New York, ottobre 1927. Sono i giorni in cui Sam Warner, il più autorevole dei Warner Bros, con l'introduzione del sonoro, sta cambiando per sempre la storia del cinema e della cultura del Novecento. Assistente del grande produttore cinematografico è il giovane Jake Singer, che dopo la morte improvvisa di Warner passerà al servizio di Joe Kennedy, il capostipite della più importante famiglia americana del XX secolo. Kennedy è un uomo controverso, duro, discusso, smodatamente ambizioso e disposto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi. Ma è anche intelligentissimo, visionario e coraggioso. La sua, e quella dei suoi figli, sarà una storia leggendaria e drammatica, di cui Jake Singer è testimone privilegiato e narratore, e col suo racconto, serrato e avvincente, ci restituisce luci, ombre, atmosfere e protagonisti di una famiglia che è diventata mito. Con "Il principe del mondo" Antonio Monda continua la sua ricostruzione romanzesca di New York, la "capitale del mondo", la città dove tutto accade, il cuore pulsante del secolo americano.
Il dolore è come l'amore, è una potenza creatrice. Quando si ama tanto si crea: una famiglia, un figlio, un dipinto, parole nuove... Il dolore fa lo stesso. Quando è troppo forte deve diventare qualcos'altro. Mariangela Tarì, madre di due figli colpiti entrambi da gravi malattie, l'ha visto accadere. Mamme e papà senza più figli che si aggirano negli ospedali, che creano associazioni, che lottano per leggi più eque. Genitori attraversati da un dolore troppo grande che scartano l'odio e piantano ancora margherite. In queste pagine impetuose, vitali, la sofferenza si trasforma in energia, progettualità, combustile da bruciare "perché quando si ammala un bambino tutti si ammalano, tranne il bambino. Lui non sa di essere malato". E allora non resta che alzarsi dal letto, andare nel mondo, sforzarsi di vedere la bellezza e fare spazio alla felicità. Sì, perché gli anni di lotta giornaliera contro la malattia, la burocrazia, la società hanno reso limpida in Mariangela la consapevolezza che la felicità è una scelta. Di più: l'esercizio di forzare la felicità alla lunga la rende possibile. Ed evidentemente anche contagiosa, perché leggendo questo libro sentiamo l'impulso a vivere di più, con più gioia, leggerezza, affrontando anche la paura e il rifiuto, e poi andando oltre. Un racconto catartico, che ha origine da una lettera scritta d'impulso a un quotidiano e pubblicata sulla prima pagina della "Repubblica" nell'ottobre del 2018, la prima scintilla di una fiamma che Mariangela Tarì tiene accesa insieme alla sua famiglia, agli amici, agli altri genitori e a tutti i caregiver, coloro che si prendono cura. Questa è una storia grande perché riguarda tutti, è un ponte lanciato tra chi vive la disabilità sulla propria pelle e chi la sfiora soltanto.
Nel settembre del 1993, a Norfolk (Virginia), le acque del fiume Lafayette restituiscono il corpo senza vita della diciassettenne Sarah Wisnosky. Fin dal principio i sospetti ricadono sul fidanzato, il ventiseienne italo-americano Derek Rocco Barnabei, che, al termine di un processo indiziario durato tre settimane, è condannato a morte per violenza sessuale e omicidio. Barnabei si dichiarò innocente e vittima di un complotto. In molti si mobilitarono contro la sentenza. Intervennero esponenti politici, il Parlamento europeo - che adottò all'unanimità una risoluzione sulla pena di morte citando nel documento il caso Barnabei, definendolo controverso, e chiedendo di commutare la condanna in ergastolo -, persino papa Giovanni Paolo II si unì agli appelli. Tuttavia gli estremi tentativi di bloccare l'esecuzione non sortirono alcun effetto. La Corte suprema rigettò i ricorsi presentati e Derek Rocco Barnabei fu giustiziato in Virginia il 14 settembre 2000. Alessandro Milan, agli inizi della sua carriera in una appena nata Radio24, intervistò più volte Barnabei e collaborò a due straordinarie dirette dal braccio della morte. In queste pagine, Milan fonde la puntualità dell'inchiesta giudiziaria con il racconto autobiografico, perché la vicenda di Barnabei non è per lui solo una prova giornalistica, ma un incontro umano che lo investe e lo segna personalmente. Per vent'anni ha cercato risposte agli interrogativi e ai dubbi sulla verità di Derek, seppure nella convinzione che nessuna risposta possa giustificare la barbarie di una condanna a morte. La pena capitale «è sbagliata, sempre e comunque, anche per chi si è macchiato di un crimine efferato oltre ogni ragionevole dubbio». È soltanto una vendetta, «di Stato, ma pur sempre vendetta».
Era il 3 gennaio 1983 quando la rivista «Time» assegnò per la prima volta nella sua storia il premio di «persona dell'anno» non a un essere umano bensì al personal computer. Quella celebre copertina sanciva una svolta epocale, l'inizio di una rivoluzione tecnologica che ci avrebbe traghettato verso il mondo nuovo, veloce e leggero dell'Intelligenza Artificiale. Un mondo immateriale, dove però i prodotti della ricerca avanzata sono sempre più concreti. Con il tempo l'Intelligenza Artificiale ha smesso di cercare di riprodurre il nostro modo di ragionare, non è più un "imitation game". È diventata una forma di intelligenza diversa, che partendo dai dati e dall'esperienza è capace di imparare e quindi di parlare, vedere, sentire, guidare, muoversi e interagire con gli esseri umani. Lavora con l'uomo nella medicina elaborando migliaia di immagini, nell'industria, nella finanza, supporta la sicurezza nazionale e può diventare pericolosa se progettata o utilizzata in modo sbagliato. Anche per questo siamo indotti a chiederci fino a dove potrà spingersi e se ci siano dei confini etici da non valicare. Come ogni tecnologia l'Intelligenza Artificiale non è né buona né cattiva, ma può essere usata in modo corretto oppure inopportuno. Certo la scienza, per definizione, è libera, democratica e al servizio dell'umanità, ma proprio per questo serve una struttura normativa internazionale, perché più una tecnologia è potente, più dev'essere affidabile e sicura. Questo libro ci racconta la storia e l'evoluzione dell'Intelligenza Artificiale dalla voce di chi la sta progettando giorno per giorno nei centri di ricerca italiani e spiega come essa sia frutto del pensiero, del controllo e del comportamento umano. Siamo noi i suoi maestri e i suoi giudici. Quindi saranno il nostro sentire, la nostra cultura e il nostro umanesimo a disegnarne il futuro.
Questo libro fortemente organico, che segna la piena, raggiunta maturità di un poeta, si impone per l'identità forte della sua struttura e per le articolazioni di una narrazione lirica condotta attorno all'emblematica figura di un protagonista, volutamente anche troppo umano, pur cangiante nel suo apparire, e proposto con il nome di Caino. Un nome che rivela la forte nostalgia di un paradiso perduto, nell'apparizione dei «molti colori del male» che segnano il nostro essere nel mondo, dunque nella storia e nei luoghi, nelle diverse generazioni e civiltà e nella memoria. Alessandro Rivali compie in questi suoi versi un viaggio apertissimo e inquieto, e ne dà un resoconto d'impronta lirica, ma che spesso si avvicina, anche per i toni, a un vero e proprio disegno epico. Eccoci allora, per non citare che qualche episodio, dai Sumeri e Gilgamesh ai congelati del Don nel '42, con esempi di violenza e guerra, ma non di meno con il manifestarsi delle opere di grandi artisti come Leonardo Bistolfi, Arturo Martini, Marc Chagall o Miró, ma anche di Ezra Pound, orrendamente ingabbiato nel '45, eppure capace di splendidi versi dei "Cantos". Tra i molti luoghi in cui il viaggio poetico si svolge, domina peraltro Genova, città natale dell'autore, con il popolo di morti del cimitero di Staglieno. Ma il dolore non esclude affatto l'amore, la ricerca di un volto paterno totale, il riparo della tenerezza, così come l'aprirsi in momenti nei quali si manifesta improvviso un realismo dai vivi contorni marcati. Alessandro Rivali realizza una poesia nella quale si impone la potenza delle immagini guidate dal pensiero, nella continuità di una insolita e densissima energia espressiva, che nelle terzine del testo finale, dedicato al commovente monumento funebre di Margherita di Brabante di Giovanni Pisano, trova un sensibilissimo, delicato compimento esemplare.
È cominciata la seconda guerra fredda. Sarà profondamente diversa dalla prima. Cambieranno molte cose per tutti noi, nella sfida tra America e Cina nessuno potrà rimanere neutrale. L'economia e la finanza, la scienza e la tecnologia, i valori politici e la cultura, ogni terreno sarà investito dal nuovo conflitto. Dobbiamo smettere di parlare di globalizzazione come se fosse irreversibile: la sua ritirata è cominciata. Federico Rampini ci costringe a rivedere i luoghi comuni, ci apre gli occhi. Perché il mondo è cambiato molto più di quanto gli occidentali si rendano conto.
Carlo I, noto con l'appellativo di «Magno», è stato senz'altro una delle figure più straordinarie che abbiano mai governato un vasto impero europeo. Proclamatosi consapevolmente non solo «re dei Franchi», ma nuovo «imperatore» del Sacro Romano Impero, fu un uomo capace di imprese eccezionali. Per i successori e posteri non è stato facile raccoglierne l'eredità, nel corso dei secoli più volte reinterpretata, copiata, sovvertita. La sua figura è stata celebrata anche in tempi moderni da sovrani e ideologi, come il Kaiser Guglielmo II e Adolf Hitler, e dopo la seconda guerra mondiale è stata reinventata come icona dell'attuale Europa. Ma dietro al mito c'è una vita e un uomo, che oggi Janet L. Nelson, studiosa dell'età medievale, dopo un attento lavoro sulle fonti riporta alla luce. Accostandosi a questo personaggio da angolature inconsuete e seguendone l'intero percorso di vita fin dalla prima infanzia, l'autrice lascia che a parlare siano i documenti coevi - testimonianze di contemporanei che ci consentono di avanzare ipotesi sulle sue opinioni e motivazioni - e gli stessi diplomi reali, fonti insospettabili di simboli e metafore che possono essere decifrati. L'accuratezza delle ricerche, che non tralascia la vasta produzione storiografica esistente, svela il ritratto di un governante spinto da un'energia fisica fuori dal comune e da una formidabile curiosità intellettuale, una personalità complessa, «un signore della guerra, un uomo di pace e un giudice» che promise «per ciascuno la legge e la giustizia», un difensore della Chiesa romana, ma soprattutto un uomo in carne e ossa, che ebbe numerose mogli e concubine, e generò almeno diciannove figli, uno dei quali complottò persino per ucciderlo. Il libro di Janet L. Nelson raccoglie tutto ciò che sappiamo su Carlo Magno e riesce in modo incomparabile a creare un senso di affinità e vicinanza con un personaggio storico le cui gesta non saranno mai dimenticate.
Italiana. Una donna italiana. Maria Oliverio, altrimenti conosciuta come Ciccilla, nasce a Casole, nella Sila calabrese, da famiglia poverissima. Dalle strade del paese si sale sulla montagna che è selvaggia, a volte oscura, a volte generosa come una madre. Quelle strade, quei sentieri li imbocca ragazzina quando la sorella maggiore Teresa, tornata a vivere in famiglia, le toglie il letto e il tetto. E quelli sono i sentieri che Maria prende per combattere al fianco di Pietro, brigante e ribelle, diventando presto la prima e unica donna a guidare una banda contro la ferocia dell'esercito regio. Se da una parte Teresa trama contro di lei una incomprensibile tela di odio, dall'altra Pietro la guida dentro l'amore senza risparmiarle la violenza che talora ai maschi piace incidere sul corpo delle donne. Ciccilla passa la giovinezza nei boschi, apprende la grammatica della libertà, legge la natura, impara a conoscere la montagna, a distinguere il giusto dall'ingiusto, e non teme di battersi, sia quando sono in gioco i sentimenti, sia quando è in gioco l'orizzonte ben più ampio di una nuova umanità. Il volo del nibbio, la muta complicità di una lupa, la maestà ferita di un larice, tutto le insegna che si può ricominciare ogni volta daccapo, per conquistarsi un futuro come donna, come rivoluzionaria, come italiana di una nazione che ancora non esiste ma che forse sta nascendo con lei. Giuseppe Catozzella ricostruisce le vicende di Maria Oliverio in un romanzo vivo, mescola documenti e leggenda, rovescia la sua immaginazione nella nostra, disegna dramma famigliare e dramma storico ed evoca l'epica grandezza di una guerra quasi ignorata, una guerra civile combattuta in un mulinare di passione, sangue e speranza, come nella tradizione dei poemi cavallereschi, del melodramma e del cinema americano.
Pubblicate grazie al lavoro di decine di artigiani tra il 1861 e il 1868, le incisioni di Gustave Doré per la "Divina Commedia" riscossero da subito un grande, meritato successo, tanto da imprimere i regni d'oltretomba nell'immaginario di più generazioni. Forse solo Michelangelo, nelle sue illustrazioni perdute per la "Commedia", aveva saputo rendere con energia paragonabile la plasticità tormentata dei corpi dei dannati, solo Botticelli la grazia e la leggerezza angelica dei beati. Impareggiabile resta la capacità di Doré di creare paesaggi inediti, dai mostruosi antri infernali mai toccati dal sole alla luminosità rarefatta dell'Empireo. Questo volume riproduce in forma integrale le centotrentacinque tavole, legandole con didascalie narrative che consentono di ripercorrere il viaggio dantesco "leggendo" le immagini: un omaggio al genio di Doré e insieme un invito a esplorare la "selva" dell'opera dantesca.
"Succede sempre qualcosa di meraviglioso" è il racconto di un viaggio che ha come protagonista Davide, un ragazzo che vede tutte le sue certezze crollare una dopo l'altra, fino a perdere il desiderio di vivere. E Guilly, un personaggio fuori dal tempo che Davide, per caso o per destino, incontra in Vietnam e da cui apprende un modo alternativo e pieno di luce di prendere la vita. Una storia di rinascita in cui perdersi per ritrovarsi, che Gianluca Gotto racconta portando il tema della ricerca della felicità - già affrontato nell'autobiografia "Le coordinate della felicità" - su un piano universale: la destinazione finale di questo viaggio non è conquistare un certo tipo di vita, ma uno stato d'animo. Una sensazione di calore che è sempre dentro di noi, indipendentemente da quello che il destino ci ha riservato. Potremmo chiamarla in tanti modi: serenità, pace interiore, leggerezza, calma. Oppure, come direbbe Guilly, "la sensazione di essere a casa, sempre".