«La scuola deve essere un po' meglio della società che la circonda, se no cosa ci sta a fare?». Un maestro, i suoi piccoli alunni, un paese umbro di duemila anime e il mondo che irrompe con le sue tempeste dentro un'avventura pedagogica innovativa. L'attrito, lo scontro a volte, tra una educazione improntata all'apertura e la società in cui si diffondono con energia inattesa diffidenza, rancore e odio verso chi arriva: «Come educare alla convivenza quando nuovi veleni si diffondono nel piccolo villaggio in cui abitiamo e, ancor più, nel grande villaggio mediatico planetario nel quale siamo immersi?». E al fondo l'amarezza con cui si avverte che ciò che unisce, acquieta e rallegra è troppo debole spesso, e che il sospetto può vincerla sull'attitudine amichevole e curiosa verso ciò che è insolito e sorprendente. Il maestro Franco Lorenzoni nei suoi libri racconta il tempo quotidiano delle classi elementari dove insegna. Lo fa unendo il diario di esperienze didattiche vive, ricche di continui dialoghi tra bambine e bambini, con una grande quantità di storie e ritratti individuali. Al centro delle cronache de "I bambini ci guardano" c'è la scoperta del dramma dell'emigrazione, suscitata dalla foto del piccolo Aylan, trovato esanime sulla spiaggia di un'isola greca, evocata in classe da una bambina. A partire da quella immagine e da una ricerca rigorosa intorno ai dati del migrare oggi, la classe allarga il lavoro e la riflessione su violenza, guerra e discriminazioni nella storia, confrontandosi anche con l'arrivo in paese e la controversa ospitalità di una decina di profughi. Ed è presente in questo libro una piega riflessiva di intimo bilancio. La radicalità della crisi pubblico-privata, emersa prepotentemente in questi anni, è esposta nella maniera giocosa, semplice ed elementare, con cui i bambini scoprono le carte del mondo.
Scompare, letteralmente nel nulla, un furgone portavalori. Era carico di quasi tre milioni, le entrate del casinò di Saint-Vincent. Le dichiarazioni di una delle guardie, lasciata stordita sul terreno, mettono in moto delle indagini abbastanza rutinarie per rapina. Ma nell'intuizione del vicequestore Rocco Schiavone c'è qualcosa - lui la chiama «odore» - che non si incastra, qualcosa che a sorpresa collega tutto a un caso precedente che continua a rodergli dentro. «Doveva ricominciare daccapo, l'omicidio del ragioniere Favre aspettava ancora un mandante e forse c'era un dettaglio, un odore che non aveva percepito». Contro il parere dei capi della questura e della procura che vorrebbero libero il campo per un'inchiesta più altisonante, inizia così a macinare indizi verso una verità che come al solito nella sua esperienza pone interrogativi esistenziali pesanti. Il suo metodo è molto oltre l'ortodossia di un funzionario ben pettinato, e la sua vita è piena di complicazioni e contraddizioni. Forse per un represso desiderio di paternità, il rapporto con il giovane Gabriele, suo vicino di casa solitario, è sempre più vincolante. Lupa «la cucciolona» si è installata stabilmente nella sua giornata. Ma le ombre del passato si addensano sempre più minacciose: la morte del killer Baiocchi, assassino della moglie Marina, e il suo cadavere mai ritrovato; la precisa, verificata sensazione di essere sotto la lente dei servizi, per motivi ignoti. Sembra che in questo romanzo molti nodi vengano al pettine, i segreti e i misteri; ed in effetti, intrecciate al filone principale, varie storie si svolgono. Così come si articolano le vicende personali (amori, vizi, sogni) che sfaccettano tutti gli sgarrupati collaboratori in questura di Rocco. Una complessità e una ricchezza che danno la prova che Antonio Manzini si proietta oltre il romanzo poliziesco, verso una più universale rappresentazione della vita sociale e soprattutto di quella psicologica e morale. Ed è così che il personaggio Rocco Schiavone, con il suo modo contorto di essere appassionato, con il suo modo di soffrire, di chiedere affetto, è destinato a restare impresso nella memoria dei suoi lettori.
Un tram, che si fa immaginare come isola di luce nel buio della notte di Natale, viaggia nell'estrema periferia. Dentro porta un mistero, fragile e abbandonato. Salgono povere persone che hanno finito la giornata. La prostituta deportata dall'Africa, il suo disgraziato cliente, il clandestino che vive di espedienti, l'artista vinto dalla malattia, l'infermiera assediata dalla solitudine, il ragazzo che non riesce a mettere insieme la cena per la compagna e la figlia. Vanno verso la notte di vigilia che li aspetta, o che semplicemente non li aspetta. Ciascuno porta con sé, nei pensieri, nel ricordo, sul corpo, una storia diversa e complicata, che parla di loro stessi e di altri, ma pur sempre impastata di impotenza e di rabbia. Ma quel mistero gettato in fondo ai sedili, dietro la cabina dell'autista assuefatto all'indifferenza, li raccoglie tutti insieme, come un presepe viaggiante, miraggio di salvezza. Per quanto ognuno di loro senta che non c'è salvezza fuori da quel tram di Natale. Nella sua prosa fortemente lirica, che ha la capacità di modularsi ai momenti del racconto, quasi di musicarli, Giosuè Calaciura con gli strumenti della letteratura ci restituisce l'urgenza, la profondità e le contraddizioni del nostro tempo. Alla Dickens (il cui Canto di Natale questo racconto apertamente richiama), senza timidezze nel mettersi decisamente dalla parte della denuncia e dell'impegno.
Un'intuizione, un'illuminazione o solo il colpo del fato e basta una giornata per risolvere un caso. Certo ci vuole una giornata particolare, che l'investigatore non potrà più dimenticare: lunga, avventurosa, paurosa e molto eccitante, che lo farà riflettere su quanto strano può essere il mondo del delitto. Ecco il tema su cui i nostri autori hanno ingaggiato i loro eroi (e antieroi) in questa nuova antologia del giallo. Il commissario Montalbano, in un giorno che sembrava di bonaccia, constata quanto è scomodo stare tra l'incudine dello Stato e il martello della mafia. Saverio Lamanna (racconta Gaetano Savatteri) a Gibellina, città d'arte, scopre una vendetta contro l'arte stessa. Tiziana la banconista del BarLume è ad Amsterdam, il suo autore Marco Malvaldi l'ha messa lì per inseguire un gioiello. Il giovane Daquin, il poliziotto di Dominique Manotti, è a Marsiglia nel 1973 in un giorno di caccia all'algerino. C'è una biscia ammaestrata, nel racconto di Piazzese, di cui trovare al più presto i padroni e scoprire un mistero. Al pensionato Consonni della Casa di Ringhiera (autore Francesco Recami) in un giorno succedono tante involontarie peripezie da incastrare un delinquente. La giovane poliziotta Angela Mazzola (creatura di Gian Mauro Costa) nel suo giorno di riposo si chiede perché si usino i kalashnikov per rubare dei carciofi. Petra Delicado (di Alicia Giménez-Bartlett) ha un giorno di ordinaria follia per sperimentare quanto per alcuni «l'infelicità è un destino».
Il giornalista (e detective per caso) Saverio Lamanna ha avuto l’incarico di scrivere per un giornale on-line alcuni articoli sui siti siciliani dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Parte, non a caso, dalla Valle dei Templi di Agrigento; proprio in quei giorni, infatti, la sua fidanzata Suleima che ora vive a Milano sarà in quella zona della Sicilia per accompagnare il titolare dello studio di architettura dove lavora. Lamanna, alle prese con qualche problema di gelosia, viaggia naturalmente in compagnia di Peppe Piccionello, sua spalla confidente e mentore, che deve svolgere una piccola indagine familiare. Giunti nella Valle si trovano nel bel mezzo di una contesa scientifica: sono infatti affiorate da uno scavo archeologico alcune pietre che sembrano indicare la presenza dell’antico Teatro greco. Ricercato da secoli, mai ritrovato, è uno dei rompicapo degli archeologi di tutto il mondo che si sono dati appuntamento proprio in quei giorni in un congresso per discutere della scoperta e accertare se quelle pietre siano davvero i resti di uno dei più grandi teatri dell’antichità. Ma nel corso del convegno la comunità di studiosi e ricercatori viene scossa dalla morte violenta del professor Demetrio Alù, docente emerito e autorità dell’archeologia siciliana. Un delitto inspiegabile, consumato in un angolo di paradiso, tra mandorli, rovine e ulivi saraceni, sotto lo sguardo del Tempio della Concordia. Toccherà a Lamanna e Piccionello risolvere questo mistero nel mistero, nell’unico modo in cui sanno farlo: irriverente e appassionato, icastico e dissacrante. L’indagine svagata e serrata di due investigatori involontari dotati solo delle armi dell’intelligenza e dell’ironia.
Nelle cucine di un ristorante di lusso a Zurigo lavora Maravan, un giovane tamil che viene dallo Sri Lanka. Come molti suoi connazionali è fuggito dalla guerra per giungere in Europa, sperando nell’asilo politico e con la responsabilità di aiutare la famiglia rimasta in patria. Nel ristorante gli vengono assegnati solo i compiti più umili e noiosi, ma lui non se la prende. Ha un carattere amabile e ottimista, possiede una fede devota, con i suoi riti e le sue divinità, e soprattutto è un cuoco dall’olfatto e dalle qualità straordinari.
La prima a scoprirlo è la disinibita Andrea, una cameriera dello stesso locale. Per lei Maravan cucina il vero curry, ispirato alla tradizione culinaria di famiglia con qualche personale innovazione. La ragazza, nel corso di una cena indimenticabile, avrà un’idea che cambierà il loro futuro: dovranno mettersi in proprio e aprire una ditta. Si chiamerà «Love Food» e proporrà un Love Menu, consegna a domicilio di raffinati manicaretti afrodisiaci capaci di stimolare il desiderio delle coppie annoiate. I primi clienti arrivano grazie a una terapista specializzata, ma la voce si sparge rapidamente. In un contesto che scopre con angosciato stupore la possibilità del fallimento, e che diviene sempre più instabile e ingiusto, i piaceri – del corpo, della mente, del palato – diventano merci preziose. Le sensuali ed efficaci ricette di Maravan sanno restituire gusto ed emozione alle serate di coppie abbienti, a personalità della politica, a uomini d’affari in cerca di sensazioni forti. Ma attraggono anche figure ambigue, che vivono ai margini del potere e della ricchezza…
Il talento del cuoco racconta con tono sagace, ironico e riflessivo l’aspra complessità di un ingranaggio sociale che rimescola il destino di persone lontane e diverse e le porta sullo stesso palcoscenico, in uno spazio in cui i gesti e le parole di ognuno riguardano e influenzano le vite degli altri. E allora tra noi e loro, tra gli abitanti di nazioni e città che si vogliono solide e antiche, e quei popoli che crediamo spuntare dal nulla per turbare il nostro ordine e il nostro benessere, nasce un legame profondo, che ha bisogno di una scoperta continua, di una curiosità che può svelare quei mondi quasi del tutto invisibili che convivono quotidianamente accanto a noi.
Uno strano silenzio avvolge la casa di ringhiera, vuoto l’appartamento di Amedeo Consonni, vittima di uno scontro fatale nel cortile; lontana Angela Mattioli, legata all’ex tappezziere, che di stare in quella casa non ha voluto saperne più; alle terme la signorina Mattei-Ferri, che dalla sua finestra sul cortile registra entrate e uscite dal condominio; assente anche il De Angelis che si è allontanato non si sa bene per dove. Solo l’appartamento n. 15 è abitato regolarmente dalla famiglia Giorgi, anzi da Donatella con i precoci e inquietanti figli Gianmarco e Margherita, mentre il marito Claudio, ormai disintossicato dall’alcol, non è comunque ritornato in famiglia. Donatella ha scovato nella camera di Margherita il suo diario segreto. Trovarlo e leggerlo per la madre è un tutt’uno, scopre così un mondo che mai avrebbe potuto immaginare: dov’è la sua bambina in quelle pagine smaliziate ed esperte? Chi sono quelle compagne che sul sesso la sanno così lunga, e quegli accenni a panetti di droga cosa vorranno dire? Margherita si destreggia molto bene con la scrittura, ci sono i riassunti di libri che ha letto, osservazioni acute sulle prof, lettere al padre disinvolte e le risposte di Claudio. E poi c’è un segreto che aleggia, un segreto che Margherita non può affidare neanche al suo diario, qualcosa che ha a che fare con la casa di ringhiera e Amedeo Consonni… Donatella sente di dovere intervenire, di doversi vendicare di quelle compagne che stanno traviando la sua piccola innocente, e lo fa nel modo più incredibile, aiutandosi con la rete e il web ai quali proprio i suoi figli l’hanno iniziata.
«Non ci abbiamo capito niente, Deruta. Forza, al lavoro». Due coltellate hanno spento la vita di Romano Favre, un pensionato del casinò di Saint-Vincent, dove lavorava da «ispettore di gioco». Il cadavere è stato ritrovato nella sua abitazione dai pochi vicini di casa dell'elegante palazzina, e serra in mano una fiche, però di un altro casinò. Rocco Schiavone capisce subito che si tratta «di un morto che parla» e cerca di decifrare il suo messaggio. Si inoltra nel mondo della ludopatia, interroga disperati strozzati dai debiti, affaristi e lucratori del vizio, amici e colleghi di quel vedovo mite e ordinato. Individua un traffico che potrebbe spiegare tutto; mentre l'ombra del sospetto sfiora la sua casa e i suoi affetti. Ed è ricostruendo con la sua professionalità la tecnica dell'omicidio, la scena del delitto, che alla fine può incastrare l'autore. Ma il morto è riuscito a farsi capire? Forse non basta scavare nel passato: «Favre ha perso la vita per un fatto che deve ancora accadere». Il successo dei libri di Antonio Manzini deve probabilmente molto al loro andare oltre la semplice connessione narrativa tra una cosa (il delitto) un chi (il colpevole) e un perché (il movente). Con le inchieste del suo ruvido vice-questore, Manzini stringe il sentire del lettore a una vicenda umana complessa e completa. Così i suoi noir sono in senso pieno romanzi, racconto delle peripezie di un personaggio che vale la pena di conoscere, sentieri esistenziali. Sono, messi uno dietro l'altro, la storia di una vita: Rocco Schiavone, un coriaceo malinconico che evolve e cambia nel tempo, mentre lavora, ricorda, prova pietà e rabbia, sistema conti privati e un paio di affari. Sicché, in "Fate il vostro gioco", il vice-questore riconosce apertamente un semifallimento: ha smascherato il criminale ma troppe cose non tornano. Resta un buco nella sua consapevolezza che gli rimorde come una colpa, e deve colmarlo. Lo farà, si ripromette, la prossima volta e, per il lettore, nella prossima avventura.
Servire Dio e vendicarsi. Questo è nel cervello di un ragazzo che si prepara a commettere un attentato, e che ha deciso di donare la propria vita per una causa più alta. In fondo chi sono i criminali, quelli che si fanno esplodere o coloro che le loro azioni, le loro parole inopportune, hanno reso possibile, e magari necessaria, la carneficina? Khalil e Rayan sono di origini marocchine, cresciuti insieme in Belgio. Rayan si è integrato senza problemi mentre Khalil è preda di un furore disordinato, e litiga costantemente con la sua famiglia. Frequentando la moschea incontra dei nuovi amici, e il suo pensiero, la sua determinazione, iniziano a cambiare. Un sentimento ispirato e tragico lo spinge all'azione, e lo prepara a commettere l'impensabile. Fin quando a Parigi, su un vagone gremito della metropolitana all'uscita dello stadio di Saint-Denis, Khalil recita un'ultima preghiera e preme il detonatore della sua cintura esplosiva. Chi è Khalil? Quali passioni lo muovono, quali visioni lo portano verso il suo destino? Il romanzo di Yasmina Khadra scruta nella mente di un terrorista seguendone ogni percorso e sfumatura, dall'indottrinamento carico di odio alla presa di coscienza, costringendo chi legge a sospendere ogni giudizio morale, a riconsiderare ogni parere e convinzione. È tra le poche opere letterarie contemporanee ad offrire una riflessione approfondita sul concetto di multiculturalismo, di islamofobia, che sappia raccontare la ghettizzazione, l'intolleranza religiosa, il fascino per la violenza. Khadra nel corso degli anni non ha mai smesso di denunciare il terrorismo islamico e le menzogne del fanatismo religioso, con prese di posizione costanti e decise. Con questo romanzo, attraverso Khalil, Rayan e gli altri personaggi, apre una porta sul mondo dell'integrazione e del suo rifiuto, sulle difficoltà che si incontrano per mantenere viva e vitale la propria cultura, per plasmare la propria identità.
Il cielo è grigio su Bruxelles, si avvicina l’anniversario dei cinquant’anni dalla fondazione della Commissione europea e allo scopo di rilanciarne gli ideali alcuni funzionari della Direzione cultura avviano un curioso tentativo, un grande giubileo incentrato su Auschwitz mobilitando gli ultimi sopravvissuti ai campi di concentramento come testimoni dei proponimenti che sono all’origine della UE, nata dalle ceneri delle atrocità naziste. L’idea scatena l’anima rissosa ed egoista dei paesi membri e insieme esalta gli interessi personali dei burocrati. Nel frattempo le strade della città sono affollate di allevatori che protestano con i forconi in mano, di mandrie di turisti con i selfie stick, e 22.000 funzionari, uomini e donne, solitari avamposti delle loro società e tradizioni, si adoperano senza sosta per favorire il dialogo tra le culture e gli interessi del loro paese di origine, e la notte restano seduti sul bordo del letto a bere un ultimo bicchiere di vino. Tutto alimenta un ingranaggio di bizantina complessità, crocevia del potere e dell’economia internazionale, babele di lingue diverse, mentalità incompatibili e interessi particolari: un caos sempre sul punto di esplodere.
Robert Menasse, dopo un lungo soggiorno di ricerca e due saggi sull’argomento, racconta una città e un luogo simbolico della storia e della cronaca contemporanea, il cuore politico e amministrativo dell’Europa unita, la capitale scelta perché il Belgio era il primo paese in ordine alfabetico tra le sei nazioni fondatrici e da allora in attesa, come Godot, di una rotazione che non avverrà mai. Il suo è un romanzo di sfrenata ingegnosità, un labirinto di invenzioni e umorismo, un castello gotico di sentimenti e potere, passioni e paure. Tra un maiale che corre libero per le strade e un omicidio che sembra passare inosservato prende forma un panorama di grandi emozioni e grigia amministrazione, costellato di eroi tragici, di ambiziosi perdenti, di scaltri manipolatori. Ne scaturisce un ritratto letterario sarcastico e provocatorio, capace di miscelare generi diversi, di tratteggiare l’assurdo, di irridere il male. E soprattutto di raccontare l’Europa.