Mutazioni antropologiche, narrazioni egemoni, logiche del potere e disegni politici più o meno occulti. Drogata da un falso miraggio efficientista, l'università sta svendendo l'idea di cultura e la ragione stessa su cui si fonda, ostaggio passivo e consenziente di indicatori astrusi, procedure formali, parole vuote che non rimandano a nulla e che si possono manipolare in base a interessi variabili - eccellenza, merito, valutazione, qualità, efficienza, internazionalizzazione. Serve una diagnosi lucida per denunciare le imposture e cercare gli ultimi punti di resistenza. Il libro parte da casi concreti e da un'esperienza maturata sul campo. Senza alcun rimpianto nostalgico per la "vecchia" università ma con uno sguardo disincantato, si rivolge a chi ha una percezione vaga del presente, spesso distorta da stereotipi e pregiudizi. Quel che ne emerge è al tempo stesso un racconto, un saggio di critica culturale e un testardo gesto d'amore per il sapere, l'insegnamento e un'istituzione che ha accompagnato il progetto della modernità occidentale.
Oggi non si studia più. È da predestinati alla sconfitta. Lo studio evoca Leopardi che perde la giovinezza, si rovina la salute e rimane solo come un cane. È Pinocchio che vende i libri per andare a vedere le marionette. È la scuola, l'adolescenza coi brufoli, la fatica, la noia, il dovere. È un'ombra che oscura il mondo, è una crepa sul muro: incrina e abbuia la nostra gaudente e affollata voglia di vivere nel presente. Lo studio è sparito dalle nostre vite. E con lui è sparito il piacere per le cose che si fanno senza pensare a cosa servono. La cosa più incredibile è che non importa a nessuno.
Quando guardiamo i bambini degli altri, stiamo guardando il nostro. Il bambino che portiamo dal pediatra, che addormentiamo la sera, che siamo convinti di conoscere profondamente e di cui parliamo con l'insegnante a scuola o al quale dispensiamo le nostre massime di vita - anche se per qualche motivo pensiamo che sia del tutto speciale - è esattamente come il bambino degli altri. Perché tu non sei immune dai vizi di tutti. Non sei speciale. E tuo figlio non è più speciale degli altri. Funziona nello stesso modo. Appartiene alla stessa infanzia. Avrà gli stessi sogni. Combatterà le stesse battaglie. Per quanto sia consolatorio illudersi che non sia così, essere consapevole che il nostro modo di pensare l'infanzia determina i confini, il ruolo e le aspirazioni di ogni singolo bambino - anche del tuo - ti servirà almeno per spostare ogni tanto il punto di vista. Per guardare le cose che vedi tutti i giorni in un modo un po' diverso. E chiederti in che senso le cose che fa o dice il tuo bambino sono cose "infantili". In che senso sei infantile tu. E dove finisce l'una e dove inizia l'altra cosa.
Forse siete diventate madri dopo il primo sguardo al test di gravidanza; avete subito capito cosa fare e come riorganizzare la vostra esistenza meglio di wonder woman. Beate voi. Se invece vi siete accorte di essere diventate mamme solo dopo mesi dalla nascita del fagottino; se le pappe per voi sono una formula alchemica e vi è pure venuto il gomito dell'imboccatrice; se ormai il suono della mail è il diversivo più eccitante di tutta la vostra giornata; se ogni tanto rimpiangete l'ufficio; se la prima volta che siete uscite di nuovo la sera, vi siete addormentate con la cannuccia del cuba libre in bocca; se ora in palestra vi sentite delle marziane e per voi trentotto di febbre vuol dire relax; se vi tocca disquisire sui cibi da femmina e i cibi da maschio; se vostro figlio odia le verdure e urla "Mi t'ingollo!" alla bistecca, nonostante le buone maniere che impartite, allora questo diario è per voi. La mamma in pappa: la sua inadeguatezza e instabile emotività, la sua assurda voglia di diventare madre, continuando a essere quella di prima. Un po' come voi.
Un ragazzo di quindici anni che non vuole andare più a scuola è un fallimento per tutti. Dietro ci sono degli insegnanti, una famiglia e un paese che lo lasciano andare. La scuola di oggi racconta di un paese scollato, che non riesce a tenere insieme insegnanti in crisi di legittimazione e ragazzi asserragliati nelle ultime file. È il ritratto di un'Italia di solitudini raccolte dentro la stessa penisola. La scuola, invece, è nata perché quelle solitudini venissero ricucite con un alfabeto uguale per tutti. Perché la scuola non serve a qualcosa, ma è necessaria per essere in grado di immaginare un paese migliore.
Non è la bacchetta magica, ma un moderno sistema di valutazione può aiutare la scuola italiana a rinnovarsi, evitando i rischi di declino. Come? Fornendo analisi per capire le debolezze del nostro sistema d'istruzione e le ragioni dei suoi ritardi. Offrendo a ciascuna scuola strumenti di diagnosi per fare meglio il proprio lavoro e migliorare i risultati degli studenti. Infine, mettendo a disposizione delle famiglie efficaci bussole per orientarsi. Ne è convinta la Fondazione Agnelli, che arriva a questo rapporto dopo un lungo percorso di ricerca. Non mancano certo i dilemmi da affrontare. Chi valutare? I singoli docenti, le scuole, il sistema scolastico nel suo complesso? Con quali strumenti? Quale uso fare dei risultati della valutazione? E, soprattutto, come costruire il consenso e guadagnare la fiducia degli insegnanti, superandone le resistenze? Un quadro della valutazione della scuola in Italia e le soluzioni possibili, a partire dalle evidenze che vengono dalla ricerca, dall'esperienza internazionale e dalle sperimentazioni nazionali.
Sempre maggiore interdipendenza, rivoluzione tecnologica e informatica, crisi sui piani economico, ambientale, politico, sociale e culturale, indebolimento dell'autorità, polifonia dei messaggi valoriali e frammentarietà della vita: tutti insieme questi fattori determinano una grave difficoltà educativa, e di riflesso anche pedagogica. Non solo. L'avvento di società multiculturali impone di promuovere cambiamenti, nella consapevolezza che non potranno più essere usati modelli e metodi rigidi, autoritari, manipolatori e condizionanti. Agostino Portera studia tutti gli ambiti e le possibilità di una vera pedagogia interculturale come risposta alle tante crisi, fornendo indicazioni operative concrete nei luoghi educativi: la famiglia, la scuola, il mondo del lavoro, i media e la società civile.
"Il futuro di cui discuterò in queste pagine non coincide esattamente con il significato che gli attribuiscono psicosociologi, economisti, giornalisti e politici: la dimensione futura che cerco di indagare è di ispirazione psicoanalitica, è l'idea di ciò che auspicabilmente si riuscirà ad essere e fare in un tempo detto futuro. L'autentico desiderio potrà esprimersi ed essere realizzato nella misura in cui si saranno sviluppate le competenze necessarie. Parlerò quindi del progetto di crescita, di cambiamento, di realizzazione di ciò che si avverte come parte più autentica del sé, discuterò della fantasia concernente la propria evoluzione verso la pienezza delle capacità di amare e di farsi amare, di lavorare creativamente ottenendo il legittimo riconoscimento economico come espressione concreta dell'essere riusciti a rendersi socialmente visibili dopo la lunga fase di dipendenza dalla famiglia di origine. Proprio perché il futuro è sinonimo di crescita della parte più autentica di se stessi e promette la prosecuzione verso l'alto del processo di conoscenza delle proprie verità, vederlo appannarsi e sparire nelle nebbie di un contesto sociale, economico e culturale che si schiera contro la sua realizzazione, colpisce al cuore il sistema motivazionale e crea un lutto doloroso: assieme al futuro muore la speranza, l'autenticità, il piacere di vivere per crescere e diventare se stessi"
"Legalità e illegalità non sono concetti astratti: sono presenti e si mostrano nelle configurazioni e nei movimenti di qualsiasi assetto sociale e nella storia di ogni persona. Si distinguono o si confondono, riguardano gli altri o se stessi, in ogni caso costituiscono un elemento fondamentale di ogni vita collettiva e individuale. Non potrebbe essere pensata esistenza alcuna senza legalità, ma sarebbe del tutto illusorio, e probabilmente inopportuno, immaginarla totalmente esente da qualsiasi forma d'illegalità. Affrontare il tema dell'illegalità/legalità da un punto di vista pedagogico-sociale significa porre un'attenzione particolare a quelle dimensioni educative informali, diffuse, quotidiane che con la legalità e l'illegalità si incontrano ripetutamente, generando contraddizioni, criticità e conflitti. Significa, innanzitutto, constatare in quale misura, accanto all'educazione ufficiale alla legalità (praticata e/o auspicata), vi sia un'educazione all'illegalità provvista anch'essa di valori, obiettivi, didattiche formali e informali, e persino di educatrici ed educatori attivamente e proficuamente impegnati sul campo".
"Dai nostri bambini impariamo moltissime cose. E quante altre potremmo impararne, da tutti i bambini del mondo. Ora che i nostri bambini vanno a scuola con bambini di ogni parte del mondo, è tempo di tornare tra i banchi anche per noi. Grazie a questo libro appassionato e ricco di esperienze preziose possiamo farlo. Giuseppe Culicchia Vinicio Ongini va al concreto e viaggia attraverso le scuole italiane documentando difficoltà e scacchi della scuola multiculturale. Chi, dall'informazione corrente, è frastornato da notizie di casi di xenofobia farebbe bene a seguirlo nel suo viaggio, a leggere i suoi concreti e suggestivi 'casi di studio'. Se un rimprovero si può muovere alla nostra scuola è che non sempre essa è ben consapevole di quanto ha fatto, sa fare e fa per l'intero Paese. Il libro di Ongini, tra gli altri meriti, può essere d'aiuto, può stimolare il giusto orgoglio della nostra scuola pubblica." (Dalla Prefazione di Tullio De Mauro). Cosa si guadagna, se si guadagna, con gli alunni stranieri a scuola? Vinicio Ongini fa parlare i protagonisti della scuola italiana multiculturale: bambini e insegnanti, studenti, presidi, genitori, ma anche il gelataio del quartiere e il sindaco del paese, la tabaccaia di fronte alla scuola e la signora torinese immigrata in Calabria. Saremo sorpresi dalla realtà di una scuola dignitosa ma quasi invisibile, una scuola normale, che costruisce giorno per giorno, con i materiali che ci sono. E che nemmeno ci pensa di togliere il disturbo.
Sappiamo ancora parlare la nostra lingua? Se non lo facciamo è responsabilità degli insegnanti o di un cambiamento culturale profondo? Quanto conta ancora l’ora di italiano? L’opinione di un linguista di eccellenza su un tema che riguarda tutti.
Il professore di lettere si trova oggi tra due fuochi. Da un lato le polemiche, di grande risonanza mediatica, sulla scarsa preparazione dei ragazzi non soltanto rispetto all’ortografia e alla sintassi, ma anche sulla padronanza di quel lessico un po’ più alto (velleitario, dirimere, faceto...) che può capitare di incontrare anche solo leggendo l’editoriale di un quotidiano; dall’altro, dopo decenni, il primato umanistico ha subito un complessivo ridimensionamento a favore delle materie scientifiche. L’italiano resta comunque l’asse portante di qualsiasi progetto didattico: sono in gioco la capacità di capire quel che si legge, di articolare un discorso efficace, di imparare il gusto della lettura e di accostarsi al patrimonio dei classici. Alla luce di una lunga esperienza e di una grande sensibilità didattica, Luca Serianni, tra i ‘saggi’ incaricati della supervisione dei nuovi programmi che entreranno in vigore nel settembre 2010, riflette a tutto campo sullo stato dell’italiano a scuola, guardando anche al latino, il tradizionale asse portante della cultura umanistica dall’Unità a oggi. Non si tratta di mettere sotto accusa qualcuno, men che meno gli insegnanti alle prese con un lavoro che viene scelto quasi sempre per vocazione ma deve fare i conti, oltre che con le ristrettezze di bilancio, con un precario riconoscimento sociale; si tratta di proporre riflessioni e suggerimenti operativi che rendano più efficace l’attività didattica, senza restare, per inerzia o per semplice omaggio alla tradizione, nel solco delle abitudini acquisite.
Indice
Premessa - 1. Le due culture - 2. Scienze e lettere nella scuola - 3. Il latino sul banco degli imputati - 4. L’ora d’italiano: di tutto, di più - 5. Scrivere, esprimersi, argomentare - 6. La grammatica - 7. L’arricchimento lessicale - 8. La letteratura a scuola: alcuni spunti didattici - 9. Perche insegnare i classici (e come) - Nota bibliografica - Indice dei nomi e delle cose notevoli
In breve
Cosa significa prendersi cura di sé e quale influenza ha questa pratica nel percorso di crescita di un individuo: Franco Cambi esplora un tema complesso, intrecciando il piano pedagogico con la categoria della ‘cura’ in generale, concetto chiave della vita sociale e individuale. Un manuale che prefigura un iter formativo perché l’individuo si faccia guida di se stesso, coltivi la propria interiorità e riesca a divenire sempre più ‘persona’.
Indice
Prefazione- Parte primaRiflessioni sulla cura - 1. Aver cura della «cura» - 2. La cura in pedagogia: struttura, statuto, funzione - 3. L’aver «cura di sé»: un compito «lifelong» - Parte secondaLe vie maestre della «cura sui» - 1. La funzione formativa della narrazione - 2. Leggere per formarsi: un’avventura tra costruzione di sé e conoscenza del mondo - 3. La scrittura come «cura di sé» e come piacere... formativo - 4. L’autobiografia come cura di sé - Parte terzaAltre frontiere degli «esercizi spirituali» - 1. Attraversare spazi per formarsi - 2. Farsi «flâneur» - 3. Praticare l’ironia come «forma mentis» - 4. Dialogare con l’arte - 5. Poesia e cura di sé - 6. Classici e «cura di sé» - 7. Et alia... - Parte quartaQuasi un epilogo - 1. La cura di sé: categoria-chiave del presente - 2. La filosofia «diffusa» oggi: percorsi e funzione - Postfazione Tra adultità e scuola -Indice dei nomi