Questa dissertazione studia il cosiddetto processus brevior introdotto nella legislazione processuale canonica nel 1971 dal Motu proprio Causas matrimoniales di Paolo VI e confermato nella nuova codificazione sia latina che orientale. Dopo aver chiarito se possa essere considerata "d'appello" oppure no, se ne mostra l'autentica indole giudiziaria. Viene poi studiato il tema dei limiti della pronuncia giurisdizionale e della disponibilità delle parti sul rapporto processuale, affronta le questioni di carattere processuale quali la possibilità di acquisizione delle prove, l'oggetto della valutazione dei giudici, la forma e il tipo di motivazione del decreto.
Questi saggi, diventati altrimenti quasi introvabili, meritano ampiamente questa nuova edizione in quanto anticipano o riprendono tematiche più o meno presenti nelle opere più impegnative cioè nei trattati fondamentali di metafisica e di etica filosofica del nostro filosofo- da porsi in quest'ordine nella elaborazione nel tempo del suo pensiero. La meritano perché, conservati assieme, permettono sia di sottolineare non poche valide acute osservazioni che non sono riprese, essendo diventate più marginali nella struttura logicamente concatenata dei trattati maggiori , sia perché diventano indispensabili complementi anche per le tematiche centrali delle opere maggiori quando sono ripresa, sempre significativa e mai puramente ripetitiva, di un approccio precedente o quando costituiscono la prima ben pensata introduzione d'una trattazione seguente.
La tesi che si articola in tre parti, attraversa lo spazio temporale che dal CIC/1917 conduce al CIC/1983 ripercorrendo il pensiero del magistero e di alcuni canonisti in ambito sia ecclesiastico che statale. Ciò che emerge è l'aequitas definita sapiens dal terzo dei principi che hanno guidato la revisione del codice, spirito profondo della legislazione ecclesiale ossia la ricerca della giustizia .
La mia ricerca ha avuto l'umile scopo di dare più luce per una buona utilizzazione delle istituzioni del vicario episcopale e del vicario foraneo. La Chiesa da tempo ha bisogno di decentrare le funzioni del vescovo.La Chiesa aveva bisogno di assumere l'istituzione del vicario e integrarla, come un'istituzione a servizio della costruzione del Regno di Dio e per compiere una migliore pastorale salus animae che è in Ecclesia suprema lex. Questa è la causa fondamentale dell'istituzione del vicario e del suo inserimento nel seno della Chiesa. L'istituzione vicariale ecclesiale si è sviluppata molteplicemente come al procuratore al vicario funzionale ecclesiastico e all'amministratore funzionale ecclesiastico. Si è sviluppato come un'istituzione che rafforza e supplisce efficacemente e specialmente il governo del vescovo. Con queste considerazioni, mi accingo a una ricerca basata sulla comparazione ha il vicario episcopale e il vicario foraneo.