Il grande teologo brasiliano Leonardo Boff sul sogno proposto da Papa Francesco nell'enciclica "Fratelli tutti": un'analisi della sua realizzabilità. Prefazione di Pierluigi Mele.
Fine del terzo secolo prima della nostra era. Superate le Alpi, sconfitti i Romani sul Ticino e sulla Trebbia, Annibale vuole portare la guerra a Roma. Per farlo, deve necessariamente passare in Etruria. Terra grandiosa ma di civiltà al tramonto, ancora libera ma sempre più romanizzata. Al fanum Voltumnae, il santuario per ora scampato alla devastazione dei legionari, i principes Rasna discutono in gran fretta le sorti di un intero popolo. Appoggiare Roma o Cartagine? Nell'intreccio di intrighi e interessi dei potenti, la giovanissima sacerdotessa di Uni Velia è la prescelta che leggerà nei fulmini la volontà degli dèi, e deciderà le sorti politiche delle città-Stato etrusche. Divisa tra la dedizione alla propria missione sacra e le passioni sentimentali e politiche, Velia andrà incontro al proprio destino. Dovrà seguire, inesorabile, quello della sua città e del suo popolo?
«Gigi Proietti se n'è andato in fretta, troppo. È uscito dallo spettacolo come i colleghi Federico Fellini, Alberto Sordi, Carlo Lizzani. Nato nel 1940, era un ruscello fresco, un bell'atleta della durata, un pischello, un malandrino, con sorrisi in corsa. Non ha potuto battersi e vincere, fino in fondo, contro Roma: immobile, confusa, dominata da incapaci. Non come i suoi colleghi illustri, che avevano trovato continuità, successi, premi, protezioni nella Roma più corrotta di ieri e ieri l'altro. Avrebbe voluto impedire, allontanare la città da inganni, affarismi, pigrizia, bande, malaffare; ma doveva battersi contro le scene e gli schermi, cantare, giocare, soprattutto non farsi prendere dal deterioramento nelle abitudini. E poi, a un certo punto, non ce l'ha fatta più. Roma è rimasta sola? Sola, senza la forza dei suoi artisti, dei grandi nomi fondatori di avventure? Gigi si è impegnato nello spettacolo, nella televisione, nel teatro unendosi a personaggi come Carmelo Bene, alle avanguardie, ha fatto tutto e anche di più. Era impetuoso e irresistibile. Ha lavorato con passione, genialità. Ma si è trovato solo».
Dorothy Day e Simone Weil: due donne che responsabilmente, e senza sotterfugi, si sono assunte il compito di dare senso alla loro esistenza e hanno concepito la vita come un servizio della giustizia. In entrambe, l'esperienza cristiana è profonda, vibrante, originale. Teresa Forcades la racconta, seguendo con attenzione e curiosità i loro diversi itinerari esistenziali: dall'infanzia critica nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche alla lotta matura in favore dei diseredati e della classe operaia. Al cuore della loro spiritualità, il lavoro umano. Il libro ci restituisce così il ritratto di due donne d'eccezione, testimoni altissime di impegno civile e giustizia sociale.
Come ripensare la questione del genere nell'emergenza di un nuovo paradigma di civiltà che si profila nell'epoca contemporanea? Dopo la profonda crisi delle istituzioni del patriarcato del secolo scorso, come concepire oggi il maschile e il femminile? Uno dei più grandi teologi del mondo si confronta con il tema della sessualità a tutto tondo: dalla sua base biologica, genetica e genitale, a quella ontologica, sino alla costruzione storico-sociale dei due sessi. Una riflessione intensa e approfondita sulla differenza sessuale e sulle sfide del nuovo millennio.
Oscuro stregone o geniale scienziato, artista illuminato da Dio o eretico miscredente? Tra la Firenze di Savonarola e Machiavelli e la Roma dei rivali Michelangelo e Raffaello, nella vita di Leonardo da Vinci si ritrovano tutta la magnificenza e le contraddizioni del Rinascimento: un'età dell'oro per le arti, con l'umanesimo e la scoperta dell'America, ma anche un'epoca di fanatismo religioso e caccia alle streghe, con l'Inquisizione e i roghi di libri. Nel 1901 Merekovskij non pubblicò solo un romanzo storico, ma anche la più penetrante delle biografie di Leonardo: un uomo semplice e tormentato che viveva il mondo come un'eterna scoperta, curioso come un bambino; capace di studiare per settimane il volo di una mosca "con la stessa matita e lo stesso amore con cui poco prima aveva disegnato il divino sorriso della Vergine". Un precursore che diede tutto se stesso nel tentativo di donare le ali all'umanità, ma che era destinato a rimanere incompreso fra i suoi contemporanei, come un "uomo che si sveglia nel buio, troppo presto, mentre tutti gli altri dormono ancora".
Merezkovskij Dmitrij S. (San Pietroburgo, 1865 - Parigi, 1941) Scrittore, poeta e critico, è annoverato tra i padri del simbolismo russo. Spirito libero poco incline ai compromessi, combatté sia l'autocrazia zarista sia la rivoluzione bolscevica, e nel 1917 fu costretto a emigrare a Parigi. Dopo aver ricoperto per oltre cinquant'anni un ruolo predominante nella cultura russa ed europea, dalla fine degli anni Trenta è stato progressivamente dimenticato, per essere riscoperto solo negli ultimi decenni. Nel 2013 Castelvecchi ha pubblicato il suo romanzo La morte degli dèi, sull'Imperatore Giuliano l'Apostata.
Cosa ne abbiamo fatto di Dio? Un padre assente, un giudice barbuto a capo della "vera religione" che detiene il monopolio della verità. Lo abbiamo tenuto lontano da noi e per tanto tempo è rimasto un «Dio sbagliato»: assoluto ed esclusivo, oppressivo quando non violento. Uscire dalla logica del Dio sbagliato significa sovvertire certezze millenarie, sul divino, sull'uomo e sul mondo, ma è un gesto fondamentale per abitare la nostra epoca e reagire alle sue crisi. Significa dotarci di nuove visioni di unità e pluralità, di un'idea di coabitazione delle religioni con società e politica, di un Dio che sia relazione tra culture ed etiche diverse. Raffaele Luise anima un immaginifico dialogo tra un filosofo, un mistico e un poeta, consapevoli che questa volta tocca all'uomo: «Soltanto noi possiamo salvare Dio». Prefazione di Giacomo Marramao.
Tra il 1817 e il 1837 il mondo fu flagellato da una pandemia di colera, malattia fino a quel momento sconosciuta, che la scienza medica si rivelò impreparata ad affrontare. Morbo implacabile, dal decorso velocissimo, la sua diffusione fu favorita dall'organizzazione della società dell'epoca, caratterizzata da infrastrutture arretrate (servizi igienici, fognature, acquedotti) e dallo sviluppo dei traffici a livello mondiale. Subito interpretato come una nuova peste, il colera riaccese quella psicosi fatta di disperata volontà di resistenza, rassegnazione, rabbia e angoscia di fronte all'inesorabile aggressività della morte, che si era radicata nell'inconscio collettivo durante le pestilenze dei secoli precedenti, e che nell'Ottocento sembrava del tutto rimossa. Il libro ricostruisce gli eventi dell'epidemia che colpì violentemente Roma nel 1837, facendo ricorso ad autentici documenti del tempo: lettere, memorie, atti ufficiali delle istituzioni, cronache, articoli e testi letterari.
Impressionante sismografia della distruzione novecentesca della ragione, "Lineamenti di filosofia scettica" fu pubblicato alla fine del primo conflitto mondiale. Le tre sezioni che lo compongono - la Guerra, il Diritto, la Filosofia - sono le tre stazioni dell'epoca della crisi, in cui con estremo disincanto sono messe in luce le insuperabili contraddizioni e le radicali antinomie poste dall'esperienza bellica. L'opera di Rensi - osserva Nicola Emery, uno dei massimi studiosi del filosofo italiano - si dispiega come «un viaggio al termine della ragione», teso a decostruire l'affermarsi di una violenta ragione strumentale quale cifra di un'epoca che, dopo il 1914, avrebbe brutalmente espresso la sua profonda tragedia. La guerra opera così una drastica imposizione del principio di realtà, costringendo ad aprire gli occhi sulla dimensione e la diffusione irriducibile di conflitti, contese e scontri legati all'esistenza stessa dell'umanità. Autentico baricentro nell'itinerario del pensatore veneto attraverso vette e abissi del nichilismo europeo, "Lineamenti di filosofia scettica" fu considerato dall'autore la sua opera maggiore e ne conferma la statura di intellettuale europeo.
La lingua madre della Città Eterna è il latino, ma davvero gli antichi romani parlavano solo quello? E come siamo passati dal latino al romanesco? Si può dire che Roma non abbia un vero dialetto ma una parlata? Luca Serianni risponde a queste domande partendo dai primi insediamenti etruschi e latini per arrivare alle lingue contemporanee della capitale, passando per la fase cruciale dei Papi medicei del Cinquecento, la cui corte è principale artefice della "toscanizzazione" del volgare parlato a Roma. Ma sono tante le incursioni linguistiche che hanno modificato il romanesco arcaico. "Le mille lingue di Roma" è una mappa che segue le sorti alterne di una lingua forgiata da dinamiche costanti di integrazione e che ha per risultato l'essenziale e originario plurilinguismo della nostra capitale.
Marzo 2020, ha inizio la reclusione forzata. I media rilasciano notizie allarmanti e contraddittorie, gli stessi medici che minimizzavano sono in tv a fornire cifre catastrofiche. C'è un'emergenza reale, il collasso della sanità, che viene affrontata in maniera fallimentare: molti dei malati non sono curati adeguatamente o non sono curati affatto, e la strategia del "contatto zero" ha come risultati l'isolamento del paziente, innumerevoli morti evitabili e azioni disumane. C'è poi un'altra emergenza che esiste soprattutto nella propaganda, si nutre di capri espiatori, è assecondata dai giornalisti e arriva a reti unificate; il popolo rimane in balia del copione che perpetua il lockdown per tutti, nelle regioni più colpite come in quelle con bassa circolazione del virus, e chi dissente da questa narrazione viene stigmatizzato. "La vita che ci state rubando" è un'analisi critica dei numeri della pandemia che racconta gli effetti sociali del virus, le inadempienze nella risposta delle istituzioni, il ruolo dei mass media, lo smarrimento del senso di libertà dei cittadini, e della stessa capacità di reagire agli abusi.
Se il migliore scenario possibile, per molti, è un rapido ritorno alla normalità dopo la lunga parentesi del Covid-19, è lecito chiedersi come sarà questa normalità. Il "domani" è da virgolettare, perché non si tratta solo di individuare l'orizzonte che segnerà la fine dell'emergenza: avremo una fase di benessere, pace serenità, più simile a una situazione post-bellica, e perché non post-patologica, di post-povertà? Oppure tutti questi post- potranno collassare in un dis-, un contesto dis-umano arido di valori condivisi e comunione sociale?