
"Tutto d'invenzione è il rustico paesotto: il paesaggio remoto, le otto chiese (sette per gli abbienti, una per i contadini), il Circolo litigioso e scalmanato; le scivolose segretezze, le vacanterie escandescenti di angusti e scaduti puntigli, le aggressioni sbagliate fatte in nome dell'onore, la foia atroce di un brigante dal nome biblico, l'astio e le divisioni tra bassa aristocrazia di campagna, professionisti borghesi, massari, campieri, nullatenenti. Assolutamente vera è invece la faccenda, testimoniata da Filippo Turati e da Don Luigi Sturzo. E personaggio storico è il protagonista Matteo Teresi, avvocato dei poveri e dei deboli; e giornalista, che la sua animosa attività di denuncia nutre di socialismo umanitario. Un fremito, un rimbombo, un intollerabile fracasso investe il villaggio. Si teme un'epidemia di colera. Corre l'anno 1901. Per un susseguirsi sbrigliato di equivoci, si crede al contagio. A un'invasione del Maligno. Nelle chiese si raccolgono e si mescolano le classi sociali. I preti, tutti, tranne quello della parrocchia dei poveri, svampano dai pulpiti sulle teste dei fedeli spauriti. Colgono l'occasione e infamano Teresi. Lo accusano di essere un sovversivo: in lega con il diavolo, nelle sue battaglie laiche. Viene indetta una crociata d'espiazione contro 'il diavolo sotto forma dell'avvocato', che attenta all'ordine sociale e all'unità sacra delle famiglie per dar luogo a una nuova Sodoma e a un'altra Gomorra." (Salvatore Silvano Nigro)
Tre individui: tre diversi la cui emarginazione non è dovuta a cause sociali o ideologiche, ma alla sindrome di Tourette, che provoca tic motori e verbali e una luminosa sensibilità. Sono amici; hanno passioni complementari; svolgono lavori solitari. Il primo è sospettato ingiustamente di un omicidio e diventa bersaglio di inspiegabili tentativi di ucciderlo. Gli altri due cominciano a indagare sul delitto per scagionarlo. Scovano le tracce di traffici tenebrosi e assassini, incrociano un gigante russo che nutre perverse utopie estetiche, si battono contro coppie di gemelli killer. Incompresi dalla polizia, tormentati da tic compulsivi che imitano pezzi di realtà svelandone la trama invisibile, vagabondano per le calles livide e i sotterranei miserabili di una Buenos Aires che prepara il bicentenario della indipendenza, tra bombe di nazionalisti, colonne di fumo, palazzi distrutti. "La sindrome di Rasputin" non è un giallo convenzionale. La critica in Argentina lo ha definito un feuilleton avventuroso, e l'autore, un innovatore del genere nella letteratura in lingua spagnola, vi unisce, all'avventura, l'azione cruda, la comicità del grottesco e dell'assurdo che diventa logica del mondo, sprazzi da fantascienza, e una visione in bianco e nero che s'ispira esplicitamente a sguardi cinematografici. Il tutto per raccontare, in fondo, la sostanza umana di un'amicizia nata dove la cosiddetta normalità erige i suoi muri.
Quattro donne in un labirinto senza uscita. Il laboratorio dell'esperimento è un chiuso residence messicano. Un villaggio in cui vivono in lussuoso isolamento le mogli degli ingegneri stranieri al lavoro in un grande cantiere. Paula, aspirante scrittrice e intellettuale, di umore scostante; Victoria, professoressa di chimica, intelligente e positiva; Susy, giovanissima americana segnata da un passato familiare traumatico e affamata d'affetto; Manuela, moglie sessantenne del capo, realizzata e sicura di sé con uno spirito protettivo da matrona. Piccole invidie, normali pettegolezzi, pretese e profferte di amicizia, sottili nevrosi, si incrociano e si scontrano come prevedibile e naturale. Ma un giorno una di esse si innamora del marito di un'altra. E scoppia una specie di reazione a catena, che investe, in una tempesta di sentimenti implacabili, ognuna di loro e ciascuno dei rapporti matrimoniali. Come se la scintilla di quell'amore irregolare fosse il lampo improvviso che illumina, per un attimo e per sempre, un paesaggio sconosciuto, fino a quel momento sepolto nella notte. Alicia Giménez-Bartlett si immerge impietosa nelle fragili personalità esposte allo stress di situazioni improvvise, insolite, che le scoprono indifese.
"Il tuo problema, Martin, è che fai il lavoro sbagliato. Nel momento sbagliato. Dalla parte sbagliata del mondo. Nel sistema sbagliato" è la frase finale di quest'ultimo romanzo che conclude la saga poliziesca di Martin Beck e della sua squadra di investigatori sulle strade di Stoccolma. E, detta dall'amico leale Kollberg che si è ritirato disgustato dalla polizia, suona simile a un'epigrafe generale di tutte le loro avventure. I dieci "romanzi su un crimine" della coppia Sjowall e Wahloo intendevano, infatti, mostrare come vanno le vere indagini di polizia nella società impastata di ingiustizia: quando il successo del poliziotto migliore, che svela le circostanze e le cause reali, coincide sempre, inevitabile, con il suo stesso fallimento morale. In "Terroristi" tutti questi motivi diversi -l'avventura, la denuncia sociale, l'inquietudine morale, una certa satira di costume dei potenti risaltano in esplicito rilievo. Giunto all'apice della carriera, Martin Beck deve affrontare, di fatto contemporaneamente, più casi insieme. L'omicidio di un regista pornografico e imprenditore del vizio. Una strana rapina commessa, a a detta dello sbrigativo procuratore, da una ragazza madre fuoriuscita da un mondo incantato. E infine, vicenda principale, l'attentato terroristico progettato contro un potente senatore americano in visita.
Un Natale degli anni Cinquanta. Tutta la famiglia è riunita intorno all'albero, che porta sulla cima un puntale con l'effigie di un angelo che il piccolo Morfeo fissa incantato; ora il bambino si allontana, si rannicchia presso una finestra, quando una persiana si stacca piombandogli sul capo. Il trauma lo lascia per giorni tra la vita e la morte. Ciò che segue è il tempo di Morfeo, da quel disgraziato incidente agli anni futuri. Ma ciò che segue può essere letto come un lungo delirio, come un sogno oppure come un racconto di verità alterato dal dolore, un dolore che c'è sempre, acquattato nelle pieghe della vita, e periodicamente mostra la smorfia. Morfeo cresce, diventa scrittore, incontra il mondo e i suoi curiosi abitanti: ha amici, passioni, e un amatissimo figlio. Ma tutto il suo cammino è segnato dalla malattia, forse eredità di quella ferita, forse no, che lo rende diverso e non mette d'accordo i medici, tantomeno l'industria delle cure. Superbia, vanità, incompetenza, ma soprattutto il cinico affarismo lo lasciano in balia dei farmaci, ne diventa dipendente, le sue giornate sono ritmate da quel "dominio chimico".
"Il commissario Montalbano si tiene costantemente d'occhio. È frastornato dai trasognamenti. Qualcuno gioca ingegnosamente con lui. Misura i passi del commissario. Li indirizza. Li spinge là dove è inutile che vadano: lungo piste che, se sono giuste, si rendono irriconoscibili, si cancellano, o si labirintizzano. Montalbano ha una sua cultura cinematografica. E gli viene in mente il vecchio film 'La signora di Shanghai' di Orson Welles: il torbido noir, con tutti i suoi scombussolamenti, e tutti i suoi illusionismi barocchi. Montalbano entra nel film. E vede se stesso disorientato, dentro la scena finale, nella sala degli specchi di un padiglione del Luna Park. Il prodigio degli specchi altera lo spazio visibile. Si spara. Ma non si capisce se i bersagli sono reali o esito di un gioco di specchi. Un villino, un giro di macchine, una storia d'amore un po' scespiriana, due esplosioni apparentemente insensate, un proiettile senza tracciabile direzione, una coppia di cadaveri, bruciato uno, bestialmente violentato l'altro, entrano nella trama del romanzo. La narrazione si concede focali corte, inquadrature insolite, avanzamenti lentissimi alternati a piani-sequenza vertiginosi. Scorre come un film. Turba e sconvolge, ma non si nega qualche respiro ludico, utile anch'esso alla soluzione del giallo. Persino Catarella ha il suo momento di gloria, alla fine." Salvatore Silvano Nigro
Amedeo Consonni, tappezziere in pensione, vive in una casa di ringhiera, arredata, grazie alla sua arte, come prezioso boudoir. Si dedica, nel tempo libero, ad un ascetico collezionismo: archiviare notizie su delitti feroci e violenti, provenienti da qualsiasi fonte. E quando dalle cronache rimbomba dappertutto il caso dello strano omicidio "della Sfinge", è immediato per lui occuparsene. Un egittologo dilettante è stato ucciso, il cadavere mutilato ridotto a mimare una statua egizia. Nel frattempo davanti alla sua finestra sul cortile, trascorre la giornata degli altri inquilini. Ci sono Erika e Antonio, nel monolocale vicino. C'è il vecchio De Angelis, che bada solo alla sua Opel. La professoressa Mattioli, cinquantenne affettuosa, attraente anche per l'alone di mistero che la circonda. Si arrabatta la famiglia dei bambini Gianmarco e Margherita: il padre è alcolizzato e la madre cerca di difendere eroicamente il decoro. Su questo mondo, misero ed egoista ma, a guardarlo senza rancore, commovente nelle sue inutili passioni, improvvisamente cala un'atmosfera delittuosa. Negli appartamenti di ringhiera scompare un uomo e appare un cadavere di donna. E questo muove tutto un vento di equivoci e di sospetti che sconvolge gli inquilini. E mentre i delitti del cortile marciano caoticamente verso una loro beffarda rivelazione, confuso, frastornato e travolto dagli eventi, Amedeo, senza volerlo, guida l'indagine alla verità.
Martin Bora è un ufficiale della Wehrmacht, qui cronologicamente agli albori della sua carriera investigativa. Bora è un gentiluomo di antica nobiltà guerriera, fascino tenebroso, amante sfortunato, temperamento di severità kantiana, ma soprattutto roso, fino al disagio fisico tangibile, dalla contraddizione che non sa risolvere. Egli ha giurato obbedienza, e il codice d'onore gli vieta deroghe, ma cresce in lui la consapevolezza degli orrori dei nazisti, che disprezza per odio politico, per arroganza aristocratica, ancor più perché offendono il suo senso etico ed estetico. La carriera di Bora nel controspionaggio è appena iniziata. Il compito è quello di accompagnare una trilaterale tedesco-nipponico-italiana, una conferenza di affari e di scambio di tecnologie militari. Ma è una copertura. La missione reale è di indagare attorno al "Signore delle cento ossa", una spia che secondo una prima ipotesi si identifica nella persona di Ishiro Kobe, rigido generale giapponese. Una mattina, andando a prelevare Kobe per una cavalcata, scopre la scena raccapricciante del primo omicidio:. Nel bagno accanto, annegato nel sangue, l'aiutante Nogi. Sembra un delitto di onore, o di passione. Ma Bora si orienta diversamente: un terzo è penetrato nella stanza, l'assassino. Tra mistificazioni, altri delitti, tradimenti, Martin Bora si inoltra negli ambienti lividi dove la guerra incombente favorisce intrighi come pozioni venefiche. E dove perderà la sua fiducia.