Molte persone oggi sono alla ricerca di una spiritualità libera da dogmi di fede e capace di condurre, in qualche modo, all'esperienza di Dio. Desiderano sperimentare un senso nel loro vivere quotidiano. In questo libro due teologi si confrontano e indicano una via percorribile: è possibile fare esperienza di Dio riconoscendolo nell'altro e nel creato perché in ogni singolo essere umano che si incontra e nel cosmo intero risplende qualcosa del mistero di Dio. Entrambi gli autori, quasi all'unisono, rivelano che tutto ciò è un immenso dono che diventa anche un'enorme responsabilità affidata alle donne e agli uomini di questo mondo.
Il discernimento è riproposto nell’attuale cammino ecclesiale come dinamica necessaria dell’esistenza credente e metodo nella prassi pastorale. Si pensi alle Assemblee sinodali sulla famiglia e sui giovani; al Magistero di papa Francesco. Tuttavia, sebbene già dal Vaticano II sia auspicato un ritorno all’esercizio della coscienza personale ed ecclesiale, permangono riserve circa l’autonomia morale, quale costitutivo dell’agire etico. Di conseguenza appare il pericolo di una fallacia: in linea teorica si riconosce la possibilità razionale dell’uomo, ma sotto il profilo morale ci si limita a valutare la correttezza di un’azione dalla giustezza del procedimento e dalla conformità alle norme. Riflettere sull’agire intenzionale, dunque, colloca la riflessione sugli atti umani tra l’ordine morale, la serietà del capire/decidere in coscienza e il ruolo di Dio in questo impegno di responsabilità. È chiamata in causa l’identità stessa del discernimento, che rischia di ridursi a espediente sofistico per dilazionare situazioni complesse o per differire decisioni spigolose. Discernere è attraversare la decisione per giungere alla scelta; si tratta di un presupposto e non di un correlato. Nel testo si analizzano diverse prospettive argomentative con il supporto di J. M. Aubert ed E. Chiavacci e di altri teologi post-conciliari. L’enciclica Veritatis splendor afferma che «la legge di Dio non attenua né tanto meno elimina la libertà dell’uomo, al contrario la garantisce e la promuove» (n. 35), la vera autonomia è dono creazionale ed effetto della redenzione. L’uomo, pertanto, è creato capace di partecipare alla sapienza divina e in questa relazione, razionale e storica, è abilitata la sua creatività nel mondo.
L'autrice propone un'originale lettura dei testi del libro della Genesi e della storia della Chiesa, spesso citati nell'ambito del discorso ecclesiale "sulla donna e la complementarietà dei sessi" e tenta di comprendere perché la funzione della donna nella Chiesa si pone oggi come una questione urgente e cruciale. La sua critica analisi dell'argomento e delle conseguenze in termini di discriminazioni, invita tutti, uomini e donne, a ripensare oggi la loro "comune umanità" e i loro rapporti mutati all'interno della Chiesa, non in funzione dei modi, ma alla luce del Vangelo.
Il tema del volume è "l'uomo e la donna", ma meno genericamente è quello che l'autrice chiama il "Vangelo della differenza", che è la condizione elementare dell'incontro e dell'incanto fra l'uomo e la donna, la dualità che porta il sigillo di Dio e della sua irrevocabile benedizione sull'amore umano. Vi si trovano spunti filosofici, affondi teologici e suggerimenti pratici. Scopo del testo consiste nel tentativo di introdurre il lettore a uno sguardo diverso dal solito sulla realtà della differenza sessuale. Uno sguardo diverso perché illuminato dalla luce che viene dall'evento dell'incarnazione, morte e risurrezione del Signore Gesù.
Come individuano le Scritture ebraico-cristiane ciò che costituisce l’essere umano veramente tale e ciò che al contrario lo disumanizza? Un breve trattato sulla concezione biblica dell’uomo, che trova le sue coordinate nella categoria di alleanza e nell’evento dell’incarnazione. Un saggio che illustra la specificità irriducibile della prospettiva biblica nel contesto delle molteplici interpretazioni dell’umano fornite oggi dalla filosofia e dalle scienze.
Dalla quarta di copertina:
Cosa vuol dire essere uomo? Quando l’uomo è veramente essere umano? In cosa consiste la sua humanitas? Cosa fare perché l’uomo sia (o torni ad essere) umano? A queste domande, al centro della celebre Lettera sull’umanismo di Heidegger (1946), l’Autore, teologo e saggista, risponde attingendo alla sapienza biblica.
Ne risulta un breve trattato dell’umanesimo biblico, che trova le sue coordinate nella categoria dell’alleanza e nell’evento dell’incarnazione di Gesù il Cristo, e che viene illustrato nella sua specificità irriducibile nel contesto delle molteplici prospettive interpretative dell’umano.
L’immagine di Dio nell’uomo
non è un dato di fatto legato alla creazione,
ma la vocazione costitutiva dell’alleanza,
è la chiamata a essere a imitazione di Dio:
come lui amanti in piena gratuità,
fedeltà e compassione.
Queste pagine scaturiscono da un’idea originale: la teologia biblica deve essere il grembo entro cui cresce la riflessione teologica, poiché quest’ultima non è nient’altro che interpretazione del linguaggio simbolico della Bibbia. Il linguaggio figurato ha un peso determinante nel parlare biblico su Dio: di Dio si dice che ha occhi e mani, che ha passione e tenerezza. E questo ci conduce a un’immagine di Dio del tutto differente da quella del Dio dei filosofi: un Dio soggetto, invece che un Dio oggetto, un Dio persona, invece che un Dio forza, un Dio per l’uomo, invece che un Dio in sé.
Il libro ricostruisce come i Padri della Chiesa hanno pensato la Trinità (la relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo) e la Rivelazione cristiana in base ai concetti della metafisica greca. In gioco è il rapporto tra cristianesimo ed ellenismo: un tema quanto mai dibattuto, e qui analizzato con rigore e chiarezza. - Il libro è anche un'affascinante ricostruzione della storia del concetto di spirito (pneuma), dal suo significato filosofico (ragione, anima) a quello teologico cristiano, diventando nome della terza Persona divina. Da tale storia emerge anche una nuova prospettiva sullo spirito dell'uomo e sul suo rapporto con il corpo e il mondo. - Le controversie teologiche tra patristica greca e latina sono esposte e chiarificate in modo nuovo.
«Dio è amore». Un nuovo paradigma che prende le distanze dalle categorie della filosofia greca e riscopre la sconvolgente rivelazione cristiana. Gli antichi attributi della divinità e i suoi interventi nella storia sono rivisti in questa ottica singolare e consolante. Un Dio capovolto. Un Dio che spiazza definitivamente le obiezioni dei maestri del sospetto. Semplicemente il Dio di Gesù Cristo.
Moltmann qui si conferma essere il grande autore tedesco di fama internazionale, un pensatore di grandi capacità, sempre in grado di stupire, la cui originalità emerge in tutta la sua acutezza. Sul "Dio vivente" e sulla "pienezza di vita", di per sé, il teologo tedesco già ebbe a scrivere. Eppure qui la ripresa di tali temi apre a un esito del tutto nuovo, ancora più sentito. Così, nella prima delle due parti in cui il libro è articolato, l'autore vuole liberare il Dio cristiano dai ceppi delle definizioni metafisiche: Dio è immutabile? Dio può soffrire? E, contemporaneamente: quello annunciato da Gesù Cristo è l'Onnipotente o si tratta forse di un Dio che ritrae la sua forza per lasciare spazio di libertà agli esseri umani? La seconda parte del libro si apre, poi, come un fiore, descrivendo l'esistenza umana nella pienezza della vita di Dio e raccogliendo le diverse considerazioni nel segno di una frase di Atanasio: «Il Cristo risuscitato fa della vita una festa senza fine». Proprio in questo contesto di riflessione emerge anche un piccolo gioiello: un ricordo autobiografico legato a Ernst Bloch e alla sua «verità come preghiera».
In dialogo con un sociologo, un filosofo e un critico d'arte, per esplorare il misterioso intreccio del sentire e imparare a dipanarne i fili, fino a coglierne l'intima connessione con la verità dell'uomo e del suo rapporto con Dio. Impreziosiscono il volume le vignette di un disegnatore d'eccezione che aiutano a riflettere ancora sui temi affrontati, con un linguaggio diverso, e con un pizzico di ironia.
Come è descritta la donna nei Testi Sacri? In essi più che in altri, la donna è raccontata come l'altra parte dell'umanità, la metà che la edifica e la completa e in quanto tale capace di colmare quel senso di solitudine e di mancanza che è nell'uomo. In questo però ella ha una grande responsabilità, non è chiusura ma apertura all'altro, al tutto, a Dio. Deve trascendersi, diventare respiro, anelito, come dice Irigaray soffio cosmico: "Sembra che il soffio femminile rimanga allo stesso tempo più collegato all'universo, Il divino al femminile assicura un ponte tra il mondo umano e il mondo cosmico, tra la natura micro e macro-cosmica, tra il corpo e l'universo. Per la donna, il mondo, a cominciare da se stessa, non si deve riscattare o risuscitare solo domani o in cielo, ma da oggi, sulla terra. Lei deve diventare creatrice dell'umanità, generatrice spirituale e non solo naturale".