È una delle personalità più creative della Hollywood anni quaranta. Intellettuale, giornalista, scrittore, sceneggiatore, produttore, ha saputo, nella sua breve ma intensa carriera, cogliere le nevrosi del pubblico dell'epoca. Nato in Russia nel 1904 e emigrato giovanissimo negli Stati Uniti, svolge svariati lavori a Hollywood, fino a giungere alla "corte" di Selznick, di cui diventa per quasi un decennio stretto collaboratore. Tra il 1942 e il 1946, chiamato alla RKO per risollevare la situazione dello studio dopo i fallimenti economici di Welles, è responsabile della "Snake Pit Unit" per cui produce pellicole low budget, destinate a diventare cult movie per l'apporto all'evoluzione del genere horror-thriller. Allo stesso modo dei registi che realizzano i film (Tourneur, Robson e Wise) Lewton è da considerarsi anch'egli autore, in quanto contribuisce personalmente alle atmosfere notturne, claustrofobiche e inquietanti delle pellicole. I film prodotti si allontanano dalla dimensione mostruosa ed esotica degli horror della Universal, ma ritraggono un'America insolita, dove le certezze del sogno americano si contrappongono al malessere dell'uomo moderno. In gran parte realizzati in periodo bellico, i suoi film esplorano tematiche come la repressione sessuale, il suicidio, la morte, il conflitto generazionale, la sofferenza, la solitudine dell'uomo e soprattutto il suo atavico terrore per ciò che non comprende, la "macchia oscura" che lo accompagna nella sua dolorosa esistenza.
Il nome di Jerzy Grotowski è noto in tutto il mondo, ma a questa fama non corrisponde una vera conoscenza delle sue opere. Una lacuna sostanziale è quella che riguarda il Workcenter da lui fondato in Italia nel 1986 e infine affidato a Thomas Richards. Nel progetto triennale 2003-2006, intitolato Tracing Roads Across, questa ultima "opera" di Grotowski si è fatta conoscere più in profondità in diversi paesi. A chiusura e coronamento del progetto viene presentata un'iniziativa editoriale, costituita di tre volumi autonomi ma di concezione unitaria: il presente, Il Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards; il secondo, Jerzy Grotowski. Testi 1968-1998 e Testimonianze e riflessioni sull'arte come veicolo. Il Workcenter ha voluto così rendere disponibili a studiosi e studenti, operatori teatrali e culturali sia una serie di documenti sull'attuale stato dei lavori, sia alcuni testi di Grotowski che, soprattutto se considerati sullo sfondo delle attività in corso, conservano una bruciante attualità, sia infine una scelta di testimonianze di studiosi e artisti che colgono l'impatto del Workcenter nel quadro della cultura non solo teatrale di questi anni. Questo primo volume vuole informare su numerose creazioni del Workcenter da un punto di vista interno o il più vicino possibile al lavoro. Perciò, oltre alle riflessioni di Richards e Biagini, rispettivamente direttore artistico e direttore associato, ospita le analisi di Antonio Attisani, Kris Salata e Lisa Wolford Wylam.
I saggi raccolti in questo libro intercettano, attraverso una vasta trama di richiami interdisciplinari, una costellazione di figure simboliche che legano la drammaturgia dannunziana all'immaginario fin de siècle, soffermandosi ad analizzarne le fonti di ispirazione sia visive che letterarie, il gioco delle contaminazioni e dei tradimenti, facendo affiorare alla luce un versante in ombra, sapientemente occultato nella filigrana di una scrittura dai sensi molteplici. L'indagine si sofferma in particolare ad evidenziare la partecipazione di D'Annunzio al clima spiritualistico del suo tempo, così ricco di fermenti e suggestioni ermetiche, e la sua approfondita conoscenza del pensiero occulto testimoniata da un puntuale richiamo a fonti letterarie e repertori di immagini in cui i motivi della mistica cristiana sono riletti alla luce di un'interpretazione in chiave esoterica.
Dal Seicento ad oggi, i personaggi del Meraviglioso di Charles Perrault Pelle d'asino, la Bella addormentata, Cappuccetto rosso, il Gatto con gli stivali, Barbablù, Cenerentola, le Fate, Richetto col ciuffo, Pollicino e l'Orco suo antagonista - hanno migrato da testo a testo nella letteratura francese (e non solo) in riscritture, riesecuzioni e rivisitazioni delle famosissime fiabe. Vitali e operativi, identici e altri, continuano pur nella variabilità di forme e motivi a proporre le loro peripezie, a sostenere insieme "moralità" eterne e istanze del presente, ad attivare i fantasmi dell'immaginario. L'Orco mostruoso e vorace di tenere carni infantili, forte ma stupido, è presenza perturbante e figura estrema della crudeltà. Capace di metamorfosi, non smentisce una pessima reputazione e conferma nel tempo quei colpevoli tratti aggressivi che trasmette alla sua discendenza: gli Orchi moderni sono vicini, tra noi, e ancora incarnano minacce e paure di atroce attualità.
Eduardo raccontato dagli altri: centoquarantacinque voci, con molte testimonianze inedite, raccolte sul campo, a comporre pazientemente un mosaico di opinioni e di aneddoti, in un gioco di contrapposizioni e di rimandi, proprio come piaceva all'autore di tante situazioni, e parole, imbrogliate. Attrici e attori, registi, critici, giornalisti, ma anche persone comuni, spettatori, segnati da una sua parola, da un pensiero illuminante, sul quale riflettere, poi. Luci ed ombre, verità e spiritose invenzioni, teneri pudori e rabbie impreviste, si alternano in un percorso non casuale sul filo di luoghi e di temi fondamentali di una vita travagliata, alle volte convulsa e drammatica, alle volte struggente come il 'largo' di una sinfonia. Questo era dunque Eduardo, misterioso e inafferrabile, irritante e adorabile, commovente e commosso. Napoletano, italiano, europeo, per un teatro dei sentimenti, senza confini. A oltre vent'anni dalla morte, Eduardo è più che mai attuale, perché il mondo da lui esplorato ha in sé valori e disvalori fondamentalmente universali. E con lui si può guardare oltre. Verso la verità? Dal teatro alla vita, come davanti a uno specchio. Oblungo, convesso, finto?
Il saggio che qui si presenta, "Écoute, mon ami", di Louis Jouvet, tradotto in italiano da Dina Saponaro e Lucia Torsello, con una nota di Franca Angelini, è di quelli che conciliano gli amateurs col teatro e confortano gli studiosi, di fronte allo smarrimento che la povertà teorica e innovativa del teatro di oggi può provocare. Perché siamo di fronte a un saggio non sistematico ma forse proprio per questo folgorante, col quale si penetra in quello che Jouvet chiama il "segreto" dell'attore, segreto da svelare, da testimoniare rivelandolo. Pubblicato postumo nel 1952, "Écoute, mon ami" apparve dopo appena due anni in traduzione italiana. A distanza di oltre cinquanta anni è sembrato opportuno ripensare con diversa consapevolezza critica a questo scritto. È nata così l'idea di una nuova traduzione, che ci auguriamo possa rendere più chiare al pubblico di oggi le intenzioni dell'autore nonché la musicalità, il movimento e la struttura del testo, la cui circolarità interlocutoria ed accattivante trasmette, chiarisce, ribadisce un nodo centrale del pensiero di Jouvet: l'importanza che per ogni comédien ha il pensare le proprie sensazioni nella costruzione della propria consapevolezza esistenziale ed artistica.
Questo libro nasce dal montaggio e dallo sconfinamento tra diversi filoni dello spettacolo. Si articola in quattro parti - che sfociano nei Materiali ad incominciare dal grande Giuocoliero Eduardo e dal grande Giullare Fo. La terza parte li accosta e li confronta rilevandone contiguità e divergenze. La quarta apre un discorso parallelo ed orientato verso il dopo: mostra l'emergenza del monologo comico-tragico ed il suo intreccio di dialetti e di lingue nel teatro italiano dal '900 al 2000, con incursioni nel campo dei nuovi media. Si scopre un sotterraneo percorso animato dalla linea dell'attore-autore. Non solo interprete, né soltanto attore-che-scrive, ma attore creatore anche nel tempo della regia, di cui incorpora i tratti innovativi e salienti, senza conformarsi. L'analisi muove dall'alternanza eduardiana di maschera e volto, d'affabulazione e silenzi, e procede attraverso la pluralità vocale e metamorfica di Fo, privilegiando una metodologia che sottopone lo stile attorico al microscopio per trarne connotazioni drammaturgiche o registiche. Una spirale coinvolge il napoletano sottovoce ed ansimante di Troisi, il toscano blasfemico ed interiore di Benigni, la conversazione multilingue di Moscato: soluzioni artistiche alla crescente difficoltà di comunicare della nostra epoca.
Una biografia dedicata a Nikolaj Foregger, teorico del teatro, regista, coreografo e pedagogo tra i più attivi e poliedrici dell'avanguardia russa. Lo studio ripercorre la parabola intellettuale di Foregger contestualizzandola nel panorama culturale russo dei primi trent'anni del Novecento, analizzando la teoria estetica del protagonista attraverso la presentazione dei suoi più significativi scritti sul teatro, sulla danza, l'opera e il circo. Restituendo l'atmosfera creativa e concitata di un'epoca tra le più feconde della storia del teatro, l'evoluzione artistica foreggeriana è posta in primo piano evidenziando le linee di coesione e incidenza tra la riflessione teorica del regista e l'attività dei suoi contemporanei. La teoria e le sperimentazioni sceniche foreggeriane emergono nella loro forma originale ed eterogenea, dimostrando di costituire in diversi passaggi momenti di alto sincretismo per la scena teatrale sovietica.
Il volume raccoglie i testi che segnano le tappe più significative dell'itinerario critico di Giuseppe Bartolucci dalle riflessioni degli anni sessanta attorno alla necessità di scardinare lo specifico teatrale, fino agli anni ottanta in cui Bartolucci, di fronte a un "richiamo all'ordine", propone l'idea di spettacolo come opera, ovvero luogo di incontro fra scrittura scenica e drammaturgica. I saggi che compongono il volume danno conto di un pensiero critico capace di coniugare, sotto forme inedite, l'analisi della produzione di un singolo artista/compagnia teatrale (da Carmelo Bene a Leo De Berardinis, dai Magazzini alla Raffaello Sanzio) con la riflessione teorica (il concetto di scrittura scenica, quello di avanguardia e post-avanguardia, nuova spettacolarità, etc.), di stare all'interno dello specifico teatrale e di oltrepassarlo con il portare l'attenzione su fenomeni paralleli (il video, la musica, la danza). In un momento di crisi profonda della critica teatrale, questo volume ricostruisce un percorso del teatro italiano attraverso la produzione saggistica di Giuseppe Bartolucci, di cui si presenta una significativa selezione di testi, dispersi in edizioni difficili da reperire.
Il mondo del teatro è un tema ricorrente nel cinema, dai primi cortometraggi che riprendono le performance di acrobati e giocolieri fino alle contaminazioni delle opere più recenti. I film incentrati sull'ambiente delle scene rielaborano alcuni temi cruciali dell'immaginario teatrale: la responsabilità degli artisti in tempo di guerra, la teatralità come modello essenziale della comunicazione, il mestiere di attore come modello di vita alternativa o possibile terapia. Il teatro può essere un meccanismo impietoso, che rivela la circolarità tragica del percorso di ascesa e declino, oppure una risorsa, un'arte vitale capace di interagire con la teatralità dell'esistenza e della Storia. Le molteplici interferenze fra scena e vita rinviano al teatro come struttura profonda della realtà, mentre le conseguenze dell'immedesimazione nella parte gettano una luce inquietante sulla psicologia dell'attore. Il cinema utilizza il teatro anche come strumento di un discorso metalinguistico, con una riflessione sui propri codici e linguaggi in cui i limiti delle due arti si confondono, rinviando ai concetti fondanti di rappresentazione, gioco e illusione.