Lo spazio e il tempo sono oggi scossi dalla scienza e dalla tecnologia e l'incontro fra i popoli e le loro tradizioni si fa sempre più problematico creando scontri di civiltà e problemi di convivenza. Si è tanto sofferto per i fanatismi politici, religiosi e culturali, che siamo legittimamente assetati di una comprensione universale. Un tipico esempio di questa mentalità è la sindrome del villaggio globale. Per nobile che sia l'intenzione, rimane pur sempre il risultato della mentalità colonialista. Eppure c'è sete di vera comprensione: «Non possiamo vivere in un mondo a compartimenti. L'altro diviene un problema proprio perché invade la mia vita ed è irriducibile al mio modo di vedere. Se un estremo è pensare che noi siamo nel giusto e gli altri in errore, l'altro estremo è ritenere che siamo tutti adatti per un tipo di villaggio globale». Fra questi due estremi, emergono sempre più le parole pluralismo e interculturalità a rappresentare un terzo atteggiamento, fondamento di una comprensione universale. Interculturalità non significa relativismo culturale (una cultura vale l'altra), né frammentazione della natura umana. Il rispetto della dignità umana esige il rispetto culturale, inscindibile da una mutua conoscenza - senza la quale cadremmo nella tentazione di imporre la nostra cultura a modello della convivenza umana. La proliferazione degli studi sulla pace e delle associazioni per promuoverla apre alla speranza la nostra epoca e il dialogo tra culture, civiltà e religioni è un segno positivo del nostro tempo. Attraverso questo libro, l'autore insiste sulla necessità di superare le dicotomie imposte dal genio classificatore dell'Occidente per chiarire ogni tipo di problematica. Superare non significa annullare le differenze, ma trascendere il pensiero analitico, non con una mera sintesi, ma con un pensiero olistico, che tenga conto dell'indispensabile pluralità delle culture.
Con questo secondo tomo del vol. IV dell'Opera Omnia si conclude il percorso con cui Julien Ries delinea gli elementi fondamentali dell'antropologia religiosa come nuovo ambito di sapere (voll. II-IV). Per trovare le tracce che l'homo religiosus ha lasciato nella storia occorre comprendere le modalità tramite le quali si esprime la tensione dell'umanità verso il sacro: prima di tutto, i racconti mitici e le pratiche rituali. La prima parte del volume è dedicata all'analisi del mito, inteso come «costante importante e permanente del sacro»: chiarito il significato del termine in relazione alla cultura - quella greca - che lo ha visto nascere, Ries ripercorre le diverse espressioni del pensiero mitico nelle civiltà e nelle culture, a partire dalla preistoria. È quindi ricostruita in maniera puntuale la storia delle teorie del mito, dall'antichità ai giorni nostri, con particolare attenzione alle prospettive psicoanalitiche, strutturaliste e al dibattito teologico, per mettere in evidenza come, a poco a poco, si definisca sempre meglio un'ermeneutica che, grazie agli apporti di maestri come Carl Gustav Jung, Georges Dumézil, Mircea Eliade, Paul Ricoeur, contribuisce a edificare un'antropologia del sacro. Le modalità attraverso le quali il mito esplica la sua funzione nell'antropologia religiosa sono infine mostrate attraverso l'analisi di alcuni tipi di racconto mitico: i miti di fondazione del cosmo e quelli riguardanti la caduta dell'uomo, ma anche certi miti moderni distorti e utilizzati per giustificare l'esercizio della violenza. In realtà, però, mito, rito e sacro sono inseparabili. È così che la seconda parte del volume analizza il rito nella vita dell'homo religiosus e per farlo ne definisce le caratteristiche, analogamente a quanto è avvenuto per il mito, in un percorso cronologico che prende le mosse dalla preistoria, in una riflessione critica che presenta un panorama storiografico degli studi intorno all'argomento, in un'analisi dettagliata di alcune tipologie rituali (come quella dei riti di iniziazione o di guarigione, dei riti funerari o dei pellegrinaggi). Il lettore è condotto così, pagina per pagina, a cogliere sempre meglio il ruolo del rito come quell'«atto simbolico mediante il quale l'uomo cerca di stabilire un contatto con la Realtà trascendente, con il mondo divino, con Dio».
Le vicende della straordinaria arte turca, attraverso le quali ci guida questo libro, partono dai primi secoli dopo il Mille, quando un gruppo di popolazioni originarie dell'Asia Centrale, sotto la guida dei sovrani della dinastia Selgiuchide, si diffuse dagli estremi confini orientali fin nel cuore dell'Anatolia, sottraendo territori all'impero di Bisanzio. Insediatisi stabilmente, i Selgiuchidi fecero nascere un'arte originale che assunse l'uso della pietra dalle regioni conquistate e la utilizzò per costruire interni austeri ma, nelle facciate e nei portali, la piegò a una ricchezza decorativa incomparabile, carica di echi sciamanici della tradizione delle steppe e della passione islamica per la calligrafia e i motivi geometrici. Con il passaggio ai turchi ottomani e la conquista di Costantinopoli, il punto di riferimento artistico diventa il Mediterraneo, e l'architettura bizantina offre un modello per l'architettura ottomana. Nel Cinquecento, una volta consolidato l'impero multietnico e multiculturale, sotto il governo e il patronato di Solimano, si apre la grande stagione di Sinan: genio di una grandezza comparabile a quella di Michelangelo (furono circa contemporanei), riesce a creare un linguaggio architettonico rigoroso, capace di assorbire sia la tradizione mediterranea sia la cultura asiatica. La moschea di Solimano a Istanbul, quella di Selim a Edirne e le moschee destinate alle più importanti città dell'impero, sono infatti capolavori mediterranei e universali. Anche l'arte decorativa di quei secoli esprime desiderio del bello, passione per il colore, rigore e ricerca dell'eleganza, dai libri alle miniature, dai tessuti ai tappeti, passando per le ceramiche. Tra Settecento e Ottocento, poi, gli Ottomani rielaborano gli influssi europei e l'Art Nouveau segnerà l'arte di Istanbul, riuscendo a fondere in un equilibrio prezioso echi occidentali e orientali.
Non si può parlare dei famosi giardini romani, interni alla città e nella campagna, senza ricordarsi che prima di essi sorsero già nel Medioevo i giardini vaticani: proprio questi furono l'oggetto di imitazione per i giardini romani. Le prime notizie sui giardini vaticani ci giungono in rapporto ad alcune trasformazioni avvenute nel XIII secolo. Gli ultimi grandi cambiamenti si avranno negli anni Trenta del XX secolo, quando il Vaticano divenne uno Stato. Questa pubblicazione ripercorre tutta la loro storia, evidenziando realizzazioni, esperimenti e trasformazioni che concernono 22 dei 44 ettari totali della Città del Vaticano. Sulla base di una vasta ricerca dei documenti originali, è stato possibile ricostruire le origini dei giardini e la presenza di una collezione di piante tale da farli considerare il più antico orto botanico d'Italia. L'importanza dell'acqua, sia quale elemento simbolico sia come fonte di vita per le piante e le fontane, è un tema che percorre tutta la storia, soprattutto dopo la realizzazione delle spettacolari e scenografiche fontane volute da Paolo V. Non meno interessante è la ricostruzione delle pratiche di giardinaggio, fino all'eliminazione di ogni elemento di ruralità per destinare tutto lo spazio a disposizione alla bellezza e al decoro. Un capitolo è dedicato alle ville dove i pontefici villeggiavano, prima che Castel Gandolfo divenisse residenza estiva ufficiale.
Quando Jorge Mario Bergoglio diviene papa Francesco, il 13 marzo 2013, l'eredità ecclesiale che si trova di fronte non è solo quella degli scandali del clero e della corruzione dei costumi. È anche una eredità ideologica consolidatasi nel mondo cattolico dopo la caduta del comunismo. Si tratta del modello «americano» fondato sul connubio tra battaglie etiche contro la secolarizzazione (cultural wars) e identificazione del cattolicesimo con il capitalismo e lo «spirito» americano. Intellettuali come Michael Novak, George Weigel, Richard John Neuhaus, Robert Sirico elaborano, a partire dagli anni '80 questa sintesi attraverso una rilettura, fortemente deformata, della Centesimus annus di Giovanni Paolo II. Con ciò divengono, negli anni '90, gli opinion makers della Chiesa negli USA e in Europa. Il mondo cattolico, affascinato in precedenza dal marxismo, si ritrova in un modello ecclesiale e politico liberalconservatore. Una tendenza che diviene teocon, dopo l'11 settembre 2001 e l'avvento delle teologie politiche manichee, per trasformarsi poi nel teopopulismo contemporaneo. L'avvento del papa latinoamericano provoca la crisi di questa prospettiva e la conseguente reazione con la minaccia dello «scisma americano». È il dramma della Chiesa odierna, profondamente divisa al proprio interno. Il volume analizza la stagione dei Catholic Neoconservative e quella della Chiesa di Francesco immaginata come un «ospedale da campo» per un mondo in frantumi, due prospettive profondamente diverse che segnano la coscienza cattolica contemporanea.
Nel quadro del progetto editoriale «Percorsi Mechrí», la collana «Mappe del pensiero» mette annualmente a disposizione dei lettori i risultati della ricerca condotta dall'Associazione milanese «Mechrí / Laboratorio di filosofia e cultura», con la direzione organizzativa di Florinda Cambria e la supervisione scientifica di Carlo Sini. Preceduto da "Vita, conoscenza" (2018) e "Dal ritmo alla legge" (2019), il nuovo volume collettaneo "Le parti, il tutto" propone una retrospettiva sui lavori svolti a Mechrí nel 2017-2018. Tali lavori sono riattraversati dalla curatrice mediante un montaggio di testi e materiali grafici che rammentano il senso delle ricerche svolte da ciascuno degli Autori nel Laboratorio di Mechrí. Oggetto d'indagine condiviso è la relazione fra il molteplice e l'intero, interrogata entro una costellazione di linguaggi diversi. Filosofia e matematica, cinematografia e scienze naturali tracciano così un orizzonte transdisciplinare, nel quale ogni prospettiva testimonia il proprio essere manifestazione di un «sapere comune». Il volume è arricchito da un'ampia riflessione sul tema della transdisciplinarità, come criterio compositivo di funzioni o forme del conoscere, e da un'ampia riflessione sulla nozione stessa di «forma». In Appendice una raccolta di scritti, nati durante i recenti mesi di confinamento per emergenza sanitaria, esaminano gli effetti di didattica e «formazione a distanza» sulle attuali dinamiche di trasmissione e costruzione di conoscenza e coscienza collettiva. Contributi di Mario Alfieri, Enrico Bassani, Eleonora Buono, Florinda Cambria, Andrea Cavaggioni, Riccardo Conte, Francesco Emmolo, Rossella Fabbrichesi, Giovanni Fanfoni, Gianfranco Gavianu, Lorenzo Karagiannakos, Egidio Meazza, Manuela Monti, Andrea Parravicini, Gabriele Pasqui, Enrico Redaelli, Carlo Alberto Redi, Carlo Sini, Michela Torri, Fernando Zalamea.
Questo primo tomo del vol. IX è articolato in tre sezioni, che trattano del mito, del simbolo e del culto (il secondo tomo sarà dedicato alla fede e alla sua interpretazione per mezzo delle parole). Col termine mito oggi spesso s'intende qualcosa di irreale o semplicemente una leggenda più o meno fantastica. Con la parola mythos, invece, io intendo quello che tradizionalmente significava, vale a dire un modo diverso che gli uomini hanno di esprimere una convinzione, o piuttosto una verità che non è necessariamente «chiara e distinta» alla ragione e che, ciò nonostante, si accetta come ovvia e quindi non ha bisogno di essere dimostrata. La prima sezione comincia con una descrizione della relazione tra mythos e tolleranza e del rapporto tra lo stesso mito e il problema della morale. Seguono tre studi di tipo generale sul senso del mythos e la sua relazione con la parola e quindi anche con la teologia, come sarà illustrato dai quattro mythoi indiani (i miti di Prajapati, Vunahsépa, Yama e il mito dell'incesto), che riguardano la creazione, la colpa, la redenzione, l'uomo e la condizione umana, il recupero dell'innocenza e la sessualità. Il messaggio di questi mythoi non può essere trasmesso con una riflessione esclusivamente razionale, ma con metafore e simboli, avvalendosi della parola come tramite del logos. L'uomo non è dunque riducibile all'individuo e nemmeno a un semplice concetto e il mezzo più potente che ha per avvicinarsi alla realtà e ai suoi simili è il simbolo. Nella seconda sezione, dopo alcune riflessioni generali su che cosa sia il simbolo, portiamo ad esempio una parola fondamentale in Oriente, spesso fraintesa: karman, parola che, ridotta a concetto, risulta vulnerabile alla ragione. Se il simbolo del karman è prevalente nella metà delle culture, la metafora della goccia d'acqua, come simbolo della condizione di ogni esistenza, inclusa quella umana, è pressoché universale. La terza sezione è costituita da un testo, la cui scrittura risale al 1973, incentrato sul culto non in quanto cerimonia, ma in quanto espressione dell'homo religiosus, non come funzione, ma come attività che l'uomo compie in comunione con il cosmo per il sostentamento dell'universo. La secolarità, cioè l'interesse per ciò che è secolare, è stata troppo spesso considerata in molte tradizioni ostacolo alla vita spirituale. Il pro-fano (davanti al fanum, luogo sacro) è in opposizione al sacro, ma non al secolare, che può essere vissuto nella sua sacralità.
Il volume sui miti organizzato da Julien Ries ospita i contributi di studiosi e membri di culture diversissime. Troviamo nei vari capitoli una studiosa navajo, Trudy Griffin-Pierce, accanto a Gianfranco Ravasi, attuale «ministro della cultura» del Vaticano; la sinologa Christine Kontler e lo studioso di Omero (il liberatore dai miti) Paul Wathelet. Per il mondo indù Michel Delahoutre, per quello delle Americhe precolombiane Davide Domenici, per l'Africa subsahariana Ivan Bargna, per il mito di Demetra Dario M. Cosi, per i miti dell'antica Roma Natale Spineto; e ancora, per i giochi di parole e i miti dell'antico Egitto Michel Malaise. Ma il mito è presente anche nella preistoria, e di questo tema si occupa direttamente il curatore del volume Julien Ries. Il mito è un racconto, si diceva, un racconto costitutivo di una cultura, di una sapienza diffusa, di riferimenti fondamentali per una popolazione. Il racconto è legato a immagini e simboli, per questo il mito si presta a essere illustrato. Le illustrazioni riguardano monumenti, dei e simboli dell'antichità, oltre che scene del Kumbha Mela, il più grande pellegrinaggio del mondo che si tiene all'incrocio del Gange con altri due fiumi sacri a indù, buddhisti, jainisti, sikh e altri credenti indiani.
Il Lògos del Dio trinitario - Dio che si rivela compiutamente e definitivamente all'uomo predestinato nel Crocifisso risorto e glorioso -, unico vero oggetto della riflessione teologica, pone nelle condizioni di osare parlare umanamente della Parola di Dio; avendo udito questa Parola, il teologo la «possiede», al punto da mettersi a pensare attraverso e dentro tale Parola. Ora, esattamente la riflessione sulla figura della teologia - scienza o «intelligenza della fede», riflessione o «reazione» del credente all'interno della Parola di Dio - mostra che a vari livelli la storicità ne contrassegna e imprime il carattere. I testi contenuti in questo volume, già apparsi nella «Rivista di Teologia di Lugano» e in questa sede riproposti secondo una successione non cronologica, ma metodologica, affrontano sotto molteplici aspetti il metodo teologico e alcune figure storiche rilevanti della teologia medioevale. La storia del pensiero cristiano genera sempre un genuino fascino; innestata nell'adesione di fede e senza rinunciare alla ragione, ricorda all'uomo la perenne attualità del mistero cristiano e dell'amorevole disegno di Dio.
Il sogno è quello dei neri d'America di liberarsi dalle catene del razzismo, dalla discriminazione, dalla repressione e la violenza degli apparati dello Stato. La ragione è quella messa in campo nel corso della Storia da una parte consistente del popolo americano nero e bianco, attraverso la protesta. Dal primo conflitto razziale del 1935 ad Harlem alla rivolta di Filadelfia del 1964, ai fatti di Watts del 1965, all'insurrezione di Detroit del 1967, alle marce di Martin Luther King e alla sfiorata guerra civile successiva alla sua uccisione, fino alle sommosse della Kitty Hawk del 1972, di Miami del 1980, di Los Angeles del 1992 e alle grandi manifestazioni del movimento «Black Lives Matter», in America e in tutto il mondo, seguite all'uccisione di George Floyd. Un secolo di storia dei movimenti di protesta che si battono per i diritti civili e la loro influenza sui cambiamenti degli assetti della politica americana.
Il presente "Dizionario delle religioni del Nordamerica" è dedicato alla trattazione dei fenomeni religiosi, o variamente legati alla religione, che si sono sviluppati nell'America del Nord. Il suo indice rispecchia la particolare storia religiosa del continente, alternando lemmi di carattere generale dedicati alle tradizioni indigene a lemmi sulla presenza e lo sviluppo delle religioni monoteistiche in quei territori. Sono presenti, inoltre, numerose voci più specifiche dedicate alle credenze e alle pratiche religiose di singole popolazioni o gruppi di popolazioni dell'America settentrionale («Apache», «Inuit», «Irochesi», «Lakota», «Navajo», «Piedi Neri»), mentre alcune altre forniscono notizie biografiche sulle principali guide spirituali o profetiche dei nativi («Black Elk», «Handsome Lake», «Neolin», «Wovoka»). Si aggiungono, infine, voci sulle particolari modalità di espressione che nelle Americhe hanno caratterizzato fenomeni o concezioni universalmente diffusi nel mondo delle religioni e lemmi che descrivono tradizioni culturali di estrema rilevanza per la definizione della struttura dei sistemi religiosi americani («Danza degli spiriti», «Danza del Sole», «Teatro religioso dei nativi nordamericani»). Le bibliografie di ciascun lemma, affidato a esperti internazionali della materia, sono state riviste e aggiornate dai curatori, che hanno dedicato particolare attenzione alle indicazioni delle edizioni originali e delle eventuali traduzioni italiane. Traduzioni di Stefania Arcara, Erica Baffelli, Sergio Botta, Emanuela Braida, Arianna Campiani, Letizia Sonia Cantarella, Guendalina Carbonelli, Mariella Lorusso, Marco Manino, Maria Giulia Telaro.
La basilica di San Pietro così come la conosciamo oggi è caratterizzata da un sistema simbolico che fa riferimento alle origini della Cristianità e ai precetti della Riforma cattolica. E questo simbolismo ha il suo apice nella relazione tra la cupola centrale, l'altare e la tomba del Santo, che connessi tra loro innalzano l'asse verticale di incontro tra terreno e soprannaturale, e incrociano quello orizzontale centrato sulla piazza antistante la basilica. Ma è soprattutto nei mosaici che il messaggio di cui la basilica è portatrice si snoda in maniera estensiva: troviamo mosaici nella cupola centrale, nelle cappelle laterali, nelle cupole delle singole cappelle e nelle pale d'altare, a creare il più esteso apparato musivo al mondo. Ogni cappella, con la relativa cupola e pala d'altare, si armonizza con le altre e intreccia il proprio dialogo con la storia della Chiesa e della sua dottrina, a creare il più esteso apparato musivo al mondo. Condurre per mano il lettore attraverso l'armonia e la grandezza di questi mosaici è l'intento di questo volume, che rappresenta una lettura iconografica essenziale, curata dalla Veneranda Fabbrica di San Pietro, per comprendere lo spazio e le immagini della basilica vaticana, ancora oggi straordinaria espressione della creatività umana, del genio artistico e della fede cristiana. Autori: P. Zander, A. Grimaldi, S. Turriziani, A. Di Sante, C. Thoenes, V. Lanzani, G. Mattiacci.