Gregory Rosboff va alla ricerca della verità sulla propria famiglia e sulle proprie origini, partendo dalle campagne del Wisconsin, per finire in mezzo a un complotto per rovesciare ? proprio nel senso di capovolgere ? lo zar di Russia. Intanto, attorno a lui continua a spuntare un misterioso libro, letto da tutti nelle situazioni più inadeguate (ad esempio nel pieno di una battaglia), che narra di un tal Max Middlestone e del suo gigantesco cane... "Le entusiasmanti avventure di Max Middlestone e del suo cane alto trecento metri" è un continuo rimpallo fra testi, sceneggiatura e disegni. A sinistra, le pagine di sceneggiatura e, a destra, le relative tavole disegnate. Da una parte le vicende di una storia che vuole diventare avventura e melodramma, dall'altra il disegno arguto e urticante che la ribalta, la travisa, la mette in burla. Tito Faraci e Sio si dividono la scena e fanno sentire il divario beffardo tra le puntigliose richieste del testo scritto e le scorciatoie maldestre delle vignette. Ma una storia c'è, eccome, e allora che fine fanno i personaggi in scena? E poi c'è davvero una fine che si possa dire fine?
Che cos'è per l'essere umano il tempo? Qual è il significato che assume nelle nostre vite? Quanto è rilevante nella definizione delle identità e delle esperienze di ciascuno? Il tempo sta in rapporto con la finitudine, caratteristica della mortalità, e insieme con l'infinito, ma anche con le emozioni, quali il dolore e la gioia. La vita non sarebbe tale se non fosse cadenzata dal passare delle ore, delle stagioni, delle età e di quel tempo più personale che non può venire misurato con esattezza, ma che contribuisce a definire l'esperienza della vita stessa. Il soggetto non sarebbe insomma tale in assenza di una traiettoria temporale. Il tempo non casualmente rappresenta un tema ricorrente in letteratura e in filosofia, e ha una grande importanza pure nella psicopatologia e nella cura. Nel suo trascorrere condiziona la vita quotidiana, così come colora le esperienze mistiche che lo trascendono. È elemento costitutivo dell'identità e permea la coscienza e l'esistenza di ciascuno. Nel sondare le profondità dell'animo non si possono dunque trascurare il tempo e l'esperienza diversa che ognuno ne fa. Può trattarsi di volta in volta di un tempo sospeso, come nel sogno, o frammentato, come nella memoria lacerata di chi soffre di malattie quali l'Alzheimer; può essere il tempo della noia, per chi si sente paralizzato nel presente, o quello della nostalgia di chi volge lo sguardo al passato, o ancora dell'attesa di chi guarda avanti, al futuro.
Perché la parola "io" è diventata un'ossessione? Perché fare spettacolo di ogni istante del proprio vivacchiare? Giulio non lo sopporta, e soprattutto non lo capisce. Si sente fuori posto e fuori tempo. Ma di questa sua estraneità non si compiace: sospetta di essere un "rompiballe stabile", come lo definisce la fidanzata Agnese. In un'imprecisata pianura che fu industriale e non è quasi più niente, Giulio si aggira in attesa che qualcosa accada. Per esempio che qualcuno gli spieghi a cosa servono, se non a perdersi meglio, le rotonde stradali; o che qualcuno compri il capannone di suo padre, che fu un grande ebanista. Una bottega un tempo florida e adesso silenziosa e immobile, come un grande orologio fermo. Scritto quasi solo al presente, come se passato e futuro fossero temporaneamente sospesi, "Ognuno potrebbe" è il rimuginare sconsolato e comico di un vero e proprio eroe dell'insofferenza. Un viaggio senza partenza e senza arrivo che tocca molte delle stazioni di una società in piena crisi. Nella quale la morte del lavoro e della sua potenza materiale ha lasciato una voragine che il narcisismo digitale non basta a riempire.
Un ritratto dell'artista da giovane fu scritto a Trieste nel 1914 e pubblicato nel 1916 negli Stati Uniti, nell'anno della Easter Rising, la sanguinosa insurrezione di Dublino. Noto in Italia e Francia anche con il titolo Dedalus, è un romanzo semiautobiografico in cui si descrivono gli anni formativi della vita di Stephen Dedalus, l'alter ego di Joyce. L'autore narra il risveglio intellettuale, filosofico e religioso di un giovane che comincia a interrogarsi e a ribellarsi contro le convenzioni irlandesi e cattoliche con cui è cresciuto. Alla fine progetterà di partire alla volta di Parigi per fare l'artista. È uno dei romanzi irlandesi più importanti perché è il primo ad analizzare i rapporti distorti fra la comunità irlandese e il dominatore inglese. Secondo Joyce, la situazione in cui versava l'Irlanda non era la conseguenza di un'integrità perduta o dell'annientamento della cultura tradizionale, come peraltro sosteneva Yeats, bensì l'aver fatto proprie idee che hanno mantenuto gli irlandesi sotto il giogo britannico.
Kim, Momo e Bella, quattordici anni, sono inseparabili. Durante uno dei loro ritrovi serali nella meravigliosa serra di Bella, le tre ragazze assaggiano il nettare di un misterioso fiore e succede l'incredibile: i loro corpi subiscono una metamorfosi, perdono le forme femminili, diventano quelli di tre ragazzi. Maschi. Spaventate ed elettrizzate, Kim, Momo e Bella si precipitano fuori e corrono nella notte, sperimentando una sensazione mai provata: in questi loro nuovi corpi non sono più oggetto di scherno e di desiderio, nessuno fischia o rivolge loro commenti volgari. Sono quasi invisibili: libere e forti. Per un po' le tre amiche conducono un'eccitante doppia vita: di giorno, nei loro corpi femminili, subiscono le attenzioni verbali e fisiche dei compagni di scuola; di notte, nei loro corpi virili, frequentano una gang di teppisti incontrata nel parco. Mentre però Momo e Bella abbandonano presto questo gioco, Kim non può più farne a meno. La sua identità di ragazzo è come una droga. Tony, il capo della gang, ogni volta la trascina in imprese sempre più pericolose: l'adrenalina li unisce, li rende una cosa sola. Tony cerca sempre e solo la compagnia di Kim ragazzo, e Kim trae la sua linfa vitale da questa complicità così intensa. Il fiore, però, soffre per il costante prelievo di nettare e inizia a deperire. L'amicizia delle tre ragazze scricchiola e la notte il gioco diventa troppo pericoloso...
Questo libro racconta il lavoro a chi ancora non ce l'ha e si sta preparando per trovarne uno. È stato scritto per gli studenti come un antidoto all'ansia che li prende quando progettano il loro futuro e come uno strumento per motivare scelte più consapevoli sia da parte dei ragazzi che delle loro famiglie. Non è una guida alla scelta della migliore facoltà universitaria, quella capace di garantire un'occupazione. E nemmeno una predica sull'importanza della conoscenza delle lingue, del rimboccarsi le maniche e del fare esperienze all'estero. È, piuttosto, un'appassionata riflessione sull'importanza del lavoro nella vita di una persona come strumento per garantirsi la sopravvivenza e, soprattutto, come momento in cui scoprire chi vogliamo essere. Questo libro spiega quali sono le caratteristiche del lavoro "buono", quello che consente una vera autorealizzazione. È un invito ai ragazzi a guardare con fiducia e senza paura nella sfera di cristallo del futuro, forti dell'impegno che mettono ogni giorno nel prepararsi a percorrere la loro strada. Età di lettura: da 13 anni.
Niente di più facile, per imparare la matematica, che leggere i racconti di un bambino al suo fratellino curioso e creativo! Anche la statistica, la logica, le relazioni, il calcolo combinatorio diventano semplici. Non mancano quiz e rompicapo, ideati dai protagonisti insieme alla loro amica Bianca, a rendere il testo divertente e stimolante. Una novità: Anna Cerasoli propone alcune pagine di approfondimento per gli adulti che vogliono guidare il giovane lettore nella riflessione sui concetti matematici presentati nei vari capitoli. Età di lettura: da 8 anni.
Felice Lasco torna a Napoli, nel rione Sanità, dopo quarantacinque anni trascorsi fra Medio Oriente e Africa. La madre sta morendo e lui la accudisce fino all'ultimo con tardiva ma amorosa pazienza. Poi, invece di tornare al Cairo dove lo aspetta l'amata compagna, Felice sembra obbedire al richiamo delle radici e di un destino, e resta. Resta perché in attesa dell'incontro fatale con Oreste, noto ormai come delinquente incallito. Felice racconta a un medico dell'ospedale San Gennaro dei Poveri e a don Luigi Rega, prete combattivo e maieuta, la sua storia. Ha diciassette anni, fiero della sua Gilera e della sua amicizia con Oreste Spasiano, detto Malommo, compagno di sortite per i vicoli e di piccoli scippi. Poi, imprevedibile, il delitto di un usuraio. Oreste gli sfonda la testa. Felice è agghiacciato, non tradisce l'amico ma si chiude in un silenzio pieno di angoscia finché uno zio non lo porta con sé a Beirut, dove comincia una nuova vita. Ora, dopo tanto tempo, Felice si espone alla sofferta bellezza della sua città, alla disperazione e anche al formicolare di speranze che agitano il Rione Sanità, illuminato dal testardo operare di don Rega. Come da copione, però, Oreste attende Felice perché in realtà alla Sanità il Male lavora anche contro la Storia. E non c'è riscatto veramente possibile.
Ancora una volta, una manciata di storie di qualità con cui Manuel Vázquez Montalbán ci sorprende mediante le capacità di chiaroveggenza politica e la passione per le vicende umane che da sempre hanno caratterizzato l'intera sua opera. Perché, anche qui, di Carvalho si tratta: dei libri una volta forse amati che Pepe brucerà, di spie, baccalà e vini, di violenza suicida e luoghi di una Barcellona sempre più scomparsa, insieme a rivoluzioni sbiadite e critiche feroci, ricche di quella lucidissima ironia che contraddistingue il nostro autore; senza tralasciare un'Italia che tanti di noi hanno vissuto e che tuttora serpeggia con ben scarsi mutamenti nei sotterranei del potere. A chiudere questo volume, un monologo teatrale in cui il nostro detective affronta l'autore rimproverandolo per la sfacciataggine con cui lo ha condotto sino alla fine di un millennio che irrimediabilmente li vorrà separare.
Ogni vita umana chiede di essere salvata. Ogni vita umana si fa strada nel mondo impersonale delle convenzioni, si scava nella pietra refrattaria dei conformismi, si mette in cerca della voce segreta che la chiama a spogliarsi di ciò che è noto ma non le appartiene, per assumere fino in fondo ciò che le appartiene ma non conosce ancora. È sull'onda di questa idea di salvezza che Romano Màdera rivisita il pensiero di Carl Gustav Jung, mettendo al centro della sua rilettura il documento più enigmatico dell'intera opera junghiana, quel Libro rosso che lo psicoanalista svizzero aveva composto in una stagione segnata dal travaglio interiore e dalla necessità drammatica della trasformazione della propria vita come del proprio pensiero. Màdera rilegge con pazienza e audacia queste pagine sconcertanti e personalissime regalandoci una rivisitazione filosofica e quasi sapienziale del lascito junghiano. E ci dona un libro capace di misurarsi in maniera radicale con gli enigmi tutti umani del sacro come potenza di trasformazione, della morte interiore come fuga dai pericoli della metamorfosi, della rinascita come incalcolabile avventura del divenire se stessi.