremi, nei quali Hölderlin non ha ancora trovato la propria voce, o l'ha ormai persa» (dalla Nota del curatore)
Una scrittura originale e scorrevole, in perfetto equilibrio tra ironia e dramma, che affronta con finezza psicologica i temi dell'amicizia tra coetanei e del rapporto con i genitori.
In seguito a un incidente d'auto avvenuto quand'era bambina, Tilly zoppica e ha forti dolori se si affatica troppo, mentre il padre, alla guida al momento dell'incidente, non ha mai superato il senso di colpa e vive nell'angoscia. Tilly è timidissima, a scuola non ha amici, ed è appassionata di fotografia: ha tre apparecchi fotografici con i quali immortala tutto, senza posa, in una sorta di fissazione maniacale per l'analisi dell'ambiente scolastico. In questo trova la sua rivincita sociale, diventando l'investigatore della scuola: analizzando migliaia di immagini alla settimana, riesce a ritrovare tutto quello che si è perso, guadagnandosi il soprannome di Lost and found. Quando un suo compagno piuttosto carino le chiede di ritrovare nientemeno che il padre scomparso, comincia per Tilly un'avventura che la farà avvicinare per la prima volta a un coetaneo, ma la metterà anche di fronte a un dilemma etico: fino a che punto ci si può intromettere nella vita degli altri in nome della ricerca della verità? Se gli occhi sono sempre dietro l'obiettivo fotografico non si rischia di non vedere il confine tra privacy e libertà di espressione?
L'inverno è alle porte, Kaede e Kataoka sono ritornati in Giappone e Shizukuishi ritrova il calore del tempo trascorso insieme e si sente finalmente un po' più a casa. A breve, tuttavia, dovrà spostarsi di nuovo: ha deciso di andare a vivere con Shin'chiro, e così si mettono alla ricerca di un posto dove abitare, tra appartamenti improbabili e agenti immobiliari dalle dubbie capacità. Le persone, però, non sempre sono ciò che sembrano, e questo vale anche per Shin'chiro. Basterà un viaggio nel passato per rompere tutti gli equilibri e gettare Shizukuishi nella disperazione consentendole al contempo di crescere. Un serpente di giada, una donna prorompente, un giardino fuori dal mondo: questi e altri gli ingredienti di una storia di dolore e speranza in puro stile Yoshimoto.
“Scrive in un modo libero, sensuale e impetuoso” Alessandro Piperno
Iris – quarantacinque anni, sposata, con due figli – pensa di essersi lasciata alle spalle i due grandi traumi della sua vita: l’abbandono da parte del primo amore, Eitan, che l’aveva indotta giovanissima a desiderare la morte e, anni dopo, l’attentato di cui è stata vittima, che l’aveva portata tra la vita e la morte. A distanza di dieci anni da quell’attentato, Iris non si aspetta certo il riaffiorare del dolore fisico, di quei ricordi terribili, ma soprattutto non si aspetta di reincontrare per caso Eitan. Se a questo si aggiungono il sospetto che il marito Michi abbia un’amante e la preoccupazione per la figlia, plagiata da un uomo molto più grande di lei, la vita di Iris sembra andare di nuovo in frantumi e la situazione appare ingestibile.
Solo una grande scrittrice come Zeruya Shalev, con la sua scrittura sensuale e fluente, poteva dar voce alla profonda complessità della vita e delle relazioni, e tirare con pazienza i fili della storia fino a comporre una trama impeccabile e portarci in un toccante viaggio catartico attraverso il dolore e il suo contrario.
“Ci consegna un ritratto di Philip Roth tra i migliori che abbia mai letto” Dave Eggers
“Ti proibisco di scrivere di me,” intima Philip Roth. Per Livia Manera Sambuy dovrebbe suonare come un divieto, ma è di fatto un’istigazione ad abbattere la barriera che divide l’intesa umana e l’invenzione letteraria, è uno stimolo ad attivare la memoria di sé e la memoria lasciata dalle tante letture e dalle parole chiave che hanno aperto la porta su un territorio in cui vita e letteratura si mescolano. Livia Manera racconta storie di incontri con i “suoi” scrittori americani, storie di complicità, amicizia, consuetudine, amore. Racconta la New York degli intellettuali che vi sono rimasti, la Parigi di quelli che se ne sono andati, i colori del Maine e il respiro del Midwest. Con il garbo di una scrittura che fa dell’io narrante la sonda e lo specchio, il mondo della letteratura americana diventa la scena di un’esistenza che continua a cercare nelle domande e nei dubbi una strategia di saggezza. È così che ci vengono incontro le figure di Philip Roth, Richard Ford, Paula Fox, Judith Thurman, David Foster Wallace, Joseph Mitchell, Mavis Gallant, James Purdy, ma anche, in controluce, quelle di Raymond Carver, Mordecai Richler e Karen Blixen. Sono figure illuminate dalla fama, costruttori di saggezza e demolitori di luoghi comuni, anime che Livia Manera sorprende sempre in un gesto significativo, in una confidenza appassionata, o addirittura nella maestà del silenzio.
“Avere dei genitori come i miei fu l’inizio della mia fortuna. Tuttavia, pur essendo loro figlio, ero anche un loro collega”
Figlio di attori di vaudeville, Joseph Francis Keaton, detto Buster, fece il suo esordio ufficiale a quattro anni, nel 1899. “Una delle prime cose che notai fu che ogni volta che sorridevo o facevo capire al pubblico che mi divertivo, loro sembravano ridere meno”. Impara presto a fingersi “infelice, umiliato, perseguitato, tormentato, vessato, stupito e confuso”. Ma ci tiene a chiarire di essersi “sempre considerato un uomo favolosamente fortunato… Ho avuto ben pochi momenti di noia, e non troppi momenti tristi e sfiduciati”. Le memorie a rotta di collo sono divertenti, scoppiettanti, fanno rivivere il sapore della Hollywood degli anni Venti, e non solo. “A volte mi chiedo se il mondo sembrerà ancora un posto così eccitante e spensierato come sembrò a noi a Hollywood all’inizio degli anni Venti. Eravamo tutti giovani, l’aria della California sembrava vino”. E a complemento ci sono le cadute rovinose, i matrimoni falliti, le risalite, l’amore del pubblico, la precisa consapevolezza dei meccanismi più delicati della comicità. Toccanti e dolorose le sue ultime apparizioni, come quella straziante in Viale del tramonto di Billy Wilder. Collaborò con Beckett in Francia, e anche con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia in Italia. La sua consacrazione avvenne postuma, collocandolo finalmente tra i grandissimi del cinema di ogni tempo.
“La paura sociale attiva dinamiche che possono rovinare la vita. Questo libro vi insegnerà come invertire la rotta”
La capacità di comunicazione, di cooperazione, di lavorare in squadra, la capacità di affrontare il conflitto, la flessibilità di ruolo e quella interpersonale, la capacità di giungere a compromessi: tutte caratteristiche su cui si misura la possibilità di una vita messa a frutto. In un mondo che sembra fatto su misura per chi “sa stare in società”, le persone timide e quelle che soffrono di paure e ansie sociali vivono al contrario una vita costellata di opportunità perdute che le porta di frequente a ritirarsi ancor più nel proprio guscio. In molte situazioni sembrano bloccarsi di fronte alla domanda: cosa penseranno gli altri di me? E si condannano così a posizioni di svantaggio, che le spingono a giocare costantemente in panchina, più o meno inconsapevoli delle loro reali potenzialità, oppure incapaci di metterle in luce agli occhi degli altri. Hans Morschitzky e Thomas Hartl invitano queste persone ad abbandonare con coraggio il loro guscio, partendo dal riconoscimento del proprio valore. Distinguono le diverse forme con cui la paura sociale si può manifestare, ne illustrano le relative cause e conseguenze, i fattori fisici, psichici e culturali scatenanti, e dedicano ampio spazio a come superarle con esempi concreti e un programma graduale in dieci passi, per andare incontro al mondo con forza e la piena consapevolezza di ciò che si vale.
Achenbach è il fondatore della "Philosophische Praxis", forma principale di consulenza filosofica. Il volume raccoglie i saggi fondamentali, in cui ha presentato il suo lavoro e ne ha discusso finalità e modalità. Per Achenbach la consulenza filosofica "non si occupa dei sistemi filosofici, non prescrive alcun filosofema, non costruisce alcuna filosofia, non somministra alcuna visione filosofica, ma mette in movimento il pensiero: filosofa", quindi deve riflettere produttivamente su casi concreti. Insomma: l'aiuto che il consulente filosofico può dare a chi lo consulta non sta nel "curarlo" o nel fornirgli una "verità" preconfezionata, ma nel metterlo in grado di pensare, nel dialogo con altri.