Intorno a un tema quanto mai controverso, antico e pur sempre attuale, quale quello della menzogna, si affrontano in questo volume due grandi filosofi che rappresentano anche due differenti scuole di pensiero, l'una pienamente radicata nella Francia del dopo-rivoluzione, l'altra che proviene invece dalla vicina Germania. L'occasione è data da un breve trattato scritto nel 1797 dall'allora trentenne Benjamin Constant, che, sotto il titolo "Delle reazioni politiche" disquisisce intorno alla possibile legittimità, in precisi contesti, della menzogna. L'intervento di Constant è centrato sulla necessità che i princìpi universali, per essere accettati anche sul terreno concreto, debbano a loro volta fondarsi su princìpi definiti "intermedi" tali cioè da permetterne la concatenazione con la realtà effettiva. Ma Constant, mentre cerca di definire questa sua teoria, critica la riflessione di Immanuel Kant che "persino di fronte a degli assassini che vi chiedessero se il vostro amico, che loro stanno inseguendo, si sia rifugiato in casa vostra, la menzogna sarebbe un crimine". E il "filosofo tedesco" (così lo definisce, un po' sbrigativamente, Constant), chiamato in causa, risponde da par suo con "Su un presunto diritto di mentire per amore dell'umanità" nel quale ribatte punto su punto al "filosofo francese". E così che questo confronto acquista oggi, un significato emblematico, e anche al di là del tema, pur sempre centrale, che costituisce l'oggetto di questa querelle di fine Settecento.
Come ha scritto Jacob Taubes, nelle pagine de "La fine di tutte le cose" l'opera forse più ingiustamente trascurata dell'ultima fase della vita del grande maestro di Konigsberg - Kant conduce l'ambizioso progetto filosofico di "tradurre le dichiarazioni metafisiche dell'escatologia cristiana in una sorta di escatologia trascendentale". L'escatologia trascendentale ruota attorno a un duplice interrogativo: perché, in generale, gli uomini si aspettano una fine del mondo? E se questa viene anche loro concessa, perché proprio una fine che, per la maggior parte del genere umano, fa paura? Per Kant l'antica profezia apocalittica di San Giovanni prefigura, in simboli e immagini, il limite estremo della stessa attività del pensare, delineando la struttura paradossale di un "concetto con cui, al tempo stesso, l'intelletto ci abbandona e, addirittura, ha fine ogni pensiero".
Questo testo occupa un posto del tutto particolare nel lungo itinerario filosofico di Kant: progettata fin dagli anni Sessanta, costituisce l'opera che completa la filosofia critica e sistematizza le questioni poste dall'etica e dal diritto. Il testo è arricchito da una serie di appendici documentarie utili per capire in che modo i contemporanei leggevano Kant e da una postfazione su alcune linee di tendenza delle interpretazioni più recenti.
Le opere fondamentali del pensiero filosofico di tutti i tempi. In edizione economica, con testo a fronte e nuovi apparati didattici, le traduzioni che hanno definito il linguaggio filosofico italiano del Novecento. Testo originale nell'edizione dell'Accademia delle Scienze di Berlino, ricontrollato sulla prima edizione del 1797.
La "Critica della ragion pura" ebbe, vivente Kant, cinque edizioni. Importanti sono soprattutto le prime due, del 1781 e del 1787, per lunghi tratti diverse tra loro. Alla seconda edizione si rifaceva nel 1904 l'Accademia delle Scienze di Berlino per stabilire l'editio princeps dell'opera, e su questo testo veniva condotta nel 1909-1910 la classica traduzione di Gentile e Lombardo Radice qui ripresentata nella revisione curata da Vittorio Mathieu.
Con questo libro si presenta un'antologia del pensiero pedagogico kantiano che spazia e prende le mosse anche dalla sua filosofia, dalla sua antropologia, dalla sua politica. Una pedagogia multiforme, fecondata dalla riflessione critica sulle opere di Rousseau, sulle iniziative del suo tempo tra le quali il Filantropico di Basedow - rivolte a rinnovare continuamente le istituzioni educative e a dare un fondamento sempre più scientifico all'attività educativa e alla ricerca pedagogica.
Immanuel Kant (1724-1804) è uno di quei pochi pensatori che dividono il tempo con la loro filosofia, tanto che dopo di lui si può parlare soltanto di una filosofia post-kantiana, anche qualora si trattasse di un pensiero anti-kantiano. E in particolare la "Critica della ragion pura" è una di quelle opere senza le quali non solo non capiremmo l'intera vicenda della filosofia moderna, ma mancheremmo di una chiave decisiva per introdurci alla problematica e al lessico del dibattito filosofico dall'Ottocento fino ai nostri giorni. In quest'opera Kant afferma che l'unica metafisica possibile è quella dell'esperienza, e che a sua volta l'esperienza è guidata dalle forme rigorosamente "a priori" dell'intelletto, cioè di un puro "io" pensante.
La tradizione esegetica ha riservato una grande considerazione alle prime due "Critiche" di Kant, per la loro importanza in ambito conoscitivo e pratico, per la loro incidenza e ripresa nella filosofia contemporanea. Solo ultimamente la "Critica del giudizio" (1790) è apparsa in tutta la sua importanza come il coronamento del sistema kantiano del sapere, che raggiunge, proprio nella scansione e nella connessione della trilogia, la sua completa organicità. In quest'opera Kant ha scoperto il fondamento dell'esperienza estetica e del finalismo della natura e ha raggiunto l'unità della filosofia, evidenziando l'articolazione tra ragione teoretica e ragione pratica, tra il conoscere e il desiderare, tra le grandi idee del soprasensibile e la libertà. Con l'aggiunta della prima introduzione alla "Critica del giudizio".
La "Critica della ragion pratica", composta nel 1788, tratta della ragione nel suo uso pratico. La ragione, a parere di Kant, determina la volontà ad agire secondo principi empirici, cioè pratico-formali, che garantiscono validità universale alla nostra volontà. Di qui la distinzione tra "massime" e "leggi"; e di qui il famoso criterio secondo cui occorre sempre domandarsi se la propria massima possa valere allo stesso modo che una legge di natura. La "rivoluzione copernicana" operata da Kant investe, così, anche il campo della morale: distrugge infatti la metafisica dogmatica e procede a una critica della ragione che determina le condizioni di possibilità e i limiti di validità delle capacità conoscitive dell'uomo nell'ambito della morale.
Il cofanetto raccoglie, in tre volumi, i testi fondamentali della filosofia kantiana. La tradizione esegetica ha riservato una grande considerazione alle prime due "Critiche", per la loro importanza in ambito conoscitivo e pratico e per la loro incidenza e ripresa nella filosofia contemporanea. Solo ultimamente la "Critica del giudizio" è apparsa in tutta la sua importanza come coronamento del sistema kantiano del sapere, che raggiunge, proprio nella scansione e nella connessione della trilogia, la sua completa organicità.
In quest'opera, che insieme alle tre Critiche è uno dei testi fondamentali del pensiero kantiano, il rapporto tradizionale tra religione e morale viene rovesciato: è la legge morale che ci impone di pensare Dio e non viceversa. Le forme storiche e istituzionali della religione non debbono dunque contrastare con la libertà postulata dalla legge morale; debbono invece avviare alla comunità etica, alla società ideale in cui è superato il male radicale che perverte la moralità dell'agire umano.
La ripresa di una politica di soluzione dei conflitti con i mezzi della guerra rende attuali le meditazioni del filosofo che più di ogni altro ha avvertito la guerra come scandalo del processo di umanizzazione dell'uomo e ne ha prospettato il superamento come destinazione dell'umanità. A partire da brani delle "Lezioni di Antropologia" e da testi poco noti degli anni '90, questa raccolta di scritti si inserisce nella più vasta riflessione di Kant sulla storia come cammino di faticosa e graduale riconquista della pace attraverso i conflitti e le divisioni che stimolano l'autonomo sviluppo delle capacità umane. Cammino che non tocca soltanto i rapporti tra gli individui, i gruppi e gli stati, ma che investe anche i rapporti etico-religiosi.